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L’improbabile alleanza degli sciiti iracheni con gli Stati uniti
Publie le lunedì 12 aprile 2004 par Open-PublishingPer capire la geografia politica degli sciiti iracheni
da le monde diplomatique luglio 2003
Il 7 giugno 2003, il Consiglio Supremo della rivoluzione islamica in Iraq
(Sciri) capeggiato da un ayatollah di 63 anni, Mohamed Bakr Al-Hakim,
annuncia che non farà parte dell’équipe di trenta persone formata per il
governo dell’Iraq dal nuovo amministratore civile americano Paul Bremer.
Per l’ayatollah Al Hakim è evidente che un governo iracheno designato da
una potenza straniera non possa godere della benché minima legittimità. Lo
Sciri è inflessibile: gli Stati uniti devono attenersi al loro progetto
iniziale che prevedeva il mantenimento di una convenzione nazionale i cui
delegati dovevano eleggere un governo di transizione (1).
Lo Sciri ha una base di massa e un’ala paramilitare di dieci, quindicimila
combattenti addestrati, la brigata Badr, comandata dal fratello minore di
Bakr Al Hakim, Abdul Aziz Al Hakim. Potrebbe comunque modificare i propri
orientamenti poiché è inserito nel bandolo delle complesse trattative con
Washington da più di un anno.
Con base a Tehran, lo Sciri è l’unico gruppo islamista ad aver aderito agli
sforzi americani per rovesciare Saddam Hussein. Ha partecipato alle
riunioni a Washington durante l’estate del 2002. Dalla caduta del regime
baathista, il 9 aprile 2003, ha iniziato ad affermarsi soprattutto nelle
città a maggioranza sciita vicine alla frontiera.
È qui che si riuniscono i rimpatriati della brigata Badr, milizia composta
da iracheni esiliati in Iran e addestrati dai Guardiani della rivoluzione.
Gli sciiti costituiscono tra il 60 e il 65% della popolazione irachena.
Nelle città si dividono tra elementi laicizzati delle classi medie e
operaie, e coloro che vengono attirati dai partiti religiosi. Gli sciiti
laici non sono politicamente organizzati ma negli anni ’50 avevano un
grosso peso tra gli effettivi del partito comunista, forte di 500.000
iscritti. In ambiente rurale, senza essere laicizzati, molti sciiti seguono
gli sceicchi tribali invece dei dirigenti clericali.
Gli sciiti praticanti, ben organizzati, si dividono in quattro gruppi
principali. La maggior parte segue la famiglia Sadr, comandata ora dal
giovane e dinamico Muqtada Al Sadr, 30 anni, il cui padre ayatollah è stato
assassinato nel febbraio del 1999 (2). Lo Sciri è popolare nelle città
dell’Est, vicine alla frontiera con l’Iran. Al centro delle zone sciite
domina il partito Al Da’wa, soprattutto a Nasiriya e a Bassora. Infine, un
certo numero di sciiti seguono il grande ayatollah Ali Sistani, figura
quietista, il cui peso politico è di gran lunga minore di quanto non
suggerisca l’eminenza del suo rango in seno alla gerarchia religiosa.
Lo Sciri si distingue per un alto livello di organizzazione, per le proprie
capacità paramilitari e per i rapporti irregolari con gli Stati uniti.
Fondato a Tehran nel 1982 da Mohamed Bakr Al Hakim e da altre autorità
religiose irachene in esilio, si oppose molto presto a Saddam Hussein.
Durante l’autunno e l’inverno 2002-2003 lo Sciri ha incontrato a più
riprese il Congresso nazionale iracheno, sostenuto da Washington. Ma a
causa degli stretti contatti dello Sciri con le fazioni iraniane più
intransigenti, gli Stati uniti sembrano trovarsi sempre più a disagio in
questa alleanza. Nella guerra contro Saddam Hussein, Washington ha messo da
parte la brigata Badr, accettando invece la partecipazione delle milizie
kurde. Lo Sciri di conseguenza ha rifiutato di assistere alla prima
riunione dell’opposizione (il 15 aprile) dopo la caduta del regime, segnata
tra l’altro da manifestazioni di migliaia di sciiti venuti a esprime il
proprio rifiuto dell’occupazione.
