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KABUL : pensieri di viaggio

Publie le martedì 6 aprile 2004 par Open-Publishing

VI INVIO LE NOTE SUL RECENTE VIAGGIO A KABUL DI LAURA QUAGLIOLO, CHE E’
STATA A LESA DA NOI (TERRA DI CONFINE) A DICEMBRE, PER RACCONTARCI DEL
LAVORO DELLE DONNE IN NERO CON L’ASSOCIAZIONE RAWA.

Non è facile parlare, oggi, di quello che sta diventando l’Afghanistan e
della percezione che se ne ha nel tempo, tornando ogni anno a visitare quel
luogo, la sua popolazione dolente e le sue donne combattive e instancabili.
Vorrei dire che ai miei occhi, che da qualche anno torno laggiù almeno una
volta, qualcosa sta cambiando. Di certo non è la sola Kabul a poter dare la
misura della situazione, e infatti le notizie che vengono dalle altre
province non sono per nulla confortanti, di certo i passi sono piccoli,
impercettibili, però a Kabul si vedono meno burqa, è maggiore il numero di
persone che ha voglia di aprirsi, di dire che tutto quello che hanno passato
deve essere lasciato alle spalle, di dire chi vorrebbero che decidesse delle
loro sorti e chi vorrebbero sparisse dalla loro storia.
Le nostre amiche di Rawa stanno, piano piano, rientrando nel loro paese,
alcune per iscriversi all’università, altre chiamate al lavoro politico e
umanitario "nel loro paese", non importa quanto ancora devastato dalle
guerre e dal fondamentalismo. Sanno bene che è lì che le cose devono
cambiare. Le donne di Rawa, che sino all’anno passato giravano per la città
ancora coperte dal burqa, non lo portano più, e le giovani si vestono come
noi, all’occidentale.
Piccoli segni.

A Kabul, almeno lì, la società civile si sta muovendo, associazioni
democratiche di donne, di studenti, di intellettuali o di semplici cittadini
si incontrano, si coalizzano, discutono di quello che vogliono per il futuro
del loro paese. Tahmeena ci ha detto che in questo momento non è il caso di
andare per il sottile perché "in queste associazioni lavorano cittadini
democratici, non fondamentalisti, laici, che si stanno muovendo verso una
direzione comune" e questo è abbastanza, almeno per ora. Le donne Rawa,
ancora in clandestinità per ovvie ragioni di sicurezza, stanno però
ascoltando e partecipando, per ora a livello individuale, a questi movimenti
sociali che considerano di vitale importanza per il futuro del paese.
Credo che ciò che ha dato forza a questa apertura nella società sia stato il
discorso di Malalai Joya alla Loya Jirga costituzionale. Malalai, una
straordinaria donna che viene dalla provincia di Farah, ha avuto il coraggio
di dire, in una assemblea plenaria della Loya Jirga, che molti dei signori
che sedevano al governo e in quella assise (Fahim, Dostum, Sayyaf) sono dei
criminali di guerra e non hanno il diritto di occupare i posti che occupano
e detenere il potere che gli è stato conferito. Ha detto, tra le urla di una
parte e gli applausi di un’altra, che quei signori dovrebbero essere
disarmati e portati davanti a un tribunale internazionale perché è loro,
soprattutto loro, la responsabilità della devastazione e della miseria del
paese.

Malalai è tornata al lavoro nella sua piccola provincia e lì 10.000 persone
sono andate a complimentarsi con lei. Quale migliore protezione alla propria
incolumità fisica! Oggi, in tutto l’Afghanistan, chi proviene da Farah è
trattato con rispetto; unico merito, provenire dalla stessa città di Malalai
Joya.
Le nostre amiche di Rawa e Hawca lavorano instancabili sui loro progetti,
nuovi e vecchi, che sono sempre e comunque a sostegno delle donne più deboli
e povere, dei bambini, dei giovani che altrimenti non avrebbero garantita un
’istruzione o qualche forma di socialità. Un esempio straordinario è un
centro polifunzionale finanziato da Rawa, aperto in un quartiere povero a
maggioranza hazara e uzbeka (due dei gruppi etnici minoritari e più
maltrattati) e gestito da una donna che non ha smesso di insegnare e
lavorare durante gli ultimi 25 anni; vi si tengono corsi di pallone per
disabili (allenati da un ex nazionale della squadra afghana!) e per ragazze
(!!), corsi di alfabetizzazione e di inglese con classi miste nelle quali
sono presenti tutte le etnie (cosa assolutamente insolita e sorprendente),
corsi di karate, di taglio e cucito. Così, con tutta la modestia di cui sono
capaci e la povertà a cui sono forzate, le nostre amiche insegnano ai
ragazzi, alle donne e a coloro con cui vengono in contatto (ma anche a noi)
lezioni di civiltà e di pace.

