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E’ Siniscalco il ministro balneare

Publie le domenica 18 luglio 2004 par Open-Publishing

Il no di Follini all’offerta di un ministero irrita Fini e scatena la Lega. Berlusconi ne approfitta e con un blitz nomina un ministro dell’economia in stretta continuità con Tremonti. Ma la crisi non è risolta e lo showdown solo rinviato

ANDREA COLOMBO

ROMA

Alle 19.30, Silvio Berlusconi sale al Colle per proporre al capo dello stato il nome
del nuovo ministro dell’economia. E’ Domenico Siniscalco, già direttore generale nel regno di Giulio Tremonti: una soluzione di stretta continuità. A fianco del premier, nel viaggetto al Quirinale, c’è il suo vice Gianfranco Fini. Il senso politico dell’irrituale scorta non potrebbe essere più chiaro: la scelta del successore del divo Giulio è avallata e santificata proprio dal leader che aveva chiesto, e ottenuto, la defenestrazione dell’onnipotente Tremonti. Il tutto si svolge in tempi record, Siniscalco giura e nemmeno un’ora dopo si celebra il rito del passaggio delle consegne al ministero di via XX settembre. L’interim, durato 14 giorni, si è concluso. Crisi è finita, ma solo fino a settembre. Poi la giostra è destinata a ripartire, più vorticosa che mai.

Quello di B erlusconi è stato un vero blitz, una mossa a sorpresa imposta dal vicolo cieco che la crisi si accingeva a imboccare di nuovo e consentita dall’isolamento in cui si trovava il leader dell’Udc. I suoi «furbeschi tatticismi», come li defniscono nei piani alti di An, avevano irritato Fini quasi quanto lo stesso Berlusconi. E la Lega, forte del ritrovato apporto bossiano, mitragliava ad alzo zero: «Non accetteremo nessun rimpasto. La situazione deve restare congelata sino a settembre».

A determinare la precipitazione era stato l’atteso Consiglio nazionale dell’Udc. Al termine della riunione Marco Follini aveva confermato la sua indisponibilità a entrare nel governo, irritando così più che mai gli ex alleati di An. Allo steso tempo, i cattolici della Cdl annunciavano l’arrivo di due nuovi ministri della loro scuderia, Baccini e Lombardo. Rocco Buttiglione già lo dava per certo. Lo stesso Lombardo, impaziente, si dichiarava pronto ad assumere l’alto incarico, solo che Follini gli avesse dato il permesso. Il suddetto Buttiglione, poi, non celava la certezza di essere in procinto di sostituire Mario Monti come commissario europeo.

«Follini - commentano inviperiti nel quartier generale del vicepremier - vuole prendere due ministri più un commissario europeo, e però mantenersi le mani libere: un po’ troppo». Secca la reazione nazional-alleata: la richiesta di un verrtice di maggioranza da convocarsi in nottata per definire la situazione una volta per tutte. Più drastici i leghisti. Con una dichiarazione esplosica, Calderoli annunciava che il Carroccio non avrebbe più partecipato a summit «con all’odg posti e poltrone». In più, dava per morta «la maggioranza del 2001» e intimava al premier di congelare la situazione sino a settembre, quando la sospirata devolution andrà in aula.

Berlusconi ha visto allo stesso tempoi il rischio massimo e l’occasione insperata. Il vertice, con i nordici sul sentiero di guerra, sarebbe stato un azzardo senza precedenti. L’isolamento di Follini, in compenso, offriva la possibilità di un atto di forza impraticabile in circostanze diverse. Senza mettere tempo in mezzo, dopo un incontro con Maroni e un risolutivo colloquio con Fini, il premier, a metà pomeriggio, annunciava dunque che entro la serata sarebbe arrivata la nomina del nuovo ministro, «in ottemperanza alle richieste dell’Udc». Largeggiando in riconoscimenti formali, il premier riconosceva ai centristi l’impegno «a garantire la governabilità». Assai meno largo di manica nel concreto, li metteva poi al corrente della scelta di lasciali a becco asciutto. La formula adottata, «riconferma delle fiducia nella squadra di governo», si traduce infatti con un severo: nessun rimpasto, nessun nuovo ministro Udc, nessuna nomina di Buttiglione a commissario europeo. Uno schiaffone, e nemmeno mascherato.

L’Udc ha preferito far buon viso a cattivo gioco. Ha accettato la decisione del premier definendola (non senza ironia) «una soluzione alta». Ha lamentato solo «l’occasione perduta» per ridefinire le linee del progranma. Anche An si è accontentata, ma senza giubilare. Non è certo questa la soluzione che avrebbe preferito Fini, e l’unica consolazione è che un esito del genere è comunque meglio del trionfo di Follini e dell’Udc. Ma la mano resta sull’impunatura del coltello. Laconico Fini segnala che «Berlusconi ha fatto fa bene ad assumersi le responsabilità». Più esplicito, Alemanno avverte che «questa è l’ultima occasione per il rilancio, di qui a dieci mesi: poi resteranno soo le elezioni anticpate». Meno diplomatico lo Storace che sbotta: «Bossi in ospedale, Tremonti in esilio, ma la sotanza non cambia». La Lega finge di borbottare («Avremmo preferito Tremonti»), ma in realtà è più che soddisfatta: la sberla affibbiata agli odiati centristi non sarà sonora come quella che sognavano Calderoli e Maroni, ma certo ci si avvicina molto. E alla fine è lo stesso Calderoli ad ammetterlo. Berlusconi si dice convinto di «aver fatto la cosa giusta». Ma tutti, chiacchiere a parte, sanno perfettamente che la soluzione rappattumata in extremis è quella che un tempo si sarebbe definta «balneare». La crisi è più aperta che mai. A settembre tutto sarà come prima. Peggio di prima.

Il Manifesto