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"Il fatto che possiamo partecipare ai prossimi appuntamenti elettorali sarà un indicatore della volontà di Zapatero di affrontare il conflitto" (Arnaldo Otegi)
Amaia Fano - Bilbao
Come nella canzone di Serrat, Arnaldo Otegi è convinto che la prossima domenica "può essere gran un giorno". Un giorno per la speranza. "La mia è che sia i contributi forniti dal Nazio Eztabaidagunea (Foro di Dibattito Nazionale, N.d.T.), una proposta per la costituzione di un tavolo stabile di partiti per la risoluzione del conflitto ed un’altra di costituzione di un consiglio per lo sviluppo nazionale di Euskal Herria (Paese Basco, N.d.T.), alla cui elaborazione abbiamo partecipato, sia quelli delle altre formazioni politiche, sociali e sindacali di questo paese, facciano sì che l’Aberri Eguna (Giorno della Patria, festa nazionale basca, N.d.T.) dell’anno prossimo non sia il giorno nel quale gli indipendentisti di Euskal Herria rivendicano il loro progetto politico, bensì il giorno nel quale tutti i baschi e le basche si sono messe d’accordo sulle regole del gioco democratico che devono articolare la nostra vita sociale, politica e culturale, indipendentemente della nostra ideologia o appartenenza", nota il leader e portavoce della formazione messa fuori legge, Batasuna.
Questo nuovo Foro Nazionale di Dibattito raccoglie il testimone di Lizarra-Garazi (Accordo di Lizarra-Garazi, del settembre 1998, aveva portato ad una tregua unilaterale di ETA, mai accettata dallo Stato spagnolo, N.d.T.)?
Piuttosto lo attualizza, in consonanza con la proposta che noi facemmo a Bergara. Non c’è dubbio che il 1998 costituì un punto di inflessione nella politica basca ed oggi tutti riconoscono che siamo alle porte di una seconda transizione. Ora la cosa fondamentale è porsi di fronte a questa nuova situazione, individuando bene le priorità per i baschi e le basche, e questa priorità per noi è la risoluzione del conflitto.
In che parametri?
Ciò che proponiamo è che ci deve essere un accordo previo tra i baschi, per poi andare in Europa o a Madrid. Ma non a difendere un progetto di partito, bensì un modello di soluzione democratico, che, per noi, passa per il riconoscimento della nazione basca e del suo diritto a decidere.
Patxi Zabaleta (dirigente di Aralar, formazione scissionista della sinistra indipendentista basca, N.d.T.), dice che voi commettete un primo errore di diagnosi attribuendo la causa del conflitto unicamente al non riconoscimento del diritto alla libera decisione da parte degli Stati spagnolo e francese ed un secondo, credendo che sia incompatibile difendere gli avanzamenti autonomistici e scommettere contemporaneamente sulla creazione di uno Stato basco indipendente.
Il signor Zabaleta ha una confusione enorme rispetto a ciò che propone la sinistra indipendentista basca. Ovvio che autonomia ed indipendenza non sono concetti antagonisti e che storicamente la sinistra indipendentista basca ha difeso un modello tattico di autonomia per Euskal Herria. Ora, ciò che diciamo, è che il ciclo dell’autonomia, apertosi nel 1977, è assolutamente esaurito. Tornare ad insistere su questo, in termini di riforma statutaria, ci sembra un grave errore politico.
Date per fatto un nuovo accordo tra Partito Nazionalista Basco (PNV) e Partito Socialista Basco (PSEE-EE) su questa linea?
È sempre esistita una corrente di intendimento tra il PSOE ed il PNV. Questo si trova subito di fronte ad un bivio, che è decidere se vuole tornare a stringere un patto con i socialisti in termini di gestione statutaria o promuovere, insieme alla sinistra indipendentista basca, una dinamica di superamento del conflitto, andando alle sue radici. A questo proposito, ciò che diciamo ad Ibarretxe (Presidente del Governo Autonomo Basco, N.d.T.) e Josu Jon Imaz (leader del PNV, N.d.T.) è che ora è il momento di essere pragmatici e di essere flessibili.
Fino a dove siete disposti ad esserlo?
Per noi la conclusione di questa fase storica deve essere il riconoscimento della nazione basca e del suo diritto a decidere. Se, a partire da queste basi, qualcuno sostiene che, tra il riconoscimento e l’esercizio di questo diritto, si debba costituire una cornice di transizione in un regime autonomistico, non abbiamo nessun problema. Diciamo solo che siamo alle porte dell’apertura di un secondo ciclo e che dalla nostra capacità di amalgamare settori e sommare volontà e dalla nostra intelligenza politica dipende che questo processo vada in una direzione soddisfacente.
Allora, accettereste ancora alcuni anni di "sano autonomismo"?
A patto che, dentro questo status di autonomia che si propone come fase transitoria, lo Stato si impegni a rispettare quello che i baschi e le basche decidano. Qui nessuno propone di praticare dopodomani il diritto di autodeterminazione. È evidente che, prima, noi baschi e basche dovremo metterci d’accordo per proporre un modello di transizione politica, che fissi una forma di relazione con lo Stato e che su questo modello di transizione deve esserci un accordo ampio. Ma questo accordo deve prevedere che, alla fine, questo processo sbocchi nell’esercizio del diritto di autodeterminazione.
Lei non sembra molto preoccupato per il fatto che sulla sua persona pesi una condanna alla prigione ed all’interdizione dai pubblici uffici per un supposto reato di apologia del terrorismo...
Questo fa parte delle preoccupazioni personali. In ogni caso, sono convinto che la nostra sorte penale come la sorte politica e legale della sinistra indipendentista basca, sia legata al cambiamento politico che ci può essere a partire da ora, in questo paese.
