Home > Il Sudan fra l’Europa e gli USA
Nel Sudan la principale risorsa economica è il petrolio: produce circa 300.000 barili di greggio il giorno, con un utile stimato di oltre due miliardi di dollari l’anno.
Durante il G-8 di giugno si è approvato un documento che prevede un piano di addestramento di una forza di 50.000 militari destinati a missioni di pace in Africa e avrà la durata di cinque anni. Il governo del Sudan deve però disarmare la milizia Janjaweed e altri gruppi armati (dopo l’accordo raggiunto a gennaio che verteva soprattutto sulla spartizione del petrolio).
L’Unione Europea supporterà l’Unione Africana con uno stanziamento di dodici milioni di euro destinati al monitoraggio della regione che comprende Darfur. E gli USA? Gli USA hanno costruito una bella base militare a Gibuti per controllare tutto il Corno d’Africa. Dopo essere stato inserito fra gli Stati "canaglia" il Sudan ha ripreso i rapporti con gli americani autorizzando le compagnie petrolifere statunitensi a iniziare le attività sul proprio territorio. Ma non solo, aerei militari da trasporto possono atterrare a Khartoon per trasportare materiale nella nuova base.
Cosicchè a pace fatta l’estrazione del greggio può aumentare fino a raggiungere la produzione di 800.000 barili il giorno entro il 2010, però tutte le attività industriali connesse con l’estrazione del petrolio devono svolgersi in un clima di reale stabilità interna.
E già l’Iraq insegna, senza pace non si ricostruiscono i pozzi danneggiati, senza la loro ricostruzione poco petrolio.......
da "La situazione nel Darfur" , si può leggere:
Si è inaspettatamente complicato l’iter della risoluzione USA presentata al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che prevede la possibilià di imporre sanzioni contro il governo sudanese se le milizie arabe Janjaweed non venissero disarmate in breve tempo. Washington ha incassato infatti il deciso "sì" della Germania, ma ha suscitato i dubbi del Pakistan e, soprattutto, di Francia e Cina, due dei cinque paesi che al Consiglio godono nel diritto di voto.
Le autorità francesi in particolare, nonostante abbiano più volte "richiamato all’ordine" il governo sudanese in questi ultimi giorni, sono restie a imporre sanzioni contro Khartoum, appena uscita da una ventennale guerra civile che ha visto opposti il nord musulmano e il sud cristiano-animista controllato dalle forze del SPLA. Secondo le autorità francesi, eventuali sanzioni sarebbero controproducenti perché non raggiungerebbero il risultato prefissato, quello di far cessare le violenze nel Darfur.
Violenze che continuano, anche secondo il personale dell’ONU operante nella zona. Sembra che infatti i convogli umanitari destinati a soccorrere la popolazione locale siano sempre più oggetto di saccheggi da parte di uomini in divise militari non meglio identificati. Ovviamente governo e ribelli, organizzati nelle due formazioni del SLA (Sudan Liberation Army) e JEM (Justice and Equality Movement), giocano allo scaricabarile e si accusano vicendevolmente.
Intanto ad Addis Abeba, sede dell’Unione Africana, si sta mettendo a punto l’invio di circa 300 soldati (forniti da Rwanda e Nigeria) che avranno il compito di vigilare sulla sicurezza degli osservatori internazionali e della popolazione civile. La missione dovrebbe prendere il via a fine luglio. Il fatto che i "berretti verdi" africani possano proteggere anche i civili non va molto a genio al governo sudanese, che ritiene la protezione della popolazione locale una propria prerogativa.
Il problema maggiore sarà comunque vedere come una forza di appena 300 uomini riuscirà a garantire la sicurezza dei civili in una regione immensa, che necessiterebbe dell’invio di almeno 10.000 uomini per garantire una copertura efficace e uniforme del territorio.
Il conflitto nel Darfur, scoppiato nel febbraio del 2003, ha provocato almeno 10.000 morti e 1.000.000 di sfollati, 120.000 dei quali accolti nei campi profughi del vicino Chad.