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Il Settantasette che fu, e quello che viene

Publie le lunedì 22 novembre 2004 par Open-Publishing
2 commenti

Dazibao


di Emiliano Sbaraglia

Approfittando di una recente pubblicazione della casa editrice “DeriveApprodi”, dal titolo “Settantasette. La rivoluzione che viene”, ci si chiedeva come mai la ricostruzione di quell’anno così intenso e decisivo per il futuro della nostra storia passata a recente, abbia dovuto subire tante frequenti revisioni e palesi distorsioni proprio da parte di chi quel periodo lo visse e lo raccontò in prima persona.
Su questo giornale ci siamo già occupati della questione (cfr. il numero 143, lettera di Cardulli a Pansa di martedì 16 novembre), ma vale la pena tornarci ancora per chiarire meglio alcune riflessioni, e le posizioni in merito.

In primo luogo quello che sconcerta è leggere il commento di uno storico del giornalismo politico (G.Paolo Pansa, appunto) sulla prima pagina di un quotidiano come Repubblica (cfr. sabato 13/11), basato sulla ricostruzione di un evento-simbolo di quel periodo - la cacciata di Lama dall’Università - che viene utilizzato dal giornalista per disegnare un quadro complessivamente fosco, torbido, violento e assassino dell’intero movimento del ‘77, condannato così al ruolo di “cattivo maestro” rispetto agli "espropri proletari" - o "precari" - organizzati dalla rete no-global a Roma.

Un’impostazione quella di Pansa che sollecita almeno due tipi di considerazioni.
La prima. Quella parte di movimento che si riconosce sotto la sigla dei “Disobbedienti”, provenienti dal Nord-Est della penisola ma presenti ed attivi in tutta Italia, è stata fra gli organizzatori delle azioni romane che, tra l’altro, hanno riscosso il plauso ed anche il malcelato favore della popolazione, beneficiaria e non di quella che è stata anche definita "spesa sociale".

Ma i Disobbedienti, seppure tra i più rappresentativi del movimento, non sono “il” movimento tutto, caratterizzato invece da una moltitudine di soggetti, di associazioni e di realtà politiche e culturali; così come, venticinque anni prima, non sono gli autonomi il cuore pulsante, l’ossatura fondante lo spirito rivoluzionario del ’77: essi sono piuttosto stati coloro i quali per primi hanno individuato il senso di disagio che già dagli inizi degli anni ’70 montava all’interno dell’intera società civile, dagli operai agli studenti, e che superata la fase della cosiddetta “presa di coscienza” avvenuta coll’esperienza “globale” del ’68, chiedeva un nuovo mondo attraverso nuove forme di lotta. Nel momento in cui questa richiesta viene trasformata dalle frange più estreme del movimento in violenza pura e scontro aperto, sarà il movimento stesso a dissolversi nel breve arco di pochi mesi. Questo senso disagio cui prima si accennava, oggi sembra tornare per la similarità riscontrabile tra i problemi di allora e quelli di adesso. Ma nessuno, oggi, si sogna di svuotare le armerie di Roma durante le manifestazioni. E questa enorme differenza deve essere sottolineata da un commentatore equilibrato e al servizio dell’informazione del lettore.

Secondo punto. La deriva violenta e omicida del ’77 nasceva storicamente da motivazioni che covavano sotto le ceneri da quasi un decennio. Dalla strage di Piazza Fontana in poi, infatti, la sensazione di connivenza tra l’estremismo di destra e i poteri dello Stato si fa sempre più forte, e dopo molti anni, quella sensazione di allora comincia ad essere supportata non soltanto dalle fonti ufficiose, bensì dalla precisione documentaria di inchieste basate su fatti e personaggi, realizzate sia dall’interno del Movimento che dalla stampa democratica.

