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I corpi del ricatto

Publie le giovedì 15 aprile 2004 par Open-Publishing

Due minuti e 15 secondi girati con mano incerta che manda fuori fuoco le carte d’identità dei
quattro italiani rapiti. Il film «amatoriale» ha un impatto ancor più drammatico incorniciato dalle
scritte arabe di al Jazeera nei suoi zoom incerti sulle facce tese dei prigionieri. Agenti di
sicurezza, vigilantes, componenti del più grande esercito attivo in Iraq dopo quello americano,
body-guard a protezione delle agenzie straniere impegnate nella «ricostruzione» del paese.

Il business
corre parallelo alla guerra, anticipa i tempi, cerca di mimetizzarsi nelle vesti del civile estraneo
al conflitto. Sono loro, le guardie del corpo delle imprese, a rivelare il paradosso estremo della
«missione di pace» in pieno conflitto. Ed ecco la «pace» riflessa negli occhi terrorizzati degli
ostaggi, circondati dai mitragliatori degli incappucciati che mettono in scena la strategia dei
sequestri secondo forme della comunicazione occidentale. Un reality-show con i tempi della suspence,
il coltello serrato alla gola del giapponese, le lacrime, la camera che allarga il campo e poi
stringe ad effetto sui volti delle vittime.

Lo spettacolo si ripete e dice di questa seconda guerra
fatta di mercenari protetti dal fuoco degli eserciti in una inversione di ruoli. Chi protegge chi?
È questa la missione storica infiammata di ideologia di Blair? La crociata occidentale, democrazia
contro integralismo islamico?

L’esercito senza divisa sequestrato in massa produce adesso una reazione di fuga, sotto l’ondata
emotiva dei telespettatori mondiali. Esodo da un paese infernale, da cui la Francia scappa a gambe
levate e con lei Portogallo, Russia, Polonia, Bulgaria (militari compresi) e tutti quelli che
credevano di combinare affari accanto ai cadaveri di civili ai quali promettevano di ridare una vita
normale.

E suona surreale la presa di posizione del governo italiano che «non tratta con i
terroristi» come se fossimo a casa nostra negli anni di piombo. Mentre davanti agli occhi di tutti si
svela la realtà negata, l’Iraq brucia, e si allontana la data del 30 giugno, il ministro degli esteri
riferisce le parole del presidente del consiglio: «La missione di pace dei soldati italiani, in
linea con gli impegni internazionali assunti, non è assolutamente in discussione». Dovrebbe essere
in discussione eccome la presenza dei «nostri ragazzi» al comando dell’esercito americano,
costretti a sparare sulla folla mentre altri «nostri» connazionali agiscono sotto copertura dei marines
alle dipendenze di un altro esercito di faccendieri.

È stridente questa doppia immagine del fronte iracheno. Lo scontro, le stragi, i morti e la
visione dei vigilantes sequestrati, ingombranti corpi di ricatto, che come dice disperatamente il
segretario dell’Onu «ostacolano gravemente» il ritorno delle Nazioni Unite e la soluzione del conflitto.
La dichiarazione piace a Berlusconi rammaricato per l’incidente di quegli italiani per caso,
«bloccati» dai facinorosi.

Ma se non rimane che la fuga alle nazioni che hanno preso atto della
tragedia, l’Italia balbetta, «farà di tutto per liberare gli ostaggi» e resta a fare da palo alla «pace».
I quattro italiani saranno liberati se - dicono i mujahidin - il governo italiano fisserà il
ritiro dei militari e chiederà «scuse ufficiali e pubbliche» che saranno diffuse dalle catene arabe
«per le sue esagerazioni e per l’oltraggio verso i musulmani e l’Islam» (ricordate la gaffe
berlusconiana?). Tirare fuori il portafoglio questa volta non basterà al miliardario di Arcore, davanti a
sé è apparsa l’inquadratura della realtà, e quei trofei umani che dicono l’indicibile, la guerra.

IL MANIFESTO