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Cosa succede a Julian Assange

par inoltro da: Mazzetta

Publie le domenica 26 agosto 2012 par inoltro da: Mazzetta - Open-Publishing

Molta confusione e molte inesattezze circondano il caso che vede coinvolto Julian Assange.

Di una cosa si può essere sicuri, i soggetti e i paesi che non hanno gradito l’attività di Wikileaks sono fermamente determinati a farla pagare a Julian Assange. I più vocali in questo senso sono gli americani che in diverse occasioni e a diversi livelli hanno manifestato sia l’intenzione di processare Assange che quella di danneggiare Wikileaks. Il problema di fondo è che l’uno e l’altro non sono perseguibili per le leggi statunitensi, perché non hanno preso parte ad alcun furto di documenti statunitensi, non hanno mai agito sul territorio americano commettendo reati e perché non hanno fatto altro che esercitare l’attività giornalistica, diffondendo informazioni ricevute. Molte delle quali sono protette e segretate dalle leggi americane, che però non hanno alcun valore non costituiscono alcuna giurisdizione su giornalisti e organizzazioni straniere che le divulghino dopo averle ottenute lecitamente. E nessuna delle informazioni divulgate di Wikileaks è mai stata prelevata direttamente dall’organizzazione commettendo atti illeciti.

Questo tuttavia non impedirebbe agli Stati Uniti, alla luce soprattutto delle leggi liberticide varate dopo l’undici settembre 2001, di classificare Assange come un “terrorista” e quindi trattarlo da “combattente nemico” anche se non ha mai preso le armi contro il governo di Washington. Di più, l’amministrazione Obama procedendo ad autorizzare l’esecuzione di Anwar al-Awlaki e di Samir Khan, due cittadini americani uccisi in Yemen con un bombardamento aereo, ha dimostrato di potere e volere uccidere due persone che non avevano mai preso parte ad azioni militari e che si occupavano fondamentalmente di propaganda, senza alcun processo, senza nessuna imputazione formale e facendo stracci dei diritti costituzionali riconosciuti ai cittadini americani sulla mera base di un ordine presidenziale e senza alcun processo che non fosse la “valutazione” da parte dell’amministrazione e delle agenzie d’intelligence dell’opportunità di ucciderli. Che tale pratica sia la di fuori della costituzione americana è ammesso da chiunque, anche da giuristi e istituzioni non certo sospettabili di mollezza con i nemici o di avere un’agenda straordinariamente libertaria.

Guantanamo e anche la detenzione del soldato Bradley Manning, dimostrano poi come l’amministrazione Obama continui da un lato a mantenere in vita un limbo giuridico (relativamente) extra-territoriale nel quale non valgono le leggi americane, ma solo il volere dell’amministrazione e dall’altra come l’amministrazione abbia dis-applicato la giustizia detenendo una persona per oltre 800 giorni senza processo e in condizioni platealmente punitive, che fanno concludere che Bradley Manning oggi non sia un reo che sta scontando la pena o in attesa (lunghissima) di un processo, ma soggetto a un trattamento incostituzionale ha che il solo scopo d’intimorire chi volesse seguire il suo esempio. Non è un caso che l’amministrazione Obama abbia di gran lunga superato quella precedente nel perseguire chi ha rivelato segreti o informazioni sgradite a Washington, mentre allo stesso tempo ha lasciato trapelare volontariamente (senza punirne gli autori) informazioni che, pur essendo segrete e potenzialmente pericolose per il governo e per il paese, hanno offerto di Obama l’immagine di un comandante in capo che dirige personalmente la guerra al terrore, come nel caso delle rivelazioni secondo le quali è il presidente a decidere chi di quelli che sono nelle kill-list che gli presentano le agenzie di sicurezza sia da uccidere. Una procedura che non ha albergo nella costituzione americana e nemmeno nelle leggi approvate dal Congresso e che per ora sembra sostenuta semplicemente dal consenso implicito di una società che fa la ola ogni volta che un presunto nemico viene eliminato.

LE PAURE DI ASSANGE - Il che è più che sufficiente per legittimare il timore di Julian Assange di essere estradato in un paese che oggi si presenta alieno alla civiltà giuridica occidentale e allo stesso tempo legittima la concessione dell’asilo politico da parte dell’Ecuador allo stesso Assange, che per questo si può ben definire una persona sottoposta a una gravissima minaccia, peraltro echeggiata negli anni dagli ufficiali dell’amministrazione e da numerosi politici. Una minaccia allucinante sia perché è platealmente illecita, sia perché validandola si ammetterebbe che tutti i paesi del mondo potrebbero perseguire i giornalisti di altri paese istruendo un procedimento penale nei loro confronti. Dalla Russia alla Cina, e vale per tutti i paesi del mondo, basterebbe un giudice compiacente e, senza neppure un’imputazione, qualsiasi regime potrebbe emettere mandati di cattura internazionali nei confronti dei giornalisti di altri paesi, anche se in questo caso c’è da scommettere che chi avanza queste pretese nei confronti di Assange griderebbe allo scandalo.

