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Iraq: quello che non si dice... ma gli umanitari vedono

Publie le mercoledì 14 aprile 2004 par Open-Publishing

Reportage da Annalisa Lombardi

operatrice ICS da Baghad

Il vuoto di potere in Iraq seguito alla caduta di Saddam Hussein e
l’incapacità dell’amministrazione USA di stabilire un’autorità nazionale
riconosciuta legittima hanno innescato una lotta per il potere che è in
corso da mesi all’interno dei diversi gruppi etnico-religiosi e tra le loro
stesse frange estremiste e le potenze occupanti. Con l’avvicinarsi della
scadenza del 30 giugno le tensioni interne ed esterne hanno assunto la
forma di aperto conflitto.

Tuttavia, definire il conflitto in corso come la rivolta sciita, e di
conseguenza della maggioranza della popolazione irachena, contro le forze
della coalizione potrebbe forse rappresentare un’eccessiva semplificazione:
occorre tenere presente che Muktad Al Sadr mobilitando le sue milizie
contro le potenze occupanti ha scosso anche gli equilibri interni sciiti.

L’indiscussa autorità sciita è rappresentata dall’ayatollah Al Sistani, il
quale ha sempre dimostrato grande responsabilità politica e soprattutto ha
sempre avuto posizioni moderate nei confronti delle forze della coalizione.

L’approvazione della Costituzione Provvisoria irachena ha rappresentato un
grave motivo di rottura tra Al Sistani e l’amministrazione guidata da
Bremer. Il motivo di tale rottura è da ricercare nell’art. 61 che, nello
stabilire le procedure per la stesura e l’approvazione della Costituzione
definitiva al comma c, in pratica garantisce il diritto di veto delle
province curde, poiché stabilisce che nel caso in cui i due terzi dei
cittadini di tre o più governatorati ne rigettino il testo, il referendum
per la ratifica avrebbe esito negativo. I gravi contrasti sul piano
politico-diplomatico non sono però sfociati in scontri aperti, questo per
la stessa precisa volontà dell’ayatollah, che ha anche lasciato che i
membri sciiti del Governor Council sottoscrivessero il testo costituzionale
provvisorio. Al Sistani ha dunque mantenuto la propria posizione
"attendista" e sempre disposta al dialogo; in questo Al Sistani dimostra
non solo responsabilità e abilità, ma anche la consapevolezza della propria
autorità sui fedeli sciiti. Ed è su questo terreno che si combatte la sfida
tutta interna allo sciismo iracheno con Muktad Al Sadr.

Muktad Al Sadr ha organizzato la sua milizia sul modello degli hezbollah, è
leader di un movimento politico che aveva un proprio giornale, Hausa. Le
dimostrazioni dei miliziani di Al Sadr sono cominciate in reazione alla
chiusura del giornale ordinata dell’amministrazione civile USA, per motivi
di pubblica sicurezza e sono poi esplose alla notizia dell’arresto di uno
stretto collaboratore di Al Sadr, Mohammed Al Yakubi.

Al Sadr ha da sempre sostenuto tesi radicali, la domanda che ci facciamo è
perché l’amministrazione USA abbia scelto proprio questo momento per
innescare il conflitto.

Possiamo rispondere solo avanzando ipotesi.

Pare che in questo momento sia in atto un avvicendamento delle truppe USA,
ma nonostante l’arrivo di quelle nuove, quelle da congedare non sono state
ancora rimpatriate, quindi il numero degli effettivi è maggiore. La
scadenza del 30 giugno si avvicina e le incognite che gravano sul
trasferimento di poteri all’amministrazione irachena sono ancora troppe,
l’amministrazione Bremer potrebbe aver deciso di avviare un’operazione che
consentisse di eliminare i fattori di maggiore instabilità tra gli
oppositori alle forze della coalizione: gli sciiti di Al Sadr e i sunniti
di Falluja. Ci potrebbero essere state valutazioni sulla variabile
rappresentata dalle presidenziali USA? Sarebbe preferibile che le
contraddizioni e i contrasti irrisolti all’interno dell’amministrazione
irachena non esplodano proprio alla vigilia delle elezioni, l’immagine del
presidente uscente potrebbe esserne indebolita.

Ancora una volta però, Al Sistani apre al compromesso e invita i fedeli a
scendere in strada e dimostrare in favore di Al Sadr: non emana però una
fatwa, non chiama alla lotta, chiama alla resistenza pacifica contro le
ingerenze delle forze della coalizione e in sostegno dei principi sostenuti
da Al Sadr. Ma la violenza non viene ammessa se non in risposta ad atti di
violenza.

