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I registi di questo spot non sono a Falluja: laggiù operano solo attori secondari...
Publie le domenica 18 aprile 2004 par Open-PublishingLe ore passano, sprofondandoci sempre di più nella disperazione e nell’angoscia per le feroci
uccisioni che stanno avvenendo, tanto più orribili in quanto annunciate. Annunciate da chi le compie
materialmente - il gruppo di militanti fanatici che ha sequestrato i nostri connazionali in Iraq -
ma anche da chi avrebbe il dovere e il potere di impedirle, negoziando condizioni plausibili per
il rilascio degli ostaggi. Il dovere e il potere: ma occorre anche la volontà, e questa sembra oggi
mancare totalmente al governo italiano - nonché alla parte maggiore dell’opposizione, trincerata
dietro il governo stesso in una tragica, grottesca ripetizione dell’«unità nazionale nella
fermezza» degli ultimi anni ’70.
Trattare non sarebbe impossibile, altri governi l’hanno fatto, lo stanno facendo, e ottengono il
risultato voluto. Forse anche il nostro governo l’ha fatto, silenziosamente, in casi precedenti;
ora invece, al di là del polverone che cerca di alzare, non sembra voler fare nulla, perché ha
scelto di giocare le vite di quei prigionieri a suo vantaggio. Quella a cui stiamo assistendo, con
orrore e disgusto, non è soltanto una serie di esecuzioni capitali senza processo: è la trasformazione
di queste morti in un gigantesco e spettacolare spot. Uno spot patriottardo e retorico, che occupa
tutti i media nazionali, in gloria di chi queste morti ha provocato con le sue irresponsabili
scelte di guerra; in gloria della «fermezza contro il terrorismo», della «natura pacifica della
presenza militare» italiana, dell’identificazione finale e indiscutibile tra colonialismo americano e
«democrazia, libertà, civiltà».
I registi di questo spot non sono a Falluja: laggiù operano solo attori secondari - piccoli boia
che pensano di essere eroici combattenti uccidendo con entusiasmo prigionieri inermi, non
diversamente da quei soldati americani che abbiamo visto e sentito nei filmati tv mentre uccidono a sangue
freddo, e con eguale entusiasmo, degli inermi feriti iracheni. No, i registi sono a Roma.
E’ nei corridoi del governo che si decidono operazioni come l’annuncio in diretta tv della morte
di Fabrizio Quattrocchi per fare audience e creare emozioni, in spregio alla più elementare
sensibilità verso le famiglie degli ostaggi inchiodate sotto le telecamere. E’ in quei corridoi che si
costruisce intorno a quattro sventurati connazionali un’assurda (ma utile, e usata senza ritegno)
mitologia sugli eroici «normali lavoratori italiani» - neanche fosse la cosa più scontata del mondo
lasciare un buon impiego in Italia per andare a svolgere non meglio precisati «lavori», armi in
pugno, in un paese in preda al caos e alla guerra.
E’ la forsennata determinazione del governo e dei media nel creare questa mitologia di morte,
invece di cercare una via di salvezza per gli ostaggi, che moltiplica oggi la nostra disperazione e la
nostra angoscia. Mai avevamo visto dispiegarsi un tale cinismo di fronte a delle morti annunciate
– ma si capisce, le elezioni sono alle porte e un po’ di orgoglio patriottico non fa male. A ben
pensare, comunque, c’è sempre il precedente di quell’uomo, un italiano, che diceva di aver bisogno
di qualche migliaio di morti per sedersi al tavolo della pace. Era il 1940, ci pare.
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