CONTRO L’ASILO NIENTE - Del tutto fuori luogo e irrilevante è poi sindacare i motivi che hanno spinto l’Ecuador a concedere l’asilo politico, così come lo stato della libertà di stampa nel paese, che non inficiano minimamente una valutazione che dev’essere fondata sul pericolo che corre Assange di essere oggetto di una persecuzione politica e non sulle intenzioni recondite del paese che glielo concede, a parti invertite gli Stati Uniti, seguendo questo ragionamento, non potrebbero offrire asilo a nessuno. Inutile poi dire che l’incredibile minaccia da parte del governo britannico di togliere lo status diplomatico all’ambasciata londinese di Quito, prima che l’Ecuador decidesse se concedere l’asilo al fuggitivo, basta da sola a convincere chiunque che da parte della Gran Bretagna (almeno) ci sia un intento persecutorio, visto che una minaccia del genere non è mai stata pronunciata prima e che non si vede altro motivo per il quale il Foreign Office possa essere giunto a tali estremi, per fare in modo che il sospettato di un reato comune possa essere tradotto in un paese straniero per essere interrogato.

LA VERA SVEZIA - Allo stesso modo Assange ha ragioni fondate di temere il sistema giudiziario e le leggi svedesi che, al di là dell’immagine di civiltà di cui gode il paese dei Nobel, ha partecipato alle rendition consegnando al regime di Mubarak persone poi sottoposte a tortura, ha concluso un accordo segreto per la costruzione di una fabbrica di missili a artiglierie con l’Arabia Saudita in frode alle sue stesse leggi che lo vietano e che è stato criticato per l’abuso della detenzione e dell’isolamento. Il comitato dell’ONU contro la tortura ha criticato duramente la Svezia per le condizioni di detenzione e per le procedure delle corti svedesi e per il fatto che restrizioni nei confronti dei detenuti come l’isolamento siano applicate al 42% dei detenuti sospettati e non ancora imputati. Che per questo si trovano in condizione di netta inferiorità, mentre chi li accusa ed i testimoni sono liberi di organizzarsi a piacimento potendo contare sul fatto che ai sospetti sia proibito l’uso del telefono, sia possibile censurare la corrispondenza anche per lunghi periodi. Critiche ribadite anche dall’European Commission Evaluation Report on Sweden.

NESSUNA GARANZIA -Assange ha quindi ottime ragioni di dubitare del sistema svedese e dell’inutilità della legge svedese, e di quella europea, che proibisce l’estradizione verso paesi nei quali l’estradato rischierebbe la pena di morte, come gli Stati Uniti, perché una volta sul suolo americano qualsiasi ricorso alla giustizia europea o svedese sarebbe del tutto pleonastico nella pratica.

UN MUCCHIO DI FALSITA’ - Molte inesattezze sono poi circolate per dismettere i numerosi dubbi che aleggiano sullo strano mandato di cattura emesso dal procuratore svedese che si occupa del suo caso. In particolare non corrisponde al vero che Assange non possa assolutamente essere incriminato senza essere prima interrogato di persona. Diversamente si avrebbe il caso paradossale per il quale in Svezia si potrebbe commettere qualsiasi reato ed uscire dal paese prima di diventare oggetto di un mandato di comparizione, bloccando in tal modo l’azione della giustizia svedese, che non potrebbe procedere neppure all’incriminazione senza l’interrogatorio dei rei e la loro presenza in udienza e potrebbe quindi ricercarli solo in qualità di testimoni. La legge svedese prevede che ovviamente che l’imputato possa essere rappresentato dai suoi legali o dai legali d’ufficio senza comparire e da nessuna parte c’è scritto che debba essere arrestato obbligatoriamente prima dell’imputazione. Resta che comunque Assange è già stato interrogato dalla procura svedese dopo la riapertura del suo caso che era stato chiuso in un primo momento e che nessuno lo ha convocato in udienza, visto che non sono state formalizzate neppure le accuse. Ecco la cronologia degli eventi come ricostruita da Stefania Maurizi per l’Espresso:

