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L’Italia “berluscona” non c’è più, gli “alleati” lavorano già a uno scenario post-berlusconiano

Publie le martedì 29 giugno 2004 par Open-Publishing

di MASSIMO GIANNINI

Cade la Provincia di Milano, "brucia" la Casa delle Libertà. Berlusconi, dalla lontana Istanbul, può anche dire che "dormirà tranquillo lo stesso", e che tanto per il governo "non cambia nulla". Ma con lo spettacolare tracollo di Ombretta Colli, crolla anche l’ultima fortezza del berlusconismo. Dopo aver perso le elezioni europee e il primo turno delle amministrative, il Cavaliere paga il tributo più alto ai suoi tre anni di governo conflittuale e inefficace. Forza Italia è sconfitta "in casa". Il partito-azienda perde nella città-impresa, dove tutto era cominciato giusto dieci anni fa, con la discesa in campo dell’imprenditore d’Italia. Perde nella città-laboratorio, dove l’innesto tra l’impolitica nuovista di Berlusconi e l’antipolitica populista di Bossi aveva generato la "questione settentrionale", imponendola al Paese come modello di sviluppo e al Palazzo come embrione del cambiamento.

E’ l’inizio della fine. Come ha pronosticato Massimo Cacciari venerdì scorso: "Neanche il Padreterno riuscirà a mettere insieme i cocci del centrodestra".

E’ difficile dare torto a D’Alema quando dice: "È un terremoto, altro che pareggio". Altrettanto difficile non dar ragione a Buttiglione, che alla vigilia del voto diceva "i ballottaggi sono un messaggio che il Paese invia al governo". Per Berlusconi, e per la Casa delle Libertà nella formula che abbiamo conosciuto dal 2001, è suonata la campana dell’ultimo giro.

Per la Casa delle Libertà si impone una svolta, se è ancora possibile. Il patto di ferro Forza Italia-Lega, come dimostra la vicenda di Milano, non tiene più. Forza Italia, partito di un uomo solo al comando, che tuttavia aveva messo radici sul territorio, non le ha sapute irrigare. E alla fine, in una lotta fratricida tra fazioni (Dell’Utri contro Scajola, Scajola contro Bondi e Cicchitto) le ha lasciate inaridire.

La Lega, dopo l’uscita di scena di Bossi, è l’altro partito in crisi della coalizione. ll "tremontismo", che di quel patto politico era il sigillo vivente, ha fallito la prova. E ora è diventato, anche plasticamente, l’oggetto sul quale Fini e Follini esercitano il loro accanimento, forse neanche tanto "terapeutico".

In tutti e due i casi, sia Fini che Follini lavorano già a uno scenario post-berlusconiano. Si potrebbe dire che è iniziata la "caccia al premier". Lui, al di là dei proclami sprezzanti, tipo "datemi il 51%", "non votate i partitini", non ha fatto molto per evitarlo. Dopo la frana delle europee e del primo turno, invece di serrare i ranghi è riuscito, di nuovo, a mettere tutti contro tutti. Su queste macerie elettorali, è quasi impossibile immaginare che il Cavaliere riesca a costruire qualcosa di nuovo, se non una infruttuosa e indecorosa sopravvivenza. Non gli basterà un figurativo "rafforzamento della squadra".

In queste condizioni, non si governa per altri due anni un Paese complesso come il nostro. Più che posticipare di un anno le regionali del 2005, a questo punto sarebbe meglio anticipare di un anno le politiche del 2006. Converrebbe a Berlusconi. E, una volta tanto, quello che conviene a lui converrebbe anche all’Italia.

http://www.repubblica.it/2004/f/sezioni/politica/ballott/azzugianni/azzugianni.html