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CONFLITTI SOCIALI: GOVERNO E PADRONI SEMPRE ALL’ATTACCO

Publie le venerdì 23 aprile 2004 par Open-Publishing

Contraddittorio è il quadro dei rapporti di forza sociali presenti in
questa fase dello scontro di classe. Da una parte stanno una serie di
elementi negativi: sono evidenziati dal permanere dell’attacco del governo
allo
stato sociale con l’ennesima controriforma sulle pensioni che ha
l’obbiettivo di azzerare quel che rimane della previdenza pubblica, dal
pozzo senza fondo della legge 30 che comincia ora a tracimare tutti i
veleni
col rischio che si alteri complessivamente la struttura della forza lavoro
e con ricadute drammatiche sulla coesione sociale e politica della classe
operaia, per altro, già messa a dura prova da 15 anni di politiche
liberiste.

Ma esistono ulteriori elementi di difficoltà prodotti dalla recessione
economica stessa, dalla crisi che conoscono comparti decisivi
dell’industria italiana dalla Fiat all’Alenia, dalla Siderurgia alla
Parmalat per arrivare
al tracollo dell’Alitalia. Siamo di fronte a un nuovo violento attacco
all’occupazione senza che finora si sia prodotta una risposta d’insieme a
questa nuova fase delle ristrutturazioni capitalistiche sollecitate più che
mai dalla forsennata concorrenza internazionale.. Occupazione, salari,
stato sociale. È l’insieme della condizione di classe ad essere sotto
offensiva.

Né sul terreno europeo ci sono segnali di un cambio di passo delle classi
dominanti rispetto alle politiche liberiste. Dove la classe operaia aveva
retto finora meglio, in Francia in Germania, due governi di diversa
natura, ma con politiche del tutto omogenee, sono all’assalto del
movimento dei lavoratori, dal salario all’occupazione, dall’orario allo
stato sociale.
Ma si delinea anche altro aspetto, quello positivo: in questi paesi
assistiamo infatti, al dispiegarsi di importanti movimenti di resistenza
sociali, che, nel caso tedesco, hanno obbligato la stessa centrale
sindacale
DGB a organizzar grandi manifestazioni di massa senza che per altro voglia
dar loro una prospettiva. E in Francia i movimenti sociali dell’ultimo
anni sono la chiave di lettura con cui comprendere meglio il rigetto
dei partiti della destra al governo nelle recenti elezioni. In Germania la
crescita delle lotte va di pari passo con un crollo della credibilità del
governo socialdemocratico in carica. Queste dinamiche ci riportano in
Italia dove sono presenti importanti processi sociali, non ancora del
tutto compiuti, ma assai promettenti.

Le nuove resistenze
In primo luogo naturalmente la riuscita, al di sopra delle previsioni,
della organizzazione predisposta e della qualità della piattaforma
avanzata da CGIL CISL e UIL, dello sciopero del 26 marzo sulle pensioni.
Ci
riferiamo non solo alle astensioni dal lavoro, ma alle manifestazioni che
hanno visto presenti in piazza strati assai diversi di lavoratori, quelli
che rischiano il posto di lavoro, quelli della scuola insieme agli
studenti,
metalmeccanici e pubblico impiego e una rinnovata unità tra vecchi e
giovani, tra coloro che hanno ancora un posto di lavoro "sicuro" e la gran
massa dei precari, tra il vecchio movimento operaio e il nuovo in
formazione. Una bella giornata insomma. Secondo elemento positivo,
l’evoluzione delle forme di lotta: non solo più le grandi giornate un po’
episodiche e con parecchi elementi di delega agli apparati, ma una
maggiore capillarità e continuità della mobilitazione sui luoghi di
lavoro, con il recupero di strumenti di lotta più duri ed efficaci, di cui
sono stati protagonisti i lavoratori dei trasporti, segnatamente gli
autoferrotranvieri e i dipendenti dell’Alitalia; dure lotte contro tagli
occupazionali, tra cui va segnalata la formidabile mobilitazione dei
lavoratori di Terni, che hanno bloccato per molti giorni lo stabilimento,
favorendo
così anche la straordinaria partecipazione dell’insieme della popolazione.