La città di Baquba (280.000) abitanti) a nord est di Baghdad, è uno dei
luoghi in cui lo Sciri è diventato attivo dalla fine della guerra.
I marines americani hanno raggiunto questa capitale della provincia di
Diyala solo dopo molte settimane. Nel frattempo si erano scatenate le
rivalità locali. All’inizio di aprile, combattenti della brigata Badr
venuti dall’Iran piombano in città per contendersi il potere con i lealisti
del partito Baath e i mujaheddin del popolo, organizzazione iraniana che
combatte il regime di Tehran a cui Saddam Hussein aveva concesso basi in
Iraq (e che Washington ha inserito nella sua lista di «organizzazioni
terroristiche»).
Il 28 aprile arrivano a Baquba circa 3.000 soldati americani. Il 4 maggio,
il tenente Robert Valdivia dichiara all’Arab Times (3) che «le forze
americane hanno trovato delle icone [materiale di propaganda] iraniane e un
nascondiglio di armi pesanti al commissariato di polizia della città, e che
la polizia locale collabora con i miliziani della sedicente brigata Badr,
braccio armato dell’organizzazione sciita più importante dell’Iraq» (ovvero
lo Sciri). Il 9 maggio, un capitano si lamenta: «ci sparano addosso ogni
notte». Un combattente della brigata Badr spiega: «Voglio che la gente viva
sotto un regime islamico, voglio usare i media e le riunioni pubbliche per
convincerla» (4).
In quello stesso momento, nelle città vicine di Shaharaban e Khalis, la
brigata Badr organizza politicamente le popolazioni sciite e acquista
grande popolarità. Alcuni miliziani di questa brigata aiutano un religioso
di nome Sayyid Abbas Fadhil nel suo tentativo di prendere il potere a Kut,
città di 380.000 abitanti. Fadhil occupa il municipio con il proprio
entourage e si proclama sindaco. I marines all’inizio pensano solo che
dovranno ucciderlo. Verso la metà di aprile tentano di intervenire contro
di lui, ma circa 1200 abitanti si affollano subito di fronte a ... 20
marines, che abbandonano la partita. Secondo Washington, Fadhil gode del
sostegno dell’Iran e si serve della sua scorta armata per intimidire gli
altri candidati al potere municipale.
Il 16 aprile, Abdul Aziz Al Hakim, comandante della brigata Badr, di
ritorno dall’Iran viene accolto a Kut da una folla che si stima sia di
20.000 persone, riunita dal suo sostenitore Fadhil grazie al vantaggioso
posto che occupa. Da qui, Al Hakim lancia invano un appello per una
manifestazione antiamericana a Kerbala. Due giorni dopo, in un’intervista
alla televisione iraniana, espone la visione del proprio partito riguardo
all’Iraq. «Noi preferiremmo innanzitutto un sistema politico nazionale»,
dove vengano rappresentati tutti i partiti e i culti. «Ma in fin dei conti
il popolo vorrà una repubblica islamica». E aggiunge che in un sistema
democratico avrà la meglio la volontà degli sciiti di avere un governo
islamico, visto che essi costituiscono il 60% della popolazione.
A Kut, dove regna l’ordine e i servizi pubblici funzionano, la gente fa la
fila davanti alla porta di Fadhil per ottenere favori politici.
Interpellato sui suoi legami con l’Iran, Fadhil smentisce ma ammette: «Non
c’è niente di male a farsi aiutare dall’Iran, perché sono musulmani, sono
nostri fratelli, e quel paese è un nostro vicino». Alla fine di aprile i
marines lanciano un ultimatum a Fadhil: deve abbandonare il municipio. Lui
lo fa a malincuore ma si vanta di poter controllare la città altrettanto
bene dalla moschea.
