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Antigone : Una mattanza ’spontanea’ (1) Il campionario della vergogna (2)

Publie le venerdì 2 luglio 2004 par Open-Publishing

di Nunzia Bossa, Patrizio Gonnella, Romina Raffo

Il 27 marzo 2000 i detenuti del carcere San Sebastiano di Sassari iniziano una protesta pacifica rumoreggiando con le sbarre della cella a mezzanotte meno un quarto. Battono con le posate sulle grate, danno fuoco alle lenzuola, fanno esplodere le bombolette di gas. Alla loro protesta segue quella dei direttori. A causa dello sciopero di questi ultimi i detenuti sono lasciati senza generi alimentari e senza sigarette. Il 3 aprile viene organizzato uno sfollamento generale dei detenuti verso altri istituti dell’isola. Durante la traduzione una trentina di essi vengono brutalmente picchiati. I parenti protestano. Scattano le prime denunce. Antigone il 18 aprile incontra i vertici dell’Amministrazione penitenziaria, li avverte dei gravissimi episodi di maltrattamenti avvenuti in galera. Il 20 aprile le madri dei giovani detenuti picchiati organizzano una fiaccolata.

Il 3 maggio la Procura emette ottantadue provvedimenti di custodia cautelare, di cui ventidue in carcere e sessanta agli arresti domiciliari. Si tratta della più grande inchiesta europea per pestaggi in una prigione. Vengono coinvolti il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, la direttrice, il comandante di reparto. L’Amministrazione penitenziaria trasferisce in altre sedi i tre responsabili coinvolti e molti degli agenti. L’accusa: pestaggi selvaggi, detenuti costretti a denudarsi, trascinati per terra ammanettati, colpiti con calci e pugni alla schiena e alle gambe, lanciati da un agente all’altro. Il 9 marzo 2001 il sostituto procuratore dl Tribunale di Sassari, Gianni Caria, chiede il rinvio a giudizio per novantacinque fra agenti e dirigenti dell’Amministrazione penitenziaria, compresi alcuni medici e direttori di carceri, accusati di aver omesso di denunciare la condizione dei reclusi al momento dell’arrivo nei loro penitenziari. Cinquanta imputati chiedono il rito abbreviato semplice o condizionato. Il 28 gennaio 2002 si tengono le prime udienze degli imputati che hanno chiesto il rito abbreviato. Dopo una requisitoria lunghissima, circostanziata, ricca di riferimenti precisi e drammatici, il pubblico ministero chiede per il comandante delle guardie tre anni e otto mesi di carcere, per la direttrice due anni e otto mesi. Entrambi sono accusati di violenza privata, lesioni e abuso d’ufficio; per il capo degli agenti si aggiungono le minacce ad alcuni detenuti durante un trasferimento, del tipo "state attenti a quello che fate". Per il provveditore regionale il pm chiede tre anni e quattro mesi. Per il medico del carcere accusato di non aver visitato i detenuti in uscita quel giorno, vengono richiesti un anno e quattro mesi. Gli si contesta il falso, per quelle firme stampate sui fogli di dimissione che davano i detenuti pestati a sangue, in uscita da San Sebastiano, come in normali condizioni fisiche. Per tutti gli altri un anno e dieci mesi: cinquantaquattro agenti di polizia penitenziaria tutti presunti colpevoli di concorso in lesioni.

Il 21 febbraio 2003 il Gup di Sassari Luigi Demuro condanna con il rito abbreviato l’ex Provveditore generale delle carceri sarde a un anno e sei mesi, l’ex direttrice a un anno, l’ex comandante degli agenti a un anno e quattro mesi, dieci agenti di polizia penitenziaria da quattro a sei mesi. Secondo il Gup non fu una mattanza pianificata a tavolino, ma un’esplosione di violenza improvvisa e imprevista. Un pestaggio barbaro di almeno trentasei detenuti, ad opera di agenti irriconoscibili a causa delle tute mimetiche indossate durante l’operazione. Volti sconosciuti, voci anonime, poliziotti che i detenuti non conoscevano e che tranne rare eccezioni non avrebbero mai più rivisto. Il Gup Antonio Luigi Demuro ha dovuto compiere un paziente lavoro di ricostruzione di ogni singolo episodio. È andato alla ricerca del responsabile di ogni singolo schiaffo, di ciascuna sevizia. Ha ricostruito tutto quello che è accaduto al San Sebastiano. Non ha potuto identificare tutti gli agenti coinvolti: erano troppi e tutti uguali per essere riconosciuti uno ad uno. Il giudice ha concesso a tutti i condannati la sospensione condizionale. Atto dovuto, vista la pena ridotta grazie alle attenuanti generiche, prevalenti sulle aggravanti contestate, e alla luce dello sconto di un terzo ulteriore previsto per il rito abbreviato. Sessantotto gli assolti: quarantotto agenti che avevano chiesto il rito abbreviato più altri venti che, invece, avevano deciso di affrontare il giudizio ordinario. Ai quattordici detenuti che il 3 aprile 2000 subirono le lesioni più gravi il Gup ha previsto un risarcimento per complessivi 59mila euro. Tra risarcimento e spese legali, i tredici condannati dovrebbero pagare un conto di 157mila euro.

Il 29 settembre 2003 è iniziato il processo per i nove agenti di polizia penitenziaria che non hanno scelto il rito abbreviato e che hanno deciso - coraggiosamente (?) - di affrontare il dibattimento.

Questa era la tortura nell’era del centrosinistra.