Così come va segnalata, tra le altre, la lotta dei lavoratori della
Fincantieri che, nello scontro per il precontratto e il contratto
aziendale (i due livelli sono stati affrontati con due piattaforme
specifiche dalla Fiom)
sono arrivati, a Monfalcone, a bloccare il varo di una grande nave da
crociera, obbligando l’azienda da aprire la trattativa senza pregiudiziali
sulle piattaforme FIOM. Spicca inoltre lo svilupparsi in diversi punti
geografici e di categorie di lavoro, a partire da quell’abominio di
sfruttamento selvaggio che sono i call center, di scioperi che coinvolgono
le lavoratrici e i lavoratori precari.
La difesa del contratto nazionale
E’ chiaro che siamo appena agli inizi di una mobilitazione tesa a
modificare i rapporti di forza nei luoghi della produzione: le difficoltà
sono ancora grandi. E’ in questo quadro che si avverte l’importanza di
quello
che sta avvenendo tra i metalmeccanici, dove la Fiom, pur tra evidenti
difficoltà è riuscita a tenere aperta la partita del contratto nazionale,
costruendo in molti posti di lavoro (con più difficoltà nei grandi
complessi) la battaglia per il precontratto che ha coinvolto finora circa
un quarto della categoria, portando a casa dei primi risultati positivi
per più di centomila lavoratori. L’iniziativa ha creato un rapporto forte
tra
Fiom e lavoratori che si è espresso in molte casi con importanti successi
di questa organizzazione nelle elezioni delle RSU.

E’ significativo che
pur di fronte a reali difficoltà ad ottenere dei risultati complessivi per
tutta la categoria, ci sia oggi una adesione/comprensione politica alle
scelte della Fiom. Le operaie e gli operai sono consapevoli che solo
attraverso la via della lotta, anche se nell’immediato non riesce molte
volte ad ottenere dei risultati adeguati, è possibile costruire un
percorso di difesa della condizione salariale e di lavoro.
La ricerca di una nuova concertazione
A fronte di tutto questo vanno sottolineati due elementi sul piano
sindacale: in primo luogo le tre Confederazioni non si preoccupano di dare
una risposta d’insieme, unitaria dal punto di vista dei contenuti, capace
di spezzare le forza del fronte dell’avversario, i disegni reazionari del
governo di destra, e l’aggressività delle forze padronali, che sono sì
indebolite dalla crisi economica, ma proprio per questo ancor più sospinte
a
comprimere il valore della forza lavoro. L’obbiettivo delle
confederazioni è di riconquistare un tavolo della concertazione più o meno
accettabile; i padroni, con la nuova presidenza di Montezemolo, per le
ragioni
prima esposte, sembrano disposti a riaprire questo tavolo, partendo però
da quanto acquisito nel corso degli ultimi dieci anni, comprese le leggi
del governo di centro destra.

La piattaforma per lo sciopero
generale era da questo punto di vista assai significativa, tutta tesa a
chiedere al governo una parziale redistribuzione del reddito attraverso la
leva fiscale, magari di comune accordo con le forze padronali a loro
volta bisognose di nuovi sgravi e sussidi; del tutto estranea invece a
percorrere la strada della FIOM, cioè la lotta per una più radicale
redistribuzione del reddito nazionale attraverso uno scontro col padronato,
con richiesta di forti aumenti salariali che intervengano anche sui
livelli di profitto delle aziende. D’altra parte una nuova unità tra le
confederazioni e una nuova stagione concertativa con la Confindustria è non
solo un obbiettivo, ma - dal loro punto di vista - una necessità, uno
strumento indispensabile per le forze del triciclo nella loro ipotesi di
alternanza al governo Berlusconi. Per tutti questi la destra si batte non
con
una piattaforma e una mobilitazione di classe, ma con una alleanza tra
centro sinistra, apparati sindacali e forze padronali in distacco dalla
destra. Naturalmente tutto questo presuppone che la dinamica del
movimento sia tenuto sotto controllo e che la pressione dal basso non si
esprima in tutta la sua forza potenziale.

