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Che le politiche di austerity offerte come soluzioni alle crisi dei debiti sovrani fossero sin dall’inizio destinate alla sconfitta lo sapevamo. Non ci stupisce quindi, ma quantomeno merita di essere sottolineata, la notizia che anche le stesse istituzioni promotrici di quelle misure affermino senza mezzi termini il loro fallimento.
Sia il Fondo Monetario Internazionale sia i dati di Eurostat confermano infatti che il debito pubblico dei paesi dell’UE non è assolutamente calato in questi mesi, ma che anzi a calare sono state unicamente le prestazioni sociali degli Stati nei confronti delle fasce meno abbienti delle popolazioni. Non fa ovviamente eccezione il nostro governo dei tecnici, la cui azione non pare aver sortito alcun effetto nel ridurre il nostro indebitamento.
La notizia del nuovo accordo in stipula tra Grecia e Germania sulla rinegoziazione del debito ellenico, annunciata dal ministro delle finanze Stournaras e poi smentito dai tedeschi che hanno affermato di voler prima verificare dal futuro report della Troika i progressi di Atene, va inoltre in questa stessa direzione.
A venire alla luce intanto sono anche le crisi dei progetti stessi della UE. Dopo la notizia del taglio ad un progetto simbolo dell’integrazione europea e dello spazio di mobilità comune quale era l’Erasmus, a quanto apprendiamo dal Manifesto persino i fondi regionali europei subiscono una mancanza di finanziamento, all’interno di un contesto di fuggi fuggi generale dalle proprie responsabilità a livello di quote da donare al bilancio UE (v. Inghilterra).
La Gran Bretagna è tralaltro l’unica nazione ad essere uscita dalla recessione grazie all’effetto Olimpiadi, ma ben sappiamo sul lungo periodo quale enorme boomerang possa essere una crescita basata tutta sullo sfruttamento di tre settimane intensissime come quelle dei giochi.
Alla faccia di quella “luce in fondo al tunnel” evocata da Hollande pochi giorni fa, prosegue poi lo scontro tra Draghi e Bundesbank con quest’ultima a giocare il ruolo di chi vorrebbe scaricare ulteriormente sulle aree periferiche le conseguenze di una crisi di cui la soluzione non si vede proprio..e nemmeno dagli Stati Uniti impegnati nel duello-farsa Obama-Romney né dalla Cina impegnata nella transizione politica sembrano emergere possibilità di ripresa economica, se non purtroppo dalla prospettiva che vede risuonare i tamburi della guerra.
Con la Spagna prossima a richiedere il salvataggio e attraversata da fortissime proteste, con l’Italia a rischi contagio mentre si dissolve sempre più giorno dopo giorno il suo assetto partitico/istituzionale, prende sempre più importanza la necessità di costruire,in questa fase di delegittimazione e fallimento delle istituzioni e delle politiche UE, quelle connessioni transnazionali che già nel novembre ribelle in arrivo, denso di appuntamenti e scadenze di lotta, potrebbero fare emergere una nuova Europa, quella del conflitto e dell’opposizione all’austerity.
25 Ottobre 2012
http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/5839-diario-dalla-crisi