Lo Sciri riscontra un ampio interesse politico negli agglomerati sciiti
dell’est, come Baquba, Kut e Amara. Si è anche acquartierato nelle zone
urbane più importanti, come Bassora, da cui invia missionari nelle
cittadine dei paraggi per attirare sostegni politici.
Nel frattempo a Tehran il dirigente dello Sciri, l’ayatollah Al Hakim,
continua a esigere la partenza delle forze americane il prima possibile.
All’inizio di maggio definisce quattro impegni urgenti: estirpare quel che
rimane del regime baathista; mettere fine alla presenza delle forze della
coalizione; stabilire un nuovo regime capace di rispondere ai problemi
materiali e a ristabilire l’ordine; instaurare un governo eletto da tutti,
a prescindere dalla comunità etnica o religiosa a cui si appartiene.
Il 9 maggio, l’ayatollah Al Hakim torna finalmente in Iraq con un convoglio
di un centinaio di automobili. Fa una prima sosta a Bassora, dove i suoi
sostenitori hanno attaccato manifesti per tutta la città e prende la parola
davanti a una folla di circa diecimila persone: «Sono un soldato dell’islam
al servizio di tutti gli iracheni. Noi non vogliamo un islamismo
estremista, ma un islam che significhi indipendenza, giustizia e libertà».
Eppure ammette di volere che la legge islamica (ossia «sciita») sia quella
di tutto l’Iraq. I suoi sostenitori di Bassora lo chiamano «il nuovo
Khomeini». Bisogna però notare che l’entusiasmo per Al Hakim è piuttosto
moderato e che una manifestazione di 10.000 persone non è tanto
impressionante in una città che conta 1.300.000 abitanti.
Più tardi, durante una conferenza stampa, l’ayatollah si augura uno stato
«moderno e islamico» dove si sentirebbero tutti sicuri e in cui le donne
rivestirebbero un ruolo essenziale. Afferma che se l’Iraq verrà governato
secondo principi moderni potrà diventare il paese di un «jihad di
ricostruzione, di amore e di amicizia, non di odio e distruzione». E
aggiunge, senza però nominare gli Stati uniti: «Noi vogliamo un governo
indipendente. Rifiutiamo qualsiasi governo imposto». Dirà anche che «le
leggi dell’Iraq dovranno essere fondate sulle regole islamiche e dovranno
vietare comportamenti che magari sono accettabili in occidente ma che
l’islam proibisce».
Se si decifrano queste dichiarazioni si capisce che Al Hakim sogna un Iraq
khomeinista ma che è un politico troppo scaltro per alienarsi le simpatie
delle donne e dei sunniti dicendolo chiaro e tondo. Negli anni che
precedettero la rivoluzione islamica del 1979, l’ayatollah Khomeini e la
sua cerchia ingannarono nello stesso modo le classi medie iraniane sui
propri reali obiettivi.
Il primo direttore dell’Ufficio di ricostruzione e di assistenza umanitaria
del Pentagono, il generale in pensione Jay Garner, invita lo Sciri alla
seconda conferenza di notabili: il movimento manda una delegazione, ma di
basso livello. Il 5 maggio, Garner tenta di accattivarsi lo Sciri
annunciando che un consiglio di dirigenti preparerà un congresso nazionale
in giugno in cui i delegati sceglieranno un governo di transizione. Esso
include i due partiti kurdi, un altro formato da ex funzionari del partito
Baath, il Congresso nazionale iracheno di Ahmad Chalabi, e lo Sciri. Più
tardi verrà aggiunto un partito nazionalista sunnita creato negli anni ’60
e il partito sciita al Da’awa.
