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L’«ambiziosa politica economica»? Slogan vuoti, esangui come le casse dello stato
MATTEO BARTOCCI
Il Cavaliere non c’è più, schiacciato dalla crisi della sua maggioranza. Sul palcoscenico parlamentare, ieri, si intravedeva un uomo distrutto dalla «inimmaginabile responsabilità di governo» (parole sue), costretto a vestire i panni logori della vecchia politica, un teatrino a cui il personaggio si attaglia malamente, nonostante non lesini l’impegno. E’ un Berlusconi «neo-dc» quello che si presenta alle camere per illustrare la politica economica del suo governo e per ripetere le sue promesse agli italiani delusi. Per l’occasione, è abbandonato nell’armadio anche il doppio petto blu di ordinanza, a favore di un triste abito grigio fumo. E’ l’ennesima giornata lunghissima quella di Berlusconi, vissuta come una trottola tra i palazzi della politica: dibattito al senato di buon’ora, poi quello alla camera, prima di cena un lungo colloquio al Quirinale da Ciampi.
In mezzo, le fughe verso palazzo Grazioli, con tanto di saltello concesso a un centinaio di fan napoletani che gli urlano «Chi non salta comunista è...». I giovani azzurri appaiono come comparse arruolate per l’occasione, guidate da un prete in tonaca che sventola una bandiera di Forza Italia. E alla vista della piccola folla osannante, Berlusconi, per la prima volta, sorride. Stavolta non si ode nessun «buffone», e può così tuffarsi libero tra i fan.
Il «redde rationem» del premier inizia alle 9, in un’aula del senato che lo attende al varco. Ma il suo discorso è soporifero. Un po’ più battagliero a Montecitorio, dove le lacrime amare per l’addio di Tremonti (è stata una «dolorosa rinuncia», confessa il Cavaliere) vengono accolte dall’opposizione con risate, ululati e applausi sarcastici. La parte sinistra dell’emiciclo proprio non si trattiene quando Berlusconi elogia i «principi innovativi» introdotti da Tremonti nella finanza pubblica, per di più «presi a modello in altri paesi in Europa». Casini è costretto a riportare tutti alla calma. Il nome di Tremonti è applaudito da maggioranza e opposizione, ovviamente con spirito opposto. Solo Fini e Follini non muovono un dito mentre la camera omaggia il ministro defenestrato.
Il discorso del Cavaliere è un diluvio di promesse agli alleati, i «monelli» che pezzo dopo pezzo stanno demolendo la sua Casa a colpi di «collegialità». Il leader del centrodestra è costretto a vendere quel poco che gli è rimasto: sogni sbiaditi. «L’Italia - dice senza smalto, con volto funereo - ha sempre rispettato i parametri di Maastricht», «l’Ecofin ha compreso la nostra serietà», i «conti pubblici sono sotto controllo». L’opposizione sogghigna. Poi da buon Cavaliere, Berlusconi concede un tango a ogni condomino: dapprima leggermente minaccioso contro i dissidenti («alle prossime elezioni la Cdl andrà insieme, dureremo fino al 2006»), poi, adotta il manuale Cencelli. Alla Lega infatti promette il federalismo entro settembre - seppur ritoccato - e la riforma delle pensioni; all’Udc un sistema proporzionale «che garantisca il bipolarismo» e il via libera entro l’anno del ddl sul risparmio; ad An la «collegialità» che finora è mancata, ammette a malincuore. Alla Confindustria di Montezemolo il taglio dell’Irap per la ricerca. Ai sindacati, perfino a loro! il Cavaliere assicura un «confronto serio in vista del Dpef». Per sé e per i suoi elettori delusi, infine, Berlusconi mantiene la carta del «secondo modulo» della riduzione fiscale. Che partirà nonostante la Corte dei conti abbia appena demolito quello precedente. Il Cavaliere è conciliante con gli alleati (e con il mondo cattolico): il nuovo Irpef sarà centrato sulle famiglie, assicura, senza alcun cenno alle aliquote. Gli slogan? Non molto originali: «Meno spesa corrente, meno tasse, più investimenti per infrastrutture e sviluppo».
Tutte le promesse del premier infatti sono condite da una cortina di tale vaghezza che si stenta a riconoscere in esse la drammaticità dei giorni appena trascorsi per chi vive sotto la Casa. Quando il premier si dilunga con dovizia di particolari sull’importanza della «termovalorizzazione dei rifiuti» e perfino delle «colture irrigue» (!), la metamorfosi in un leader «neo-dc» può dirsi completa. La larva diventa farfalla e spicca il volo quando con fare istituzionale porge le sue scuse al parlamento per il ritardo con cui il governo ha presentato il Dpef (il termine era il 30 giugno, ma sarà discusso soltanto dalla fine di luglio).
«Pinocchio!» gli urla in aula Paolo Cento dei verdi. «Quasi quasi lo voto», celia Fabio Mussi del correntone Ds. «Sembra di stare in un film di Walt Disney», commenta al senato il diessino Angius: «anche se non ci ha spiegato la ragione del licenziamento di Gastone...». Il perché, scherza Angius, è psicanalitico: «Una rimozione della realtà elevata a categoria politica».
Rimozione che però esalta la mutazione tentata ieri: la «pelle» dell’uomo nuovo, l’anti-sistema, Berlusconi l’ha persa irrimediabilmente provando a recitare questo nuovo ruolo moderato. C’è da giurare che il nuovo abito non sarà eterno, che presto tornerà a minacciare tutto e tutti, in pubblico come in privato. E la litania sulla sinistra che predica odio, l’oscuramento di chi non lo «lascia lavorare», andranno in onda su tutti i teleschermi.
il Manifesto