Come non considerare dunque la responsabilità che ebbero le istituzioni nell’innalzamento del livello dello scontro nel corso degli anni settanta?
Quello stesso grado di co-responsabilità, che oggi si potrebbe imputare a chi, durante il G8 di Genova si impegnò, riuscendoci, nella riproposizione di chiare provocazioni nei confronti dei cittadini, e non di tutela, proprio come avvenne negli anni più bui di questa nostra sofferta democrazia, costellata da agenti in borghese e servizi segreti, accordi con cosche di vario genere e colpi di stato sfiorati, o solo parzialmente riusciti.

Tutto questo, quando si parla di movimenti, dal ’77 ad oggi, non può essere rimosso. Per correttezza professionale ed onestà morale.

http://www.aprileonline.info/articolo.asp?ID=2364&numero=147

Messaggi

  • I mal di Pansa sul ‘77

    Iniziare una requisitoria sul ’77 - basata sull’equivalenza "conflitto=terrorismo" - col citare il parere di Luciano Lama, diciamolo, non è il massimo dell’obiettività, neanche per G.P. In merito si vedano le osservazioni di Sansonetti su LIberazione; quel che a me preme ripetere, senza stancarmi, è che IL ’77 NON FU, tantomeno con gli automatismi apocalittici disegnati da Pansa, un semplice preludio al terrorismo che dilagò negli anni successivi, disperato, solipsistico, orridamente inumano e politicamente inane e i-diota.
    Fu quella del Movimento - soprattutto all’inizi, certo - una splendida stagione di condivisione collettiva, di speranza nel cambiamento, di creatività culturale e sociale vorticosa, iperattiva, utopica e gioiosa: qualcosa se ne può intravvedere in "Lavorare con lentezza", ma chiedete per favore anche ai vostri padri, alle zie femministe, ai loro amici, a chi c’era e c’è: non bevetevi l’astio sistemico che gronda dalle rievocazioni interessate, cercate di capire quel che è stato! E quel che non poté essere, castrato sul nascere da una repressione feroce e congiunta, da una incomprensione totale da parte di un blocco politico PCI-DC impossibilitato a connettere e di una sanguinaria ferocia autistica e ideologica, di un veteroKomunismo ormai inanimato e folle.

    http://lascolta.ilcannocchiale.it

  • cari compagni celano il Settantasette perche’ hanno paura che la gente acquisisca coscienza.Coscienza che un altro mondo e’ possibile,che il mondo declinato dalla merce e dalla mercificazione e’ in crisi.
    .Hanno paura della deriva dell’Occidente che esporta nichilismo, dell’emersione delle soggettivita’ altre, dagli immigrati musulmani agli zingari ai fratelli dell’est e dell’america latina.Sanno che la societa’ sta ritornando indietro, che pezzi di societa’ stanno proletarizzandosi, che milioni di persone si ritrovano senza nient’altro che le loro mani e i loro cervelli su un mercato del lavoro che non promette niente.
    Sanno che l’Argentina e’ dietro alle spalle e che non ce la faranno a mantenere i loro privilegi.E tremano appena uno si porta via una scatola di tonno.
    Hanno paura della vita, della vita delle famiglie numerose che per loro sono solo un problema sociale ed infatti sono favorevoli alla morte.fate meno figli ci dicono meno nascite uguale piu’ ricchezza.E noi ci mpoveriamo lo stesso.In realta’ meno nascite uguale meno case e lavoro uguale piu’ morte,recessione, miseria e depressione, ed un paese di vecchi che non funziona.State chiusi in casa perche’ ci sono i delinquenti ed invece i delinquenti sono loro.E invece l’espressione della soggettivita’ sociale li terrorizza.Significa vita,pace diritti.Quello che loro non vogliono se non per loro.Quelo che negano ai palestinesi ed agli iracheni negano a noi.Noi siamo i nuovi zombi.Siamo gia’ morti al mercato, all’egoismo di casta e di classe.Siamo portatori di una nuova soggettivita’ del conflitto e di nuove visioni del mondo, di una nuova spiritualita’ contro il loro crasso materialismo.Viviamo nell’armonia e nella condivisione quando loro vivono nel conflitto perenne e nell’egoistica esaltazione di se’ del dio-mercato e della religione dell’apparire.
    Unitevi di nuovo ZOMBI di tutto il mondo.