Home > Intronato di guerra
Non ho mai visto una testa presidenziale più intronata di quella che ho visto l’altra sera durante
la conferenza stampa di George W. Bush. Parla ancora di ritrovare le «armi si distruzione di
massa», questa volta nella «fattoria dei tacchini» di Saddam. Tacchini, esattamente. Chiaramente la
Casa Bianca pensa che ci siano abbastanza cretini nei 17 stati ancora in bilico che se la bevono.
Penso li aspetti un brusco risveglio... Sono stato rinchiuso per settimane nella sala di montaggio a
finire il mio film (Fahrenheit 911). Per questo non mi sono fatto vivo negli ultimi tempi. Ma dopo
la riproposizione di Lyndon Johnson che ha avuto luogo la notte scorsa nella East Room - in cui si
prometteva fondamentalmente di spedire ancora altre truppe nell’inghiottitoio iracheno - beh,
dovevo scrivere due righe.
Innanzitutto, riusciamo a farla finita con questo linguaggio orwelliano e cominciare a chiamare le
cose con il loro nome? Quelli che sono in Iraq, non sono «imprenditori». Non sono lì per riparare
un tetto o per spalmare calcestruzzo su un piano stradale. Sono mercenari e soldati di ventura.
Sono lì per i soldi, e la paga è molto buona - se riesci a vivere abbastanza per godertela. La
Halliburton non è un «società» che sta facendo affari in Iraq.
Sono profittatori di guerra che stanno sfilando milioni dalle tasche dell’americano medio. Nelle
guerre passate sarebbero stati arrestati - o peggio.
Gli iracheni che si sono ribellati all’occupazione non sono «rivoltosi» o «terroristi» o «il
nemico». Sono la rivoluzione, come i minutemen americani, e il loro numero è destinato a crescere - e
vinceranno. Ha afferrato il concetto, signor Bush? Ha fatto chiudere un maledetto settimanale, lei
grande dispensatore di libertà e democrazia, e allora si è scatenato l’inferno. Il giornale aveva
10.000 lettori in tutto! Perché fa quel sorrisetto da furbo?
Un anno dopo aver pulito la faccia della statua di Saddam con la bandiera americana prima di
tirarla giù, siamo in una situazione tale che è troppo pericoloso per un operatore dell’informazione
tornare oggi da solo in quella piazza e fare un servizio sulla magnifica celebrazione del primo
anniversario. Naturalmente, non ci sono celebrazioni, e quei coraggiosi giornalisti embedded con i
loro capelli cotonati non possono neppure uscire dal recinto di sicurezza del forte nel centro di
Bagdad. In realtà loro non vedono mai quello che sta accadendo in Iraq (la maggior parte delle
immagini che vediamo in televisione sono riprese dai media arabi o europei). Quando guardate un servizio
«dall’Iraq», quello che vedete è un comunicato stampa fornito dalle forze d’occupazione Usa e
rivenduto a voi come notizia.
Al momento ci sono in Iraq due miei cineoperatori/fotoreporter che lavorano per il mio film
(all’insaputa del nostro esercito). Parlano con i soldati e stanno raccogliendo i veri sentimenti e le
opinioni su ciò che sta veramente succedendo. Ogni settimana mi spediscono a casa il metraggio via
Federal Express. Avete capito bene, Fed Ex, e chi ha detto che non abbiamo portato la libertà in
Iraq? La storia più buffa che i miei collaboratori mi hanno raccontato è il fatto che quando
scendono dal volo a Baghdad non devono far vedere il passaporto o passare il controllo immigrazione.
Perché no? Perché loro non hanno viaggiato da un paese straniero a un altro - loro stanno arrivando
dall’America in America, un posto che ci appartiene, un nuovo territorio americano chiamato Iraq.
Si parla tanto fra gli oppositori di Bush del fatto che dovremmo consegnare questa guerra nelle
mani delle Nazioni unite. Perché gli altri paesi del mondo, paesi che hanno tentato di dissuaderci
da questa follia, dovrebbero ora rimettere ordine nel nostro caos? Mi oppongo a che l’Onu, o
chiunque altro, rischi la vita dei propri cittadini per tirarci fuori dalla nostra debacle. Mi dispiace,
ma la maggioranza degli americani ha appoggiato questa guerra, una volta iniziata, e, per quanto
triste, quella maggioranza deve ora sacrificare i propri figli finché sarà versato abbastanza
sangue da far sì che forse - proprio forse - Dio e il popolo iracheno possano infine perdonarci. Fino a
quel momento, godetevi la «pacificazione» di Falluja, il «contenimento» di Sadr City e la prossima
Offensiva del Tet - oops, volevo dire, «l’attacco terrorista da parte di un gruppuscolo di fedeli
baathisti» (adoro scrivere queste parole, «fedeli Baahtisti» fa tanto Peter Jennings) - seguite da
una conferenza stampa in cui ci si dirà che dobbiamo «mantenere la rotta» perché stiamo
«conquistando i cuori e le menti della gente».
Presto scriverò ancora. Non disperate. Ricordatevi che il popolo americano non è poi così stupido.
Certo, possiamo farci spaventare tanto da farci portare in guerra, ma prima o poi ci riprendiamo
sempre - ciò per cui questo non è come il Vietnam è il fatto che non ci sono voluti quattro lunghi
anni per capire che ci avevano mentito.
MANIFESTO