Con queste manovre i falchi del pentagono tentavano di rimettere il paese
in mano ai loro alleati di vecchia data, in particolare a Chalabi. Ma il
progetto del ministero della difesa fallirà e il dipartimento di stato avrà
la meglio mostrando al presidente Bush che con la gestione Garner la
situazione in Iraq era diventata un disastro. Paul Bremer prende il suo
posto il 12 maggio e a poco a poco abbandona i progetti del suo
predecessore. Retrocede il «gruppo di 7» di cui farà un semplice «comitato
di pianificazione» e proclama sua intenzione aggiungervi altri 23 membri,
tra cui molti iracheni rimasti in patria, diluendo così il potere degli
espatriati e dei due partiti kurdi. Annulla anche il progetto di tenere un
congresso nazionale per l’elezione di un governo quest’estate. E annuncia
che tutti i miliziani, eccetto le milizie kurde nel nord, dovranno
consegnare le armi prima del 15 giugno.
Tali disposizioni, in contraddizione con le promesse fatte, irritano i
dirigenti dello Sciri. Pur essendo d’accordo sul consegnare le armi
pesanti, tengono al fatto che i combattenti della brigata Badr conservino
le loro armi automatiche. Il 7 giugno, Abdul Aziz Al Hakim dichiara che non
siederà al consiglio designato da Bremer a meno che non ne venga fuori un
consiglio eletto in breve tempo.
Le relazioni tra gli Stati uniti e lo Sciri sono sempre state turbolente.
Non sono che partner di convenienza e a seconda delle congiunture si sono
già reciprocamente traditi senza problemi. Non si sa bene perché i falchi
di Washington si siano prestati a una partnership del genere, ma è
probabile che Ahmad Chalabi vi abbia giocato un ruolo importante,
rassicurandoli sulla moderazione di questo movimento e sulla sua grande
popolarità tra gli sciiti praticanti.
In realtà l’influenza dello Sciri è limitata. I suoi militanti si sono
sparpagliati per tutto il Sud ma la loro integrazione resta superficiale.
La grande maggioranza delle moschee e degli ospedali di Baghdad est, Kufa e
altre città è controllata dal movimento di Muqtada Al Sadr. Quest’ultimo
rifiuta il minimo contatto con gli Stati uniti. Lascia anche intendere con
asprezza che gli Al Hakim sono dei vigliacchi che sono fuggiti dal regime
di Saddam Hussein per rifugiarsi a Tehran mentre la famiglia Sadr ha corso
tutti i rischi rimanendo al suo posto.
Se lo Sciri è un partito pragmatico, pronto a trattare anche con gli Stati
uniti, il suo scopo alla lunga è simile a quello di Al Sadr. Entrambi
vogliono una repubblica islamica sotto il controllo religioso degli sciiti.
È probabile che né l’uno né l’altro arriverà al suo fine, data l’esistenza
di una importante minoranza sunnita in Iraq e l’ostilità a qualsiasi tipo
di teocrazia degli Stati uniti.
Tra questi ultimi e lo Sciri, il balletto di esitazioni può continuare
ancora per un po’, alternando cooperazione e disimpegno, ma questa coppia
male assortita che già tra una scenata e l’altra flirtava con ardore, è
votata al divorzio a scadenza più o meno breve.
note:
* Professore di Storia all’Università del Michigan, autore in particolare
di Sacred Space and Holy War. The Politics, Culture and History of Shiite
Islam, I.B. Tauris, Londra, 2002.
(1) Si veda David Baran, «Nell’Iraq occupato, un nuovo gioco politico», Le
Monde diplomatique/il manifesto, giugno 2003.
(2) Vedi Alain Gresh, «Chi ha ucciso l’ayatollah Mohamed Sadek Al-Sadr», Le
Monde diplomatique/il manifesto, luglio 1999.
(3) Arab Times, Kuwait, 4 maggio 2003.
(4) Knight Ritter Newspaper, 9 maggio 2003.
(Traduzione di P. B.)