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L’Iraq e la battaglia del Colle, Berlusconi è sempre più solo
Publie le sabato 3 aprile 2004 par Open-PublishingDopo le vacanze di Pasqua, il Consiglio supremo di difesa dovrà esprimere una propria decisione
sulla permanenza del contingente italiano in Iraq. Il Consiglio è un organismo di rilevanza
costituzionale, presieduto dal capo dello Stato. Dato l’argomento, Berlusconi non potrà non essere
presente.
Ma, a quanto si sa, è dal 15 dicembre scorso che il presidente del Consiglio evita di incontrare
Ciampi. Cento giorni di non comunicazione, gelo, deliberata indifferenza fanno una prassi. Da come
si comporta, per l’inquilino di Palazzo Chigi il Quirinale è soltanto un colle di Roma.
Non scriveremo di una condotta senza precedenti, perché è il personaggio Berlusconi a non avere
precedenti (se non di altro genere). C’è, a sinistra, chi parla di un disegno autoritario della
destra che mira a picconare i poteri e le prerogative della massima autorità di garanzia del Paese.
Come si sarebbe permesso, altrimenti, il ministro Castelli quel sorrisetto di sufficienza leghista
mentre annunciava, nei tg della sera, che avrebbe consegnato al capo dello Stato il dossier sulla
grazia a Sofri, ma solo «per cortesia istituzionale». Formula suggeritagli, probabilmente, da
quello stesso sottopancia con fazzoletto verde che forse reso tronfio dalla baldanza del principale
accusa adesso il Quirinale, nientemeno, di fuga di notizie.
È quella stessa contagiosa arroganza che fa dire a Berlusconi di non essere interessato a prendere
il posto di Ciampi, perché lui mira a fare il premier per almeno un’altra legislatura. Non si
stenta a crederlo. Grazie alle cosiddette riforme, il capo dello Stato conterebbe pochissimo, mentre
il presidente del Consiglio eserciterebbe su governo e parlamento una dittatura da repubblica
caucasica.
Da queste colonne, sulla guerra non dichiarata di Berlusconi a Ciampi, e sulla ferme risposte di
Ciampi a Berlusconi, Vincenzo Vasile ci ha costantemente informati. Una serie di strappi difficili
da ricucire. Il premier che accusa la moneta unica di essere all’origine dell’aumento dei prezzi e
dei guai dell’economia italiana. Il Presidente che lo mette in riga definendo l’euro un momento
decisivo per la stabilità monetaria. Il premier che agevola il disegno leghista dell’Italia fatta a
pezzi. Il Presidente che reagisce con un «no all’Italia dell’odio». Il premier che tira il freno
sulla costituzione europea. Il Presidente che lo contraddice: inutile perdere tempo, occorre
concludere l’intesa prima delle elezioni europee.
Senza parlare della bocciatura della famigerata legge Gasparri che il Colle rimanda alle Camere
con un dossier zeppo di osservazioni; e che il governo ordina di riapprovare con scarse e
inconsistenti modifiche. Una volta c’era la prassi di informare preventivamente il presidente della
Repubblica sull’ordine del giorno del consiglio dei ministri. Anche questa risulta abolita.
Con Berlusconi, in questi tre anni, Ciampi si è sempre comportato con grande equilibrio. È stato
attento a non smentirlo in pubblico. Senza, però, cambiare nulla della propria politica e dei
propri propositi che spesso nessuna attinenza avevano con il programma di governo e con il contratto
firmato con gli elettori. Ha fatto largo uso di una discreta attività di persuasione morale. Ha
esercitato il suo difficile ruolo in una situazione resa anomala dal gigantesco conflitto d’interessi
del premier.
Ha dovuto fare i conti con una serie di problemi che mai si erano presentati prima a un capo dello
Stato. Ha cercato di garantire l’equilibrio fra i tre poteri: esecutivo, legislativo, giudiziario,
contro le spinte autoritarie del premier desideroso di umiliare il parlamento e di farla pagare
alla magistratura. Un continuo lavoro di ricucitura, reso possibile dal canale di collegamento che
Corrado Gifuni, al Quirinale, e Gianni Letta, a Palazzo Chigi, hanno provveduto a tenere aperto.
Quando, tuttavia, la complessità dei problemi, e dello scontro, hanno preso il sopravvento perfino
i due esperti maestri di palazzo si sono dovuti arrendere. Con il risultato che Berlusconi è
sempre più solo davanti alla crescente rissosità della sua maggioranza. Dopo che per anni la vandea
leghista è stata lasciata libera di lanciare contro il Colle le accuse più offensive e provocatorie,
non c’è sponda istituzionale che tenga quando quelle stesse camicie verdi tengono in scacco l’Aula
di Montecitorio contro la stessa maggioranza di cui fanno parte.
Qualche giorno fa, a Budapest, il presidente Ciampi ha espresso una posizione molto simile a
quella dello spagnolo Zapatero: ha chiesto una «sostanziale e rafforzata autorevolezza della Nazioni
Unite». Significa, molti hanno interpretato, che senza la novità dell’Onu la permanenza dei nostri
soldati a Nassirya può diventare un colpevole azzardo. Subito, sulla prima pagine del «Giornale»,
Massimo Teodori ha espresso sorpresa e sconcerto per le parole di Ciampi rimproverandogli di essere
uscito «inaspettatamente» dai rigorosi binari costituzionali; di avere addirittura «assunto le
funzioni di un presidente della Repubblica alla francese o all’americana»; di aver voluto «surrogare
il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri».
Segue l’accusa più grave: avere sposato, sul ritiro americano e sull’intervento Onu, le tesi di
Prodi e della sinistra; di comportarsi quindi come un presidente di parte, e non sopra le parti. È
davvero difficile che le posizioni del giornale di Berlusconi si discostino da quelle del
presidente del Consiglio.
Se le premesse sono queste, la prossima riunione del Consiglio supremo di difesa lascerà il segno.
L’UNITA