Questo significa anche che la
FIOM resti nell’isolamento in cui è stata tenuta nei fatti dalla CGIL e
dalle altre categorie, che il suo progetto non vada in porto, ma le siano
smussate le unghie a partire da una buona affermazione della mozione della
destra interna nel congresso in corso.
La svolta, a destra della CGIL
Il pendolo della CGIL segna quindi una percorso verso destra. Avevamo
segnalato a più riprese come la precedente svolta, "a sinistra", anche se
importante e con ripercussioni positive, aveva avuto un carattere
fortemente politico e simbolico, di opposizione al governo; che questa non
si era tradotta in una piattaforma sociale e rivendicativa coerente, e in
mutamento delle politiche contrattuali, rimaste, per tutti gli altri
sindacati di categoria, interne alla politica della concertazione. Oggi
questa forbice viene recuperato in senso negativo. L’unità d’azione con
le altre organizzazioni che non può essere respinta a priori, avviene
però dentro un orizzonte concertativo che rischia di essere pagato caro
dai lavoratori, determinando al tempo stesso nuove contraddizioni nella
CGIL e caricando di responsabilità sia la sinistra interna che la
FIOM.

Significato del congresso FIOM
E’ in questo quadro che acquista tutta la sua importanza il congresso
della FIOM di Rinaldini e Cremaschi.
Si confrontano al suo interno due opzioni politiche radicalmente
divergenti sul ruolo del sindacato e sulle politiche da condurre. Da una
parte il documento di Nencini che pur senza sconfessare quanto finora fatto
dalla Federazione, punta a ristabilire una "coerenza" con l’operato della
CGIL e quindi, sul piano politico, un diverso rapporto con le forze del
centro sinistra. Dall’altra il testo del gruppo dirigente di matrice
sabbatiniana alleato con la sinistra interna, che rimette al centro - come
varabile indipendente ed irrinunciabile- la ricomposizione del lavoro,
della sua unità. La riconquista del punto di vista operaio come elemento
decisivo per costruire nuovi rapporti di forza e di porsi l’obbiettivo di
una modifica della ripartizione del reddito nazionale a vantaggio della
classe lavoratrice. I contenuti rivendicativi, - a partire da forti aumenti
salariali per tutti, dalla lotta senza concessioni alla legge 30 e alla
precarietà - la partecipazione, la democrazia, le forme dell’unità con gli
altri sindacati, le prospettive politiche che comportano una distanza anche
dall’eventuale "governo amico" di centro sinistra, derivano da questo asse
di fondo.

Se sviluppata, questa linea non solo rompe con la concertazione,
ma con la stessa politica della famigerata assemblea
dell’EUR del ’78, quando fu deciso che il salario doveva dipendere dalle
esigenze delle impresa, cioè dal profitto. Sappiamo quale percorso in
discesa fu intrapreso allora, che divenne una corsa accelerata verso
il basso con gli accordi del ’92 sull’abolizione della scala mobile e del
’93 sulla concertazione. Contribuire alla riuscita del congresso della
FIOM, cioè a una forte adesione delle lavoratrici e dei lavoratori al
documento varato maggioritariamente del Comitato centrale è dunque un
primo compito: favorire la partecipazione e al discussione per costruire
le condizioni della messa in pratica di quella linea, per reggere quei
contenuti rivendicativi avanzati sul terreno delle fabbriche dello scontro
diretto coi padroni. La linea ha infatti due momenti di verifica, nel
voto congressuale, nella pratica dello scontro di classe. Se avanza sui
due terreni, se si riesce a difendere il contratto nazionale, a porre
ostacoli alla precarietà, a riconquistare quote di salario, sarà più
facile incidere anche sulle dinamiche e sul dibattito interno della CGIL.
Questo però presuppone anche nuovi livelli di responsabilizzazione
politica della sinistra CGIL se vuole dimostrarsi all’altezza della
situazione, convergenze più forti con la stessa FIOM.

