Home > Altreuropa a Lubiana e Trieste
Che la «comunità immaginata dell’uno» diventasse la prigione politica dell’«altro» era processo
dispiegato da tempo, incrudelito sulla scena globale di insicurezza e conflitti nel rinserrarsi di
identità paranoiche - che si richiamino a religioni o a più o meno improbabili etnie, nazioni, o
pretese imperiali. L’Europa in costruzione «politica», nei fatti e sulla Carta è inoltrata su questa
traccia già ampiamente dissodata dal suo passato, coloniale, che non passa: le discussioni nei
vertici europei che intrecciano lotta al «terrorismo», «sicurezza», controllo dell’«immigrazione»
disegnano insieme una barriera di confini esterni, e una fitta rete di confini interni che
gerarchizzano la «cittadinanza» di serie a, b, c, fino alla «non» cittadinanza, all’invisibilità totale, e
proficua per il mercato interno, dei «clandestini».
Ora, con l’allargamento ai nuovi dieci paesi
che il 1° maggio diventano membri dell’Unione, abbiamo una nuova specializzazione, nella figura
ibrida del comunitario-extracomunitario: gli abitanti dei paesi che «entrano» potranno muoversi nel
territorio «comune» europeo, ma non se cercano lavoro: in quanto prestatori d’opera, infatti,
rimarranno «non» comunitari per due, cinque, fino a sette anni, a seconda delle scelte di ciascuno stato
della «vecchia» Europa.
Notato il generale silenzio su quest’ultima invenzione di marca Ue, e la debolezza delle poche
voci discordi, è arrivata a questa rubrica una smentita (o meglio la puntualizzazione di una «voce»,
che pur non ribalta la rarità delle opposizioni) da una iniziativa di movimento che si sta
allestendo in contemporanea a Trieste e a Lubiana, inserita in una settimana di mobilitazioni proposta da
reti e movimenti del nordest italiano e della Slovenia, che approda al primo maggio: giorno della
EuroMayDay Parade a Milano del «lavoro precario, cognitivo, dei migranti e altri invisibili», e
insieme data dell’«allargamento» europeo e di queste nuove barriere interne.
Il 23 aprile il seminario di Lubiana degli «invisibili dell’Europa globale» prende le mosse dalla
connotazione «ideologica e razzista» sponsorizzata dalle istituzioni per l’ingresso nella Ue: che
finalmente staccherebbe la Slovenia «dagli incivili Balcani» per farla partecipare al «mondo
civilizzato» - con il corollario «interno» della cancellazione degli abitanti di «origine etnica non
slovena» dai registri dei residenti permanenti.
Il seminario di Trieste il giorno dopo si collega, a partire dai «cancellati» sloveni, e dal
rifiuto dell’invenzione ibrida dei «nuovi» cittadini «extracomunitari» all’iniziativa di Lubiana.
Promossa da Global Project, Posse e Invisibili, la discussione triestina muove dalla scena della piazza
Transalpina di Gorizia (col «muro» che divide ancora la città) dove il 30 aprile Prodi aprirà i
festeggiamenti per l’ingresso della Slovenia e degli altri nove nell’Unione. Di contro a quella
«kermesse» c’è lun’Europa «eretica», già «prefigurata» nelle sperimentazioni e pratiche dei movimenti
in questi anni da Seattle in poi sui temi della «precarietà, della clandestinità, dei diritti e
dell’opposizione alla guerra».
Ma, sottolineano i promotori della giornata triestina, di fronte alla condizione di
«extracomunitari» in cui si troveranno i «cittadini» dell’est europeo e dei Balcani che già rientrano e
rientreranno «a casa» in Europa, «ci lascia perlomeno perplessi l’altra kermesse che proprio il 1° maggio
i sindacati italiani e sloveni promuoveranno sempre a Gorizia»: i sindacati chiedono infatti la
frma di un accordo bilaterale fra Italia e Slovenia che «agevoli» questi cittadini nel loro ruolo di
«lavoratori transfrontalieri».
L’Europa che Prodi festeggia - è la denuncia - «è dunque quella di Maastricht e della violenza
delle monete, ma anche l’Europa che ritiene la libera circolazione delle persone non un valore
assoluto» ma una variabile dipendente dai flussi economici e produttivi: «è l’Europa di Schengen, dei
centri di permanenza temporanei e delle deportazioni», di contro alla «libertà di circolazione e
garanzia di diritti e di reddito per tutte e per tutti».
Il Manifesto