Il punto è che le milizie di Al Sadr contano certamente i fedeli del leader
sciita, ma anche un numero imprecisato di disperati, persone che non hanno
niente da perdere, non un lavoro, non una casa, gente che coglie
l’occasione per approfittare di una seconda ondata di saccheggi e furti.
Tutti ricordano la prima, un anno fa, avvenuta in concomitanza con
l’ingresso a Baghdad delle truppe USA. Ed è questo che la gente di Baghdad
teme, ieri i professori delle università di Baghdad hanno chiesto ai loro
studenti di portare e custodire nelle loro case i computer, persino la
stessa popolazione sciita di Al Sadr City ha paura. Stamane (8 aprile, ndr
) non si combatte a Al Sadr City, i violenti scontri dei giorni scorsi si
sono placati, ma la tensione resta altissima, strade e quartieri del
sobborgo sono barricati e protetti da miliziani armati. Durante le notti si
sono sentite violenti esplosioni provenienti dall’area. Si temono
iniziative irresponsabili da entrambe le parti. I tank americani presidiano
i punti nevralgici dell’ex-Saddam City, nel resto della città la presenza
di pattuglie militari è incrementata in modo esponenziale. Dalle moschee
dell’area viene lanciato il messaggio che Al Sadr è il braccio destro di Al
Sistani, ma la gente comune continua a ripetere di non essere disposta a
combattere per un uomo, se occorre combattere sarà per l’Iraq.

A Bassora e Kut i soldati della coalizione (britannici nel primo caso e
ucraini nel secondo) hanno lasciato i centri abitati nelle mani della
polizia irachena che si è unita alle milizie di Al Sadr e si sono ritirati
nelle proprie basi, secondo le precise richieste di Muktad Al Sadr, e la
situazione sembra essere rientrata. Stessa cosa è successa a Najaf e Kufa.

Anche a Nassirya e nelle altre città del sud la condizione per la
cessazione dei conflitti in corso è la stessa. Tra la piccola comunità di
stranieri in Iraq il livello di tensione è comunque ai massimi livelli, le
voci si rincorrono, attacchi, rapimenti, piani di evacuazione, vie
terrestri e/o aeree di fuga da considerare: un delirio.

Una cosa è certa: in questo conflitto le ONG non sono parte in causa, e
nonostante i ripetuti attacchi contro gli stranieri avvenuti in Iraq
nell’ultimo anno, forse non lo sono mai state, almeno quelle che, come noi,
hanno ribadito la propria posizione di neutralità tra le parti e
indipendenza dalle forze di occupazione.

E intanto quello che non si dice accade a Falluja e Ramadi, dove si
combatte la guerra degli Americani contro i sunniti, dove pare che sia
stata colpita la moschea e il numero delle vittime civili cresce
vertiginosamente, ora dopo ora. L’autostrada 10 che collega Baghdad ad
Amman è chiusa da lunedì per consentire le operazioni militari USA. Pare
che la gente di Falluja abbia chiesto ai soldati USA di lasciare andare
donne e bambini, ma che la richiesta non sia stata accolta. I raid stanno
colpendo anche i villaggi vicini, dai quali pare che invece donne e bambini
siano stati allontanati. Gli uomini si dicono pronti a difendersi.

Nessuno, giornalista o operatore umanitario è riuscito ad avvicinarsi a
Falluja, nessuno può testimoniare quello che sta succedendo, ma la gente di
Baghdad, gli sciiti di Sadr City si stanno mobilitando per consegnare
medicinali e attrezzature ai feriti. Anche la comunità sunnita di Baghdad
si sta mobilitando, i membri del partito islamico iracheno, sunnita, hanno
organizzato una raccolta di medicinali, sangue e beni di prima necessità,
questa mattina alle 7 dalla moschea Umm Al Kora, situata nell’area ovest di
Baghdad, in macchina o a piedi si stanno dirigendo a Falluja per portare i
soccorsi. Il loro obiettivo è chiedere in modo pacifico alle truppe USA che
presidiano l’autostrada 10 di consentire il passaggio alla volta di
Falluja. Mancano ancora le sacche per la raccolta del sangue, alcune
persone andate a donare il proprio sangue sono state rimandate a casa a
causa di questa carenza. Si stanno anche raccogliendo sacchi di farina,
taniche d’acqua, antibiotici e garze.

Nell’intera area tra Falluja e Ramadi si rischia la crisi umanitaria….