E una maggiore
capacità di
tutte le sinistre sindacali, comprese i sindacati di base a concepire la
loro azione in termini di unità delle forze che oggi si oppongono a una
riedizione della concertazione.
Allargare le brecce, costruire una piattaforma di lotta
Sul terreno proprio delle mobilitazioni e delle lotte, oggi non si può
lavorare che per favorire tutte le forme di mobilitazione, allargare il
più possibile tutte le brecce che si sono aperte, i terreni di scontro si
devono
moltiplicare.
Contemporaneamente è abbastanza chiaro che sarebbe necessario, che è
necessario una convergenza una unità di queste diverse mobilitazioni.
Sarebbe necessario una piattaforma che tenga insieme lotte
per l’occupazione, salario, contro la precarietà e la legge 30 per la
difesa dello stato sociale (pensioni, scuola, sanità) su cui ciascun
settore oggi potenzialmente disponibile a scendere in campo trovasse un
riferimento, un appoggio, la condizione per una vasta e duratura unità
capace di reggere uno scontro articolato e prolungato nel tempo.
E’ quello che le Confederazioni non fanno, che va richiesto nella
agitazione politica, che si deve cercare di costruire nella convergenza
delle mobilitazioni.
Il May day, il giorno della lotta unitaria dei precari che darà vita a una
nuova grande manifestazione a Milano è uno di questi passaggi. Il I
maggio, terreno deputato storicamente per esprimere l’unità dei lavoratori
deve essere segnato da queste rivendicazioni. Il legittimo validissimo
odio contro il governo della destra deve sostanziarci e "politicizzarsi"
su contenuti sociali che permettano di contrastare sia Berlusconi che le
forze padronali.

Riduzione di orario e intervento pubblico
Due contenuti rivendicativi devono essere ulteriormente precisati, anche
se non sono estranei alle forze della sinistra sindacale. Sono tra loro
connessi e riguardano il cosiddetto declino dell’industria e
dell’economia italiana.
La distruzione di grandi comparti industriali a partire dal settore auto è
una possibilità non remota. Processi di ristrutturazione sono in atto in
tante aziende e minacciano decine, centinaia di migliaia di posti di
lavoro.
Per affrontare questa emergenza non è possibile la sola richiesta generica
di una politica industriale da parte del governo: Berlusconi fa una sua
politica industriale così come l’ha fatta il centro sinistra. La crisi di
oggi è anche il frutto delle scelte neoliberali e delle privatizzazioni
compiute nel corso dell’ultimo decennio. Per altro comincia a delinearsi
una sensibilità nuova rispetto al ruolo del pubblico e delle
privatizzazioni.

E per questo vanno riprese con una notevole forza due tematiche tra loro
correlate. Da un parte la rivendicazione di una riduzione generalizzata
dell’orario di lavoro, indispensabile dopo tanti anni, in cui l’orario
non solo non è diminuito, ma anzi è aumentato e a fronte invece di aumenti
di produttività; questa combinazione di fronte a mercati stabili o in
diminuzione produce inevitabilmente richieste di riduzione del
personale. Per questo la necessità di ridistribuire l’orario se non si
vuole che pochi lavorino tanto e molti altri siano a spasso e nelle
grinfie della legge 30.
Ma in secondo luogo è chiaro che ci sono aziende, a partire dalla Fiat,
che per scelta padronale e per condizione obbiettiva, non hanno la forza
interna per un loro rilancio. Il tema dell’intervento dello stato deve
diventare prioritario, il tema delle nazionalizzazione deve diventare non
una prospettiva vaga, ma un obbiettivo concreto. In molti casi solo lo
stato, cioè solo la collettività può avere interesse al mantenimento allo
sviluppo, alla riconversione di determinate aziende, e solo lo stato può
disporre delle risorse necessarie per rendere praticabili queste opzioni
salvando così l’occupazione e la condizione complessiva dei territorio
e delle popolazioni. Abbiamo negli ultimi anni affrontato la difesa del
pubblico soprattutto a partire dai servizi sociali e di rete. Questa
battaglia può benissimo combinarsi di nuovo con la necessità di un nuovo
intervento pubblico nei settori industriali.