Confida nel fatto che una deroga dalla Legge sui Partiti vi permetta di ritornare alla legalità?
Questo dipende dalla volontà del Governo spagnolo. La sinistra indipendentista basca è una realtà assolutamente radicata in questo paese, indipendentemente da ciò che decidano i Governi spagnolo e francese, ma è evidente che, se si vuole dare soluzione al problema, rispetto a Batasuna bisogna tornare sui passi finora compiuti. Il fatto che possiamo partecipare ai prossimi appuntamenti elettorali sarà anche un indicatore della volontà di Zapatero di affrontare il conflitto.
Gli altri partiti nazionalisti, oltre ad EB-IU (Izquierda Unida basca, N.d.T.), concordano sul fatto che il passo previo, per questo, sia che ETA dichiari una tregua...
Beh, non lo so, questo è il serpente che si morde la coda, per il io, per ora, con molta pazienza, ho trovato solo una soluzione. Se tutti devono prendere decisioni, prendiamole contemporaneamente.
Continua a vedere volontà, da parte di ETA, di abbandonare la lotta armata?
Sono convinto di questo. I suoi ultimi comunicati, costituendo un chiaro invito al nuovo governo della Spagna a sedersi a parlare, puntano in questa direzione.
Fino a che punto, la situazione creata dopo gli attentati dell’11marzo, impone una nuova riflessione a questo proposito, nell’organizzazione?
Credo che nessuno possa sottrarsi ad una riflessione complessiva, non solo sugli avvenimenti dell’11 marzo a Madrid, bensì sulla nuova situazione internazionale. L’importante continua ad essere capire che è possibile cambiare lo scenario se c’è volontà politica e che per questo non possiamo basare le nostre speranze su soggetti esterni. Lo sforzo va fatto qui ed ora, e lo dobbiamo fare tra noi.
Come vanno i vostri colloqui con Aralar per formare una lista unica di carattere nazionale, in vista delle prossime elezioni europee?
Noi abbiamo risposto partendo da un atteggiamento positivo alla proposta che fattaci da Aralar perché, in definitiva, Euskal Herria Bai (lista con la quale Aralar ha partecipato alla tornata elettorale del 14 marzo scorso, N.d.T.) raccoglie lo spirito della Proposta da noi avanzata a Bergara...
... con l’aggiunta di una dichiarazione pubblica a favore dei Diritti Umani e dell’utilizzo di vie esclusivamente politiche...
Un’aggiunta che noi abbiamo già sottoscritto a suo tempo. Dunque, non c’è novità in questo. Curiosamente, l’ultimo sondaggio elaborato dal Governo basco, viene a confermare che la maggioranza della società basca è in sintonia con ciò che noi proponevamo. Secondo questa indagine, alla maggioranza dei baschi e delle basche sarebbe piaciuta una coalizione nazionalista per le elezioni generali, perché considerano che avrebbe aiutato a difendere meglio gli interessi di questo paese. Ma nemmeno ora questo sarà possibile, perché sia il PNV, sia Eusko Alkartasuna, hanno già stabilito le loro alleanze per le elezioni europee. Un peccato, tenendo conto che queste si svolgono nei sette herrialdes (territori baschi, quattro sotto amministrazione spagnola e tre sotto amministrazione francese, N.d.T.). Una lista nazionale unita, ci avrebbe permesso di sapere di quale appoggio dispongono le posizioni dei partiti che, come noi, si dicono indipendentisti nell’insieme di Euskal Herria.
Una sorta di prereferendum?
Ci saranno nuove occasioni... l’importante è che la società basca è in piena sintonia con la filosofia di Bergara, il che viene a confermare la necessità che noi baschi e basche ci mettiamo d’accordo, senza esclusioni, su cosa vogliamo discutere e negoziare con Madrid e Parigi.
La vittoria del PSOE, il 14 marzo, spianerà la strada su questo lato del confine?
Non è la prima volta che i socialisti governano la Spagna e sappiamo già che esperienza abbiamo avuto con loro nel recente passato. Non bisogna neanche dimenticare che il PP ha mantenuto un atteggiamento assolutamente autoritario e di taglio delle libertà ma che è stato, in ogni momento, assecondato dal PSOE e dallo stesso Rodríguez Zapatero. Questo è il PSOE che abbiamo avuto fino ad ora ed almeno noi non prevediamo nessun tipo di variazione, a breve. Ciononostante, la sinistra indipendentista basca ha sempre riposto le sue speranze nel fatto che, indipendentemente delle sigle, a capo del Governo spagnolo ci sia qualcuno con una statura da statista, che sia capace di riconoscere che ad un conflitto politico bisogna dare soluzioni politiche. Se questo sia più vicino o no, con Zapatero, non tocca a noi pronosticarlo. Saranno i fatti che, in definitiva, a dire se questa speranza deve crescere o diminuire.
A prima vista, sembra che il fatto che Zapatero non disponga di maggioranza assoluta lo obblighi a mantenere un atteggiamento più dialogante...
In sede parlamentare. Il problema è come e verso cosa si orienta questo dialogo. Ci piacerebbe che si orientasse verso la risoluzione del conflitto. Sarei favorevolmente impressionato se Rodríguez Zapatero fosse capace di fare una dichiarazione come quella di Downing Street. Una dichiarazione del capo del Governo spagnolo che riconosce che i cittadini e le cittadine di Araba, Gipuzkoa, Bizkaia e Nafarroa hanno diritto a decidere e che lo Stato rispetta ciò che decidano, significherebbe un passo da giganti nella risoluzione del conflitto.