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Potrà sembrare anacronistico parlare "ancora" del caldissimo luglio 2001 di Genova, ma a pochi mesi dalla decisione gravissima del Parlamento di ritardare ulteriormente la codificazione del reato di tortura e dopo i fatti tragici ma prevedibili di Abu Ghraib, non si può più sostenere che la tortura sia una questione che riguarda il terzo mondo incivile.

A Genova, tra il 20 e il 22 luglio 2001, le forze dell’ordine italiane sotto gli occhi della comunità internazionale vengono accusate di pestaggi, violenze, brutalità nei confronti dei manifestanti durante lo svolgimento del vertice del G8. Le violenze si consumano sia durante il corteo sia durante la perquisizione straordinaria nella scuola dove risiedevano gruppi di manifestanti. Carlo Giuliani viene ucciso da un carabiniere durante il primo giorno di manifestazione. Le violenze continuano nelle caserme Bolzaneto e Diaz, utilizzate per l’immatricolazione dei fermati. La procura della Repubblica di Genova apre otto inchieste, che vedono coinvolti anche diversi funzionari di polizia, viene sciolto il reparto celere di Roma coinvolto nei fatti. Il 5 maggio 2003 il Gup Elena D’Aloiso accoglie la richiesta di archiviazione del procedimento per l’uccisione di Carlo Giuliani in Piazza Alimonda nei confronti del carabiniere Mario Placanica, accettando la tesi della legittima difesa e sostenendo l’uso legittimo delle armi. Una settimana dopo, il Gip Anna Ivaldi accoglie la richiesta di archiviazione per i novantatre "no global" arrestati nel corso del blitz alla scuola Diaz il 21 luglio 2001 in quanto quella notte alla Diaz non ci fu nessun atto di resistenza da parte dei giovani sorpresi nella palestra-dormitorio. E va oltre, annunciando l’apertura di un’inchiesta sulle finte molotov sequestrate nella scuola con l’ipotesi di reato di falso in relazione ai verbali firmati dai poliziotti.

Alla Bolzaneto e alla Diaz c’è stata tortura. A seguito delle violenze nella caserma di Bolzaneto, allestita come carcere provvisorio proprio in occasione del G8 con un apposito decreto ministeriale, la Procura avvia un’inchiesta che vede coinvolte 43 persone, tra agenti e medici penitenziari; le accuse sono: lesioni gravi, falso e abuso su detenuti (il 28 gennaio 2004, fra l’altro, alcuni agenti di polizia penitenziaria raccontano quello che hanno visto dentro la caserma, confermando ai magistrati quanto denunciato da decine di detenuti sottoposti a maltrattamenti). Il 12 maggio 2004, il procuratore capo di Genova Francesco Lalla deposita la richiesta di rinvio a giudizio per 47 indagati (15 poliziotti, 16 membri della polizia penitenziaria, 11 carabinieri e 5 medici), tra loro 9 donne, accusati di reati che vanno dalle lesioni, alle percosse, all’abuso su persone arrestate e abuso d’ufficio, falso e falso ideologico. Tutti reati commessi nella caserma di Bolzaneto.

Secondo le indagini della procura vittime di questi reati sono state 255 persone (sulle circa 600 che sono transitate in quei giorni nella caserma). Tra i nomi che appaiono nella richiesta di rinvio a giudizio: quello del generale, all’epoca dei fatti colonnello, della polizia penitenziaria Oronzo Doria; di Alessandro Perugini già vicecapo della Digos di Genova; del medico Giacomo Toccafondi, responsabile sanitario della struttura di Bolzaneto. I reati che accomunano tutti gli indagati sono quelli previsti dall’art. 608 del codice penale che punisce l’abuso su persone arrestate e l’art. 323 del codice penale che sanziona chi abusa della propria carica o della propria funzione. Il quadro globale descritto dalla procura parla di manifestanti picchiati sui testicoli, altri fatti accucciare nudi e costretti ad abbaiare come cani, donne spogliate e minacciate di essere stuprate con i manganelli, feriti suturati senza anestesia, percosse gratuite, uso di gas urticanti all’interno di alcune celle. Un disgustoso campionario di atti inqualificabili, tanto che la procura nella sua richiesta cita la violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

Il 12 settembre 2003 si conclude l’inchiesta riguardante gli abusi e le lesioni ad opera delle forze dell’ordine intervenute, invece, nella scuola Diaz. I fatti contestati sono altrettanto gravi.

Come è evidente, a Genova prima di Abu Ghraib, sono stati messi in gioco i valori fondamentali della democrazia, del diritto e del rispetto per la persona. A Genova le violenze si sono consumate sotto gli occhi delle telecamere, senza pudore, senza paure, quasi a sfidare lo stato di diritto, nella certezza dell’impunità o quantomeno della approvazione dei propri superiori. A Genova, come a Sassari, non hanno operato poche mele marce, ma hanno agito in molti, aiutati e protetti da altrettanti fra politici e funzionari di alto grado.

Questa la tortura nell’era del centrodestra.

*Articoli tratti da Fuoriluogo (Speciale Tortura n. 8) con Il Manifesto del 25/6/04

Le Iniziative di Antigone

a cura della Redazione

Domenica 18 luglio - Genova, convegno sul tema della tortura in Italia e nel mondo, promosso dal Comitato Verità e Giustizia per Genova. Oltre ad Antigone, rappresentata dal suo coordinatore nazionale Patrizio Gonnella, parteciperanno: Amnesty International, Medici contro la Tortura, Legal Team Europeo, il senatore Martone (sui CPT) e alcuni testimoni particolarmente significativi. Per maggiori informazioni logistiche e per conoscere gli orari precisi nei quali si svolgerà il convegno, rivolgersi alla segreteria dell’associazione Antigone nei giorni immediatamente precedenti il convegno stesso.