Home > Decapitato un secondo ostaggio americano
Toni Fontana
Gli assassini di Al Zarqawi hanno decapitato il secondo ostaggio americano, Jack
Hensley, 49 anni, prelevato giovedì scorso a Baghdad. La notizia, che fin dal
mattino era rimbalzata nel mondo (Al Jazira l’aveva annunciata, ma poi aveva «ritrattato»)
ha trovato conferma martedì sera quando, con una precisione da ragionieri della
morte, gli sgozzatori hanno diffuso sulla rete l’ennesimo video nel quale si
vedono coltelli, proclami e sangue, un’esecuzione da boia professionisti. La «sentenza» è stata
eseguita allo scadere dell’ultimatum di 24 ore lanciato quando è stato ucciso
l’altro americano, Eugene Armstrong.
Anche martedì sera, come nel caso dell’uccisione del primo ostaggio, i terroristi hanno dapprima diffuso un comunicato via Internet annunciando che «gli uomini coraggiosi» avevano eseguito la sentenza e quindi hanno immesso nei circuiti internazionali un video con le racapriccianti immagini della decapitazione.
Nel nuovo filmato non vi è alcun accenno al terzo rapito, il britannico Kenneth Bigley, l’unico sopravvissuto del gruppo di prigionieri prelevati con un blitz nella loro abitazione nell’elegante quartiere di Al Mansour. Martedì il fratello ed il figlio dell’ostaggio britannico si sono rivolti al premier Blair con un disperato appello invitandolo a prendere in considerazione le richieste dei rapitori. Il capo del governo di Londra ha parlato con i familiari di Bigley assicurando il suo interessamento e ribadendo al tempo stesso che non saranno fatte concessioni ai terroristi. Non vi sono dunque spazi per avviare trattative. Washington e Londra non intendono concedere nulla ad Al Zarqawi e alla sua banda che, nei loro comunicati, ribadiscono la richiesta di liberazione delle detenute irachene, tra le quali due esponenti del regime di Saddam accusate di aver curato i programmi chimici segreti negli anni 80 e 90.
La nuova e barbara uccisione dell’ostaggio americano fa dunque temere che i terroristi potrebbero concludere il loro piano criminale.
Al Zarqawi, a giudicare da uno dei comunicati diffusi lunedì sera, nega di aver «acquistato» le due volontarie italiani delle quali, neppure ieri, sono sono avute notizie certe. In tal modo il capo degli sgozzatori smentisce la tesi esposta dapprima dal leader curdo Talabani e quindi, nel corso del suo soggiorno a Roma, dal vice-ministro degli Esteri e leader degli sciiti moderati, Al Bayati secondo i quali Simona Pari e Simona Torretta sarebbero prigioniere a Falluja, dove, si ritiene, si nasconda il luogotenente di Bin Laden.
Il documento, considerando la fonte, va tuttavia registrato con cautela. I terroristi infatti dicono di non aver «comprato» le volontarie, ma in tal modo non smentiscono di averle catturate.
Sempre martedì fonti dell’intelligence italiana hanno affidato alle agenzie di stampa alcune «confidenze» secondo le quali sarebbero stati individuati «gli interlocutori con i quali parlare». Questo «canale» sarebbe già attivo ed avrebbe permesso di apprendere che le «due ragazze sono ancora vive». L’intelligence sosteniere insomma di aver trovato un «interfaccia», qualcuno che può far giungere un messaggio o una comunicazione ai rapitori. Da queste notizie i servizi segreti fanno discendere la convinzione che «qualcosa si sta muovendo» anche se le fonti consigliano la «cautela». Gli 007 puntano ora ad ottenere una «prova» del fatto che le due volontarie sono ancora vive. Nella vicenda è intervenuto un altro fatto nuovo.
A Falluja infatti un esponente del Centro per la democrazia ed i diritti umani, Qasim Abdul Sattar, ha promosso un incontro, al quale hanno preso parte capi tribù, sceicchi, e rappresentanti della popolazione locale, promosso allo scopo di sollecitare la liberazione delle due Simone. Qasim, intervistato anche dal Tg3, ribadisce che le due volontarie erano ben conosciute nella zona per le iniziativa umanitarie che avevano curato. L’esponente del associzione di Falluja si dice convinto che le due ragazze non si trovano nella città ribelle ed aggiuge di aver raggiunto questa certezza dopo aver avviato ricerche che si sono rivelate però infruttuose.
La riunione degli esponenti di Falluja si è tenuta martedì pomeriggio. Questi elementi nuovi emersi, non diradano la fitta coltre di nebbia che circonda la vicenda. In Iraq vi sono stati decine di sequestri e sempre, anche nei casi che si sono tragicamente conclusi, i terroristi hanno fatto filtrare immagini e comunicati. Nel caso delle due Simone l’ultima traccia risale al 10 settembre quando una nuova sigla, i «partigiani di Al Zawahiri» avanzò la richiesta di scarcerazione per le detenute irachene in cambio di «poche informazioni». Martedì forse, a sentire l’inteligence, è trapelato qualcosa dal misterioso rifugio dove si trovano le due ragazze.