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DIRE EROE E’ DIVENTATO UN VEZZO ESPRESSIVO.

par Adalberto de’ Bartolomeis

Publie le mercoledì 25 gennaio 2012 par Adalberto de’ Bartolomeis - Open-Publishing

DIRE EROE E’ DIVENTATO UN VEZZO DI ESPRESSIONE!

Oggi c’è un gran parlare, un vociare continuo ed inopportuno nell’affermare che, se qualcuno compie un gesto nobile, ma istintivo, di altruismo, ponendo anche in pericolo la propria incolumità, è subito chiamato eroe. Niente di più sbagliato: gli eroi non esistono più perchè abbiamo abolito il principio di autorità. Questo è accaduto in Italia, ma non soltanto in casa nostra. Partiamo da una semplice domanda: quanti conoscono l’ importanza di questo principio? Io penso molto pochi. E di ciò che ne deriva che si possa o meno definire un eroe qualcuno, semprechè si valuti il contesto politico, o il fatto e comunque in un ambito sociale, dove, per una causa si pone a repentaglio la propria vita, per salvare non solo quella di altri, ma l’appartenenza ad una società, ad un’ Istituzione, al proprio Stato. Io credo che oggi chi definisce impropriamente eroe qualcuno che, normalmente, compie un dovere civico, senta la necessità di avere una gerarchia, la presenza di qualcuno che sia autorevole, che abbia la capacità di esercitare l’arte del Comando. Ho sempre pensato che gli eroi fossero coloro che, in guerra, prendevano decisioni d’ autorità nel momento in cui si presagiva con rassegnazione la propria fine ed ovviamente la fine del gruppo in cui appartenevano. Ho sempre pensato che gli eroi fossero indispensabili a qualsiasi comunità. Questa gente era un esempio per tutti. Un monito a far bene, a non sfuggire alle proprie responsabilità, ad onorare l’ incarico che ti eri conquistato, ad indicarti come dovevi essere nella vita di tutti i giorni e perciò anche a saperti distinguere dagli altri, se necessario. I guasti che il Sessantotto non è riuscito a portare a compimento li hanno creati molte famiglie italiane. Quando hanno smesso di dire "no" ai figli ed alle figlie. Io ricordo che la mia infanzia l’ ho vissuta sotto raffiche continue di no. La scala dell’ autorità era chiara. Mia madre consigliava, mentre mio padre ordinava e qualche volta picchiava, insieme a mia madre, naturalmente. In molte famiglie di oggi mi sembra che domini l’anarchia. Ai ragazzi è permesso tutto. Per loro, il verbo dovere, è privo di senso. La conquista faticosa del proprio futuro è stata abolita. Tutto deve essere facile e senza pegni da pagare. In termini di puro sarcasmo e di questo periodo ci potrebbero pure stare, carognescamente, potrei dire che "speriamo che nessuno di questi fanciulli allevati così diventi il comandante di una nave..."!
Anche nella politica avvenne così, la cancellazione dell’autorità altro non è che il disfacimento della politica stessa. Nella Prima Repubblica i leader esercitavano un potere aasoluto. Nel Pci nessuno osava contestare i colossi come Togliatti, Berlinguer o Longo. Nel Psi a ripristinare un ordine, una gerarchia ci pensò Craxi.. La Dc, finita l’ epoca di De Gasperi, divenne un partito senza capi e soltanto Dio sa come ed in che modo si mantenne a galla per tanti anni! Nella Seconda Repubblica, dopo una serie di sconfitte elettorali i segretarti di partito abbandonarono il loro posto lasciandolo ai vice, un po’ come tanti capitan Schettino. Sul versante del centrodestra Berlusconi tentò di comandare, provando ad imporre il suo carisma e, tra cadute di governo e riconferme, ci riuscì per quasi un ventennio. Purtroppo, però, per, forse, poca autorità e sicura virtù di bontà d’animo, un pregio che nella politica spesso è controproducente, non ci riuscì nemmeno lui. La fine del Cavaliere, lo dico con dispiacere, purtroppo conferma una verità che spesso viene trascurata, almeno da vent’anni a questa parte. Per essere il capo di una vera gerarchia, un leader di lunga durata ed inattaccabile bisogna dimostrare una qualità rara: quella di risultare puliti in tutti gli angoli e non avere...sulle mutande...neppure la più miccoscopica delle macchie di..."omississ"...
Morale della favola? Che non possiamo definirci degli eroi, non siamo più una Nazione di generosi! Siamo un Paese che ha fatto dell’ egoismo una virtù, del menefreghismo una regola di vita, dell’ interesse personale il tredicesimo comandamento. L’ ex comandante Schettino è uno di noi e del resto la storia d’ Italia è piena di ex comandanti Schettino, che non hanno mai pagato i loro debiti. Clamoroso fu l’atteggiamento codardo di Vittorio Emanuele III, il Re d’ Italia che non avrebbe voluto succedere a suo padre, morto ammazzato da una revolverata, eppure s’ impegnò a lasciare un ricordo tragico di sè stesso, facendo ammazzare sua figlia Mafalda e fuggendo a gambe levate da Roma, insieme al suo neo-nominato Capo del governo Pietro Badoglio ed una buona parte del suo Stato Maggiore. Era il 9 settembre 1943, gli inglesi gli offrivano una nicchia dove ripararsi dal boia, ex alleato tedesco, a Brindisi e purtroppo in quegli istanti che avrebbero presagito un’ odissea per l’ intero popolo italiano non ci fu nessun comandante, o meglio ci furono, ma in attesa di ordini. Triste e sconsolante affermare che se la storia fosse stata diversa, con un comandante De Falco che avesse detto "Sua Maestà torni indietro, cazzo", quel giorno la storia avrebbe scritto una pagina non ignobile come fu. Quel preciso giorno la dinastia dei Savoia e tutto l’ istituto monarchico cominciaro ad avere una vita breve, almeno in Italia, perchè in Inghilterra il re Giorgio VI, la regina e tutta la famiglia dei Tudors se ne stavano ugualmente a Londra, sotto le bombe tedesche. Insomma, l’albero dei vigliacchi dà sempre i suoi frutti, ora come allora. Accadde, è accaduto di recente con il caso della nave Concordia, ma lo è stato nella politica (caso Moro) e continua ad esserlo, per cui non possiamo che esere un Paese di eroi fai da te.

Monselice, 25 gennaio 2012

Adalberto de’ Bartolomeis