Home > I soldati? Già «assolti»
Il procuratore Intelisano: nella battaglia di Nassiriya gli italiani non
hanno commesso reati
Lo stato maggiore L’ammiraglio Di Paola: «Donne e bambini uccisi? Non è
colpa nostra». Forse nuove regole d’ingaggio e altre truppe in Iraq
Sono gli stessi militari italiani a raccontare di aver sparato come
pazzi, martedì a Nassiriya, nella battaglia per i ponti sull’Eufrate.
«Per fortuna gli argini erano protetti da barriere che ci hanno permesso
di operare in sicurezza e di rispondere al fuoco nella maniera più
violenta possibile», ha detto all’Ansa il tenente di vascello Francesco
Marino, degli incursori di Marina del San Marco. E ancora: «Anche noi
abbiamo sparato, anche contro delle case», ha ammesso il colonnello dei
bersaglieri Luigi Scollo su La Stampa di ieri. «Sul secondo ponte c’era
molta più gente, uomini ma anche donne e bambini», dice a Repubblica il
maggior generale Francesco Paolo Spagnuolo, raccontando poi dei
proiettili da 105 millimetri sparati col cannone dai blindati Centauro,
sbriciolando una casa nella quale si era nascosto un miliziano che
prendeva di mira i soldati.
«Quel fuoco - osserva Spagnuolo - andava
annientato, dovevamo pensare ai nostri uomini». Nessuno ha potuto
contare i morti: 25 secondo fonti mediche, 30 o 40 secondo testimoni.
Tra loro una donna e due bambini, forse di più: per i nostri comandi
militari erano «scudi umani» dietro i quali si nascondevano i
guerriglieri per colpire. Gli italiani dichiarano di aver sparato 30
mila colpu e un bilancio definitivo dei morti non ci sarà mai. Chi
invece sembra sapere già tutto è il procuratore militare di Roma
Antonino Intelisano, capo dell’ufficio giudiziario competente per gli
eventuali reati commessi dai nostri militari nell’Iraq occupato. Con una
nota un po’ sconcertante Intelisano ha cercato di correggere il Corriere
della sera, che ieri dava conto dell’apertura di un fascicolo
sull’operato di bersaglieri, San marco e carabinieri martedì a
Nassiriya. «L’’apertura di un fascicolo’ da parte della procura militare
di Roma non concerne l’avvio di un’indagine in senso proprio, ma
l’attività di monitoraggio di quanto accaduto.
Si tratta - scrive il
procuratore militare - di adempimento dovuto: le comunicazioni e le
stesse ricostruzioni giornalistiche confluiscono in un carteggio di
`atti relativi’, che, nella prassi giudiziaria, è ben diverso da
annotazioni nel registro delle notizie di reato, in concreto non
ravvisate, che costituiscono il presupposto di indagini preliminari, non
attivate. Non sono emersi infatti - conclude Intelisano - profili
suscettibili di responsabilità penale a carico di componenti del
contingente militare italiano, a fronte dell’aggressione armata,
condotta da soggetti ostili stranieri». Ma come fanno ad aver già
concluso, se al massimo possono aver letto stringati rapporti degli
organi di polizia militare (carabinieri) presenti? Se i soldati
sostengono di aver cessato il fuoco quando hanno visto donne e bambini
ma poi (almeno) una donna e due bambini risultano tra le vittime? A
conferma della sua natura squisitamente politica, la nota è stata
diffusa non dalla procura ma dallo stato maggiore della difesa, come se
l’ufficio di Intelisano ne fosse la più semplice delle articolazioni. E’
un particolare che la dice lunga sui rapporti tra magistrati militari e
generali.
C’è un discreto imbarazzo, negli ambienti della difesa. Basta ascoltare
le parole che l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, capo di stato maggiore,
ha balbettato ieri davanti alle telecamere, dopo aver accolto i feriti
all’aeroporto di Ciampino. «Mi sembrerebbe improprio considerare che
siccome si sparava, siccome tra le vittime ci sono state donne e
bambini, questi sono morti per il nostro fuoco... Non è stata un’azione
di guerra perché non siamo in guerra. Sono stati scontri provocati da
facinorosi che ci volevano impedire di svolgere il nostro lavoro».
Quella irachena rischia di essere una trappola mortale ed è già un
ginepraio politico-militare. Si parla di missione di peacekeeping in
assenza di forze nemiche da separare. Si parla di peacekeeping ma ai
nostri soldati gli ordini arrivano dal comando britannico, che ha appena
fatto la guerra: vale anche per l’ordine di martedì, quello di
riprendere i tre ponti sull’Eufrate. E si applica il codice penale
militare di guerra, non quello di pace. Dopo Nassiriya si comincia a
ipotizzare una modifica delle regole di ingaggio, per rendere lecito
l’uso delle armi anche in mancanza di aggressioni e di provocazioni
dirette, e l’invio di altri militari.