Home > Il tempo della realtà virtuale
di Furio Colombo
Due giorni fa a Baghdad è avvenuto il passaggio di poteri tra il governatore americano Bremer e il nuovo primo ministro iracheno Allawi. Il primo ministro Allawi è una creatura di Bremer non nel senso politico in cui si dice che qualcuno deve la sua carriera a un altro. No, Allawi è stato inventato e insediato da Bremer che lo ha definito «primo ministro». Niente di male, dopo il disastro di guerra che si è abbattuto sull’Iraq polverizzando non solo gli edifici ma ogni struttura sociale buona o cattiva di qualsiasi tipo, dalle scuole elementari alle università, dai municipi agli ospedali, dai corpi di polizia a quelli giudiziari.
L’evento comunque è avvenuto in luogo non identificato, in ora segreta, si è realizzato attraverso la consegna di una sottile cartellina blu che non poteva contenere più di un foglio o due. Quando si è saputo, Bremer era già negli Stati Uniti. Non è scandaloso che alcuni giornali e telegiornali italiani (nessun giornale o telegiornale americano) abbiamo parlato di Iraq in festa. L’importante è decidere che si sta al gioco. Se c’è stato un simile evento - l’Iraq che torna nelle mani di un governo iracheno - è ragionevole che ci sia festa. Sul piano reale niente di ciò che è stato annunciato è vero perché - tranne forze armate e ribelli - non c’è nessuno per le strade. Infatti non si vede alcuna scena o alcuna foto di festa. Sul piano virtuale invece basta dirlo perché sia vero. La ragione non è (non è solo) il dominio dei media. La ragione è che non c’è alcuna altra fonte.
Ieri il prigioniero Saddam Hussein è stato «consegnato» alle autorità giudiziarie irachene. Ci è stato detto: si è presentato davanti al giudice. Non è vero. È il giudice (un tale che ci dicono sia il giudice) che si è presentato in televisione a raccontare la storia. Ha anche detto che «Saddam Hussein è dimagrito». Quel che sta avvenendo è un nuovo tipo di «reality show». Un tale, in una stanza chiusa e non identificata, ti racconta ciò che succede in un’altra stanza chiusa che tu non vedi e non vedrai mai, e tu devi crederci. Devi, perché la realtà finisce lì. Non c’è prova, non c’è riscontro, non c’è altro. Ma se non ti mostri subito persuaso e con una sfumatura d’entusiasmo per «gli eventi» susciti qualche sospetto. Da che parte stai?
La storia ormai è rigorosamente virtuale. Che vuole dire: si annuncia, si celebra, e non importa che sia accaduto. Se ci sono giornalisti sul posto, gentilmente si adeguano. Si prestano a descrivere un Iraq festante, a dirlo persino in televisione anche se non vi sono immagini a sostenere l’evento. Del resto - almeno nei telegiornali italiani, si è trovato da tempo un rimedio alla immensa differenza tra ciò che dice il giornalista e ciò che si vedrebbe se il giornalista andasse con le telecamere per le strade. Accettiamo la ragione di buon senso e di normale precauzione: non si può andare per le strade dell’Iraq, a Baghdad o a Nassiriya, perché è troppo pericoloso.
Piccole bande di rivoltosi, che saranno anche l’infima parte (forse stranieri) di un Paese distrutto ma grato e festoso, che però si trovano in tutti gli angoli di tutte le strade, potrebbero disturbare le riprese. L’importante è non dirlo. L’importante è che il giornalista o la giornalista compaiano sempre ed esattamente nella stessa inquadratura (tenda mimetica tipo ostaggi per i reporter di Nassiriya, inquadratura fissa sempre con la stessa moschea e minareto sul fondo, a sinistra del reporter, per Baghdad) e da quella inquadratura, da cui non si vede niente, dicano ciò che si deve dire quel giorno secondo la striscia di comunicazioni della realtà virtuale. Al resto provvede il repertorio, sempre la stessa colonna di camion, sempre lo stesso cingolato in primissimo piano, e uno scorcio di strada che si intravede appena tra un’arma pesante da un lato e la sagoma di un soldato dall’altro lato. È un po’ come il lavoro della volonterosa sonda spaziale su Marte, pochi metri in avanti, pochi metri di lato. Se ha trovato l’acqua, non ha potuto farcela vedere. Ma ci crediamo. Manca qualcosa alla realtà virtuale delle notizie. Mancano comparse e attori. Urge un protagonista nella parte di Saddam Hussein. Presto rimedieranno, sarà più difficile interpretare i morti.
L’Unita’