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Crescono le armi «made in Israele»

Publie le mercoledì 14 aprile 2004 par Open-Publishing

Si amplia la quota di mercato nel mondo, tra i clienti più assidui c’è l’India. In salita Turchia
e Africa

L’industria bellica israeliana è in piena espansione. Nel 2003, secondo dati di fonte governativa,
le esportazioni militari sono state pari a 3 miliardi di dollari (2,4 miliardi di euro), e hanno
costituito il 10% delle vendite mondiali. Israele è diventata, quindi, una grande potenza sul
fronte della produzione militare, raggiungendo i primi posti di questa poco invidiabile classifica. Se
il 2003 è stato un buon anno, si annuncia un 2004 ancora più favorevole per i mercanti di cannone
israeliani: quest’anno potrebbe essere raggiunta, infatti, la soglia dei 4 miliardi di dollari di
esportazioni.

Si tratta di un’accelerazione delle vendite: secondo il Sipri, autorevole centro
studi svedese, Israele era infatti al dodicesimo posto mondiale nel periodo 1998-2002, con un
miliardo di dollari a prezzi costanti (cioè depurato dall’inflazione). Il principale cliente di Israele è
l’India, che è stata sull’orlo di scatenare una guerra nucleare contro il Pakistan. Nei giorni
scorsi è stato reso noto un contratto a New Delhi del valore di 1,2 miliardi di dollari, per la
fornitura all’aviazione di sofisticate apparecchiature radar e di monitoraggio elettronico (Phalcon),
da installare su aerei Ilyushin 76, prodotte dalla società israeliana Elta. La cooperazione con
l’India è ampia. L’Israel Aircraft Industries (Iai) sta sviluppando un missile per l’artiglieria.
Sempre nei giorni scorsi un prototipo di missile denominato Lora, rende noto l’Ansa, è stato lanciato
con successo da una piattaforma navale. Il Lora risponde a caratteristiche individuate dai
militari indiani e può portare 500 kg di esplosivo a trecento chilometri di distanza.

Le esportazioni belliche israeliane sono quasi tutte relative ad elevate tecnologie, ma
l’industria militare si è specializzata anche nell’ammodernamento di sistemi d’arma sorpassati, come aerei e
carri armati. In tal modo si aprono importanti mercati di paesi che non sono in grado, per motivi
economici, di comprare nuovi apparati bellici, ad esempio la Turchia.

Il paese mediterraneo non prevede clausole per la vendita di armi, ad esempio ai regimi
liberticidi, non a caso un simbolo delle armi israeliane, il mitra Uzi, dell’Israeli Military Industries, è
tristemente famoso in tutto il mondo. Il mitra è stato prodotto in dieci milioni di esemplari e
venduto a 47 Paesi fra cui molti in guerra: Algeria, Ciad, Cile, Colombia, Guatemala, Etiopia, Iran,
Liberia, Nigeria, Somalia, Sudan, Uganda e Zaire. Per dare un’idea dell’importanza dell’industria
militare israeliana è sufficiente dire che, secondo il Sipri, sono ben quattro le società
israeliane presenti nella lista delle prime 100 industrie belliche mondiali del 2000, tutte comprese fra
il ventitreesimo ed il cinquantaquattresimo posto (rispettivamente Iai, Elbit Systems, Rafael ed
Israel Military Industries).

Solo queste quattro società hanno oltre 15 mila dipendenti che lavorano
nel settore militare. Allo stesso tempo procede di gran lena, lo sviluppo di sempre più
sofisticate tecnologie militari, come il progetto di un modernissimo carro armato Merkava 4. Tutto ciò serve
per giustificare l’elevatissimo livello di spese militari, mentre quelle sociali sono tagliate
inesorabilmente. Del resto la guerra impedisce lo sviluppo economico, la disoccupazione è arrivata a
livello record e sono molte le famiglie letteralmente alla fame. E’ evidente che il conflitto ha
distrutto componenti fondamentali dell’economia israeliana, ad esempio il turismo, i viaggi in
Terra Santa sono scomparsi dai cataloghi delle agenzie di tutto il mondo.

Tale impostazione, tuttavia, non è unanimamente condivisa, anche all’interno di un governo come
quello presieduto da Sharon. Il ministro della giustizia, Yosef Lapid ha contestato, riferisce
l’Ansa, i piani del ministero della difesa, che continua imperterrito come «se alcune delle maggiori
minacce alla sicurezza di Israele non fossero cadute per effetto della guerra in Iraq e la caduta
del regime di Saddam Hussein».

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