Home > Genova, la memoria viva di piazza Alimonda
Ieri il terzo anniversario dell’omicidio di Carlo Giuliani. A Genova
ricordi, testimonianze e voglia di verità
di RAFFAELE MASTROLONARDO
GENOVA
Piazza Alimonda, 20 luglio 2001, ore 17.27: un colpo di pistola
colpisce Carlo Giuliani. Piazza Alimonda, 20 luglio 2004, ore 17.27:
un applauso lungo 22 minuti commemora la morte di un ragazzo. E’ un
battito di mani interminabile il culmine di questo rito laico,
esercizio di memoria collettiva che si è ripetuto ieri a Genova, città
ferita dal G8. Lo scroscio dei palmi di oltre mille persone ha avvolto
in un abbraccio Giuliano e Heidi Giuliani, raccolti sul punto in cui
il loro figlio fu ucciso in circostanze non ancora del tutto chiare.
Tutti insieme, genitori, amici e manifestanti si sono dati
appuntamento qui «per non dimenticarlo», come recitano le scritte sui
muri e sulle magliette di molti dei partecipanti. Poco lontano, una
cancellata raccoglie fiori, poesie e dediche. «Ti ho conosciuto come
simbolo. Avrei voluto conoscerti come ragazzo» firma Eve. «Le scritte
si cancellano ma il male di Genova non si dimentica», avverte Elisa.
Poco prima, ricordano Tom Benetollo recentemente scomparso, Giuliani
aveva letto «La poesia delle grucce» di Bertolt Brecht: un invito a
«liberarsi dalle stampelle e a ricominciare, anche strisciando, a
camminare da soli». Di tanto in tanto, il flusso della musica è
interrotto dal suono di una sirena: è l’Ambulanza Zapatista per Carlo
Giuliani donata dall’associazione Ya Basta!, simbolo di quell’universo
di energie positive che si è liberato da un evento tragico come la
morte di un ragazzo di ventitré anni.
In uno dei brevi intervalli lasciati dagli oltre quindici gruppi
musicali che si susseguono sul palco, Heidi Giuliani propone alla
sinistra «il modello Alimonda»: «Questo paese tende troppo spesso a
dividersi. Qui, in questa piazza, invece, c’è unità. Dobbiamo
cominciare da qui ed essere unti anche nella piazza-paese e nella
piazza-mondo». A chi gli chiede se non brillino, per assenza, i leader
della sinistra nazionale Giuliano Giuliani risponde, senza polemica:
«E’ giusto così, dopo tutto: l’unità parte dal basso. La coesione vera
la fa la gente, non ristretti gruppi di dirigenti. Solo quando la base
è unita i capi possono trovare cercare accordi. Altrimenti si fanno
solo intese di potere». Non c’è molta voglia di parlare di politica
nazionale qui in Piazza Alimonda. Ma di informazione sì. C’è Franti,
l’autore di una documentatissima ricostruzione degli ultimi istanti
della vita di Giuliani che suggerisce, foto alla mano, che Carlo possa
esser stato colpito da una pietra negli attimi seguenti il colpo di
pistola sparato da Placanica. «Fino ad ora della mia inchiesta se ne
sono occupati solo il manifesto e l’edizione genovese di Repubblica.
Ma è solo se questo materiale arriverà sui grandi quotidiani
nazionali, nel mainstream dell’informazione, che qualche cosa potrà
muoversi veramente e potremo avere qualche speranza di chiarezza».
Un’occasione, anche per l’informazione di liberarsi dalle grucce è
dunque a disposizione di tutti, sul sito www.comitatocarlogiuliani.
org.
Di informazione parla e ride anche Sabina Guzzanti, che non risparmia
bordate a destra e a manca. A Vespa, nel suo ruolo di depositario
unico e ufficiale dell’informazione nazionale. A un sistema
«televisivo che manda in onda una trasmissione dedicata al Viagra il
giorno della condanna di Previti». Alle segreterie dei partiti della
sinistra che, decidono nel chiuso delle stanze dei bottoni «chi
dobbiamo votare. E quasi sempre non si tratta di uno di sinistra». Per
Don Gallo, il prete degli ultimi, fondatore della comunità di recupero
per tossicodipendenti di San Benedetto, dopo tre anni «Carlo è ancora
vivo. Non come mito, non come idea, ma come ragazzo che esprime gli
ideali più nobili di una giovane generazione. Quella che tre anni fa
era qui in piazza a difendersi dall’aggressione della polizia». Quella
che per il parroco di strada prende il testimone ideale dei partigiani
che morirono nel rastrellamento della Benedicta nella primavera del
1944 sulle alture di Genova. «Quindici di loro avevano tra i 19 e i 22
anni. C’è un filo rosso che lega quei ragazzi a Carlo».
Tra i partecipanti alla commemorazione c’è anche Arnaldo Cestaro, 62
anni, membro nel consiglio provinciale di Vicenda di Rifondazione. Era
alla scuola Diaz la notte del 20 luglio. Si era fermato a Genova per
portare dei fiori sulla tomba della parente di un’amica. Uscì
dall’Istituto con braccia e gambe rotte. Anche per questo il 20 luglio
ci si ritrova in piazza Alimonda, «per non dimenticarlo».
dal manifesto