Purtroppo però la strada da percorrere è ancora molto lunga e irta di
ostacoli.
La Costituzione siglata a gennaio, sembrerebbe, a una lettura distratta,
piena di buone intenzioni; di fatto ogni diritto sancito sottostà alla legge
islamica (anche se la parola sharia non viene mai menzionata) e comunque
mancano le istituzioni in grado di garantire che i diritti vengano
rispettati. Quindi, per esempio, il signor Ismail Kahn, autonominatosi emiro
della provincia di Herat e finanziato dai fondamentalisti iraniani, ha
deciso che nella sua provincia le donne non possono girare con il volto
scoperto, minaccia quelle che vanno a scuola, ha istituito il dipartimento
per la promozione della legge e della virtù (un triste retaggio dei
talebani) e costringe le donne sorprese a girare sole o, peggio, con un
maschio che non sia membro della loro famiglia, a visite ginecologiche per
verificare che siano vergini.
La Costituzione sancisce che la produzione e il commercio di sostanze
tossiche e stupefacenti sono vietati eppure io ho visto con i miei occhi,
sulla strada che da Kabul porta in Pakistan (e in fondo ho percorso solo
qualche chilometro nelle campagne del paese) infinite distese di papaveri da
oppio in fiore, pronti per il raccolto. Nel 2003 l’Afghanistan ha prodotto
36.000 tonnellate di oppio, che equivalgono al 76% della produzione mondiale
e a 1 miliardo di dollari, il 50% del PIL afghano; 1.700.00 contadini (su
una popolazione di 24.000.000) sopravvivono coltivando oppio (e morirebbero
di fame se coltivassero grano). I signori della guerra, invece, con il
commercio di oppio impinguano le loro casse e possono permettersi di pagare
profumatamente le loro milizie e acquistare armi.

La Costituzione sancisce che nessun partito politico possa avere un suo
esercito o milizia privata; nonostante questo nulla vieta al maresciallo
Fahim, degno erede di Massud e Ministro della difesa, di avere la sua
milizia personale, non affiliata al suo partito; e i suoi miliziani
scorrazzano liberamente per Kabul, generalmente ubriachi e armati fino ai
denti, minacciando e malmenando chiunque gli si metta in mezzo. La nostra
amica Orzala, di Hawca, è stata personalmente minacciata e costretta a
pagare a questi signori i danni che loro stessi si erano procurati alla loro
automobile andando addosso a quella di Orzala che in quel momento era ferma
in un parcheggio!
La sicurezza è dunque ancora il problema principale del paese; finché non si
riuscirà a disarmare i signori della guerra, arroccati nelle loro province,
nei posti chiave del governo e potentissimi grazie al commercio di armi e
droga e ai finanziamenti USA, che usano le loro milizie per combattere i
talebani e Al Qaeda, non potrà avvenire alcun sostanziale cambiamento. Il
progetto di estendere il controllo dell’ISAF fuori da Kabul (cosa che tutti
gli afghani vorrebbero), che doveva decollare mesi fa, non va avanti perché
osteggiato dagli USA, che non vogliono tra i piedi forze di interposizione
nelle zone a sud-est, dove la guerra non è mai finita, e dagli stessi
signori della guerra, che con la presenza di un contingente internazionale
avrebbero meno spazio per tiranneggiare la popolazione a loro piacimento.
In questo clima il signor Bush, che vuole presentarsi ai suoi elettori
facendo credere loro di aver ottenuto un risultato positivo, ha deciso che l
’Afghanistan dovrà andare alle elezioni entro giungo; purtroppo solo il 15%
della popolazione è stato registrato, la ricostruzione non ha ancora dato i
segni sperati perché i fondi erogati non superano un terzo delle promesse, l
’ONU, metà dei ministri del governo Karzai e le ONG presenti sul territorio
vorrebbero che venissero procrastinate di almeno un anno.

Le mine sono ancora disseminate abbondantemente su tutto il territorio e
continuano a costituire una minaccia per contadini, pastori e nomadi.
L’Afghanistan, prima vittima del terrorismo e della guerra, le sue donne, i
suoi bambini e la sua popolazione non sono ancora usciti dall’emergenza.