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Sempre più difficile manifestare nella grande repubblica stellata
di Sabina Morandi
«Dopo tutto ciò che differenzia il nostro paese da quelli che Bush critica, e qualche volta bombarda, è il diritto di manifestare garantito dalla Costituzione». Così scrive United for Peace and Justice, la coalizione che fa da collante a più di mille gruppi sparsi per il paese e che si è fatta carico delle complesse trattative per ottenere la piazza durante la Convention repubblicana di New York, il 29 agosto prossimo. Un lavoro nient’affatto semplice nell’America post 11 settembre, o meglio post Patriot Act, la legge approvata a pochi giorni dall’attentato che ha fortemente limitato le libertà civili negli States. Basti pensare che United for Peace ha presentato la prima domanda più di un anno fa, chiedendo per il 29 agosto la storica "piazza" dei più grandi raduni della storia newyorkese, ovvero la grande spianata del Central Park. Si prevede infatti un’enorme affluenza, come ormai riconosce la stessa polizia: fra le 250 e le 300 mila persone arriveranno da tutto il paese per «protestare contro l’agenda di Bush» come recita lo slogan della manifestazione, agenda a base di guerra, di regali alle corporation e drastica riduzione delle libertà civili.
Quello che gli attivisti vogliono assolutamente evitare - e che li ha spinti a muoversi con tanto anticipo - è ritrovarsi in una situazione come quella del febbraio 2003. Allora la grande manifestazione pacifista in contemporanea mondiale, nella Grande mela venne inscatolata in apposite gabbie e corridoi iper-blindati. Chi osava mettere il naso fuori dalle reti metalliche veniva caricato dalla polizia a cavallo. Per questo le trattative con il New York Police Department sono continuate per un anno intero, e per questo United for Peace si è mostrata disposta ad accettare ogni sorta di compromesso: se non il Central Park almeno Times Square, luogo deputato ad accogliere ogni sorta di manifestazioni. Il sindaco repubblicano Michael Bloomberg, però, è stato tutto meno che disponibile. Come controproposta ha offerto Queens, quartiere periferico lontano da Manhattan, oppure gli snodi autostradali che circondano la città. Soluzioni decisamente inaccettabili che hanno provocato le critiche di tutti i giornali newyorkesi, dal New York Times e il New York Post, alle testate ispaniche come El Diario a La Prensa, notoriamente poco tenere con i radicali.
Bisogna sottolineare che il problema non riguarda soltanto i repubblicani. Anche le manifestazioni indette per protestare contro la Convention nazionale democratica, che si aprirà a Boston il 26 luglio, non sembrano godere appieno del Primo emendamento, giustamente vanto di un paese che ha messo al primo posto della sua Costituzione il diritto a manifestare. Anche a Boston le manifestazioni contro «l’altro partito della guerra», come gli attivisti chiamano il partito di Kerry, sono state confinate su piazze lontanissime dal palazzo della convention, ma non è affatto detto che la polizia riesca ad arginare i manifestanti. Dal 22 di luglio Boston sarà infatti centro di molteplici iniziative che faranno affluire i pacifisti da tutto il paese. I Veterans for Peace (veterani per la pace) hanno deciso di tenere il loro congresso annuale proprio a ridosso della convention democratica, mentre il Boston Social Forum, darà il via a una tre giorni di seminari, film e dibattiti ai quali parteciperanno anche personaggi di spicco del movimento internazionale.
Non è quindi affatto detto che questa gran massa di militanti in giro per il paese si lasci arginare dalle ristrette condizioni di ordine pubblico che le autorità tentato di imporre. Conviene insomma concedere spazi democratici a chi, come United for Peace, tenta di muoversi entro i margini consentiti della legalità visto che alla lunga estate calda hanno intenzione di partecipare anche gruppi meno ossequiosi della non-violenza a tutti i costi. New York sarà quindi teatro della «tempesta perfetta», come scrivono gli attivisti radicali su internet? Di sicuro i fautori dell’azione diretta non si lasceranno stipare dentro alle gabbie di ferro come il 15 febbraio del 2003. Prima del grande rally del 29 agosto ci sarà la conferenza spettacolo di Life after Capitalism (la vita dopo il capitalismo), la biciclettata della Critical Mass (il 27) e i comizi della Rete nazionale di solidarietà degli immigrati (il 28). Il 30, in contemporanea con l’apertura della convention repubblicana, sieropositivi, afro-americani e la Poor People Rights Campaign marceranno vicino alla sede delle Nazioni Unite. E poi, il giorno dopo, sarà la volta degli anarchici e del blocco nero. La lunga estate calda si concluderà solo il 1 settembre, quando il Central Labor Council porterà nella Grande mela i sindacati per festeggiare il giorno del lavoro, che da questa parte del mondo si festeggia in autunno.