Home > Il nuovo duello An-Tremonti Berlusconi
Fini e il premier ai ferri corti
ROMA - Non arretra di un centimetro. Non potrebbe neppure se volesse, ormai. Pare anzi che Silvio
Berlusconi abbia già dato disposizioni precise per riconvertire l’intera campagna elettorale,
manifesti inclusi, centrandola sulla diminuzione delle tasse. I sondaggi parlano chiaro, confermano
che i consensi per il centrodestra e per Forza Italia in particolare sono in calo netto. Fallite
tutte le altre argomentazioni, il premier è convinto di avere in mano una sola carta vincente, il
taglio delle imposte. Checché ne pensino gli alleati. Dunque torna in tv e dal video promette di
nuovo. Si impegna a portare «entro il corrente mese di aprile di fronte al consiglio dei ministri una
finanziaria che permetta di ridurre le tasse a partire dall’anno fiscale 2005». L’abbattimento
delle aliquote non inciderà sul patto di stabilità. «I patti di Maastricht - giura - saranno
rispettati». E lo stato sociale, figurarsi, «non sarà intaccato». Un miracolo.
Convinto più di come non si potrebbe, il cavaliere non è però ancora riuscito a convincere gli
alleati. An, gelida, non commenta. Maroni, per la Lega, si limita a constatare che «non sappiamo
ancora cosa abbia in mente Berlusconi: spero che ce lo dirà nei prossimi giorni». Follini, dai vertici
dell’Udc, ricorda che il progetto del capo, riduzione delle aliquote a due sole, una del 33 e
l’altra del 23%, era nel programma della coalizione. Sui tempi e sui modi della riforma, però, non si
pronuncia.
Per ora la trovata geniale del cavaliere non solo non ha prodotto gli effetti desiderati ma è
addirittura riuscita a peggiorare i già pessimi rapporti interni alla coalizione. Fini, che in base al
trattato conclusivo della «verifica» avrebbe dovuto avere un ruolo primario nella definizione
della politica economica, ha dovuto prendere atto della presa in giro. L’annuncio della imminente
riduzione delle tasse gli è arrivato, come a un cittadino qualsiasi, ascoltando a bocca aperta il
Silvio di Cernobbio, una settimana fa. Come avrebbe potuto non presentare il conto, rivendicando
quelle deleghe che gli erano state promesse?
Berlusconi ammette il ritardo: «Una parte delle verifica deve ancora essere attuata». E lo spiega
così: «Ci sono dissensi tra Fini e Tremonti. Con la nota pazienza questo cristiano sta cercando di
comporre i dissensi». Trasparente, si diffonde anche sulla natura dei dissensi in questione: «Il
ministro del tesoro ha delle riserve sull’affidare a Fini la guida del Cipe. Teme che questa
struttura possa diventare un altro ministero». Teme, in concreto, che Fini possa davvero mettere bocca
nelle sue decisioni.
L’affronto per il vicepremier sarebbe già clamoroso, ma naturalmente arriva di corsa la Lega per
rincarare il più possibile. La solita, collaudata, doppietta. Prima Calderoli: «Se Tremonti ha
timori del genere vuol dire che qualcuno intende interpretare in modo troppo estensivo il documento
conclusivo della verifica». Poi Alessandro Cé, anche più truce: «Tremonti ha ragione. E’ lui l’unico
titolare della politica economica del governo. Un nuovo centro di potere porterebbe solo sprechi e
confusione».
E così, per Fini, al danno si aggiunge una dolorosa beffa. Il vicepremier non può non reagire. Non
si poresenta alla tavola rotonda con Tremonti, a Milano. In compenso fa filtrare un messaggio
preciso, durissimo, ultimativo: «An attende di capire se Berlusconi voglia o meno decidere e se
intenda o meno rispettare il documento di fine verifica, sottoscritto da tutti i leader della Cdl».
Alla prova della riforma fiscale e a quella delle urne, insomma, la Cdl arriva più divisa e
avvelenata che mai. Anche perché, sullo sfondo, proseguono le polemiche durissime seguite all’occupazine
leghista della camera, con il solito Cé che torna ad accusare Fiori e An di «vagiti di fascismo».
Ovvio che, a questo punto, l’opposizoine scenda in campo e incalzi Berlusconi perché sveli il suo
gioco. «Chiediamo al governo - dice Fassino - di venire in parlamento e lanciare una proposta, in
modo che si possa discutere seriamente e non rimanere soltanto ai messaggi propagandistici». Una
sfida che, per ora, il premier proprio non può raccogliere. Una proposta «del governo» o «della
maggioranza» semplicemente non esiste.
MANIFESTO