I TEMPI -

Il 20 agosto 2010, il Swedish Prosecutor’s Office ha emesso un mandato di arresto contro il fondatore di WikiLeaks per stupro, divulgando immediatamente la notizia alla stampa. Appena 24 ore dopo, però, il mandato è stato ritirato dalla stessa autorità giudiziaria che lo aveva emesso e che, successivamente, aveva ritenuto che il reato di stupro andasse derubricato come molestie. Successivamente, però, è entrato in scena l’avvocato svedese Claes Borgstrom, che, per conto delle due ragazze, ha presentato appello contro la decisione di revocare il mandato di arresto e di procedere per molestie. Claes Borstrom è un politico socialdemocratico, esperto di reati contro le donne, che lavora da anni a un’estensione del reato di stupro anche all’interno di rapporti sessuali consensuali. Viene accusato dai supporter di WikiLeaks di voler usare un caso di straordinaria visibilità mediatica per promuovere la sua carriera politica. Dopo l’intervento di Claes Borgstrom, cosa è successo? Il caso è stato riaperto. Assange viene interrogato una prima volta il 31 agosto 2010 (Senza emissione di un mandato d’arresto ndr.). Il 27 settembre 2010 Assange vola a Berlino per incontrare ‘l’Espresso’. L’appuntamento è stato fissato con il suo team un mese prima. Il 28 settembre 2010 Assange viene informato al telefono dal suo avvocato svedese, Bjorn Hurtig, che i magistrati svedesi hanno emesso un nuovo mandato di arresto perché vogliono interrogarlo di nuovo.

FANTASIE - La notizia che occorra un interrogatorio o la presenza in Svezia di Assange per attivare l’imputazione è quindi da considerarsi clamorosamente falsa e diffusa dolosamente, visto che chiunque può verificare come l’interrogatorio sia successivo alla riapertura del caso e quindi, anche qualora fosse necessario, si sia in effetti svolto. Falsa anche l’accusa che Assange si sia recato a Berlino per fuggire all’arresto, del quale non aveva alcuna conoscenza, e falso che lo abbia fatto nel timore di essere arrestato. Maurizi e L’Espresso hanno trasmesso un affidavit ai legali di Assange nel quale testimoniano che l’incontro era programmato da un mese. Il che significa che Assange è semplicemente andato a un appuntamento programmato e non è fuggito, tanto più che prima di lasciare il paese ha chiesto il permesso allo stesso procuratore, Marianne Ny, che glielo ha accordato, salvo emettere dopo pochi giorni il mandato di comparizione.

GLI ERRORI SVEDESI - Secondo Sven-Erik Alhelm, ex procuratore distrettuale di Stoccolma e ora docente all’università di Lund, sono inoltre parecchie le irregolarità nel caso.

1. La polizia ha interrogato le sue due accusatrici insieme invece che separatamente, per Alhem fu un “errore” che ha “contaminato le prove”, un comportamento “non professionale”.

2. La procura informò i media dell’identità di Assange durante la fase d’investigazione contro quanto previsto dalla procedura. I processi per stupro e abusi sessuali sono normalmente condotti in segreto e l’identità dei sospetti è tenuta riservata fino alla loro imputazione, perché qualora le accuse si rivelassero inconsistenti l’accusato subirebbe comunque un grave danno. Più che evidente nel caso di Assange che è considerato uno stupratore da mezzo mondo senza che la giustizia svedese lo abbia mai accusato di esserlo. “tale conferma dell’identità di un sospetto ai media, nella mia opinione, è del tutto contro la procedura corretta e in violazione delle leggi svedesi sulle indagini preliminari.

3. Nonostante Assange si sia reso disponibile ad essere interrogato ancora mentre era in Svezia, il procuratore ha scelto di non sentirlo, anche se le presunte vittime sono state re-interrogate mentre Assange era ancora nel paese. Evitando di ottenere la versione del sospettato negli stadi iniziali del procedimento, impedisce l’emersione dell’immagine complessiva degli eventi da tutte le angolazioni.

4. Assange potrebbe ancora essere interrogato a Londra dalla polizia svedese, anche nell’ambasciata dell’Ecuador (che si è detto disponibile) come ha più volte dichiarato di essere disposto a fare, possibilità rigettata dalla procura (ndr. e che molti media hanno presentato al pubblico come “non possibile” ). Non è ancora accusato di alcun reato, dato che il mandato di cattura europeo è stato emesso con una richiesta d’estradizione formalmente indirizzata a un testimone. (ndr. La corte britannica ha concluso che la richiesta svedese “equivale” a un’incriminazione britannica)

5. Alhelm sostiene che l’emissione del mandato di cattura europeo sia “contro i principi di proporzionalità”.

6. L’attuale procuratore di Stoccolma, Marianne Ny, potrebbe ancora chiedere il permesso britannico d’interrogare Assange a Londra, ma sostiene che sia contro la legge svedese, una pretesa che secondo Alhem non ha nessun fondamento nella legge svedese. Alhelm tuttavia (e ovviamente) dice che la vera battaglia dev’essere combattuta in Svezia e che se fosse in lui si presenterebbe al più presto per chiarire, ritenendo infondate le ipotesi di complotto e affidabile il sistema svedese.

(continua - questo li link: http://mazzetta.wordpress.com/2012/08/22/cosa-succede-a-julian-assange/)