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L’uranio uccide, io sono la prova: Storia del maresciallo Marco Diana...
Publie le mercoledì 21 luglio 2004 par Open-PublishingStoria del maresciallo Marco Diana e della sua battaglia per la verità
di Sabrina Deligia
«Sono stanco, ma sono qui. Per questo cancro che mi corrode no ho più cure da fare. Non possono farmi più niente e sono pieno di dolori. Ma sono qui non per chiedere elemosina ma ciò che questo Stato che ho servito per tredici anni, mi deve. Non lo faccio solo per me, ci sono purtroppo tanti ragazzi, colleghi, nelle mie stesse condizioni». Parole che Marco Diana, 35 anni, ieri mattina ha fatto fatica a tirare fuori.
A mezzogiorno in una Roma infuocata lui si è presentato nella sala gialla di Palazzo Madama con capello e giacca di lana, gli effetti collaterali del cancro che lo divora. Il maresciallo a stento reggeva il plico con tutte le prove del male che lo sta portando via. Quali prove? «Io purtroppo, sono la prova vivente, non so ancora per quanto. Ma so che se dovessero riconoscere a me, maresciallo dei granatieri di Sardegna, il danno biologico per il cancro causato dal servizio nell’esercito, dovrebbero scucire tanti soldi anche per gli altri ragazzi che sono morti e che moriranno per colpa dello Stato e della guerra».
Questa la verità. E’ ora che la Difesa riconosca i benefici della causa di servizio e del danno biologico ai militari ammalati ed ai familiari dei militari in missione vittime di contaminazione da uranio impoverito e di sostanze che provocano leucemie. «Basta con le medaglie alla memoria, garantiamo invece protezioni e risarcimenti, che dovranno riguardare anche le vittime civili nei teatri di guerra e attorno ai poligoni di tiro in Italia» ha ribadito Gigi Malabarba, capogruppo Prc al Senato, durante la conferenza stampa con il maresciallo Diana. «La morte alcuni giorni fa di Luca Sepe che aveva prestato servizio in Bosnia ed in Kosovo è soltanto l’ultima di una serie. Le malformazioni emerse tra gli abitanti intorno ai poligoni di tiro in Sardegna, ma anche in paesi della Bosnia e della Serbia dove si muore a causa di patologie legate a malattie oncologiche, rappresentano più di un segnale d’allarme al quale il governo deve dare una risposta immediata. Questo governo invece, così come i precedenti, non sta facendo nulla. Anzi, abbandona militari e famiglie quando vengono colpiti, in stridente contrasto con la retorica sui "nostri ragazzi". Contemporaneamente sta riducendo le strutture di controllo e prevenzione e si inventa provocatori monitoraggi sui contingenti che beneficiano di strumentazione protettiva. E’ uno scandalo che deve finire» ha concluso Malabarba esortando la stampa a non farsi complice del governo.
Ma dove si è ammalato Diana? «In Bosnia, in Somalia, chissà. In Africa ero il responsabile della scorta per le carovane che trasportavano armi, missili, mezzi e quant’altro da Mogadiscio verso le altre zone, sotto la bandiera Nato. Questi mezzi poi dovevano essere sottoposti a bonifica nucleare, biologica e chimica prima di essere imbarcati di nuovo per l’Italia. E noi bonificavamo in calzoncini e a torso nudo con l’idrante e le sostanze chimiche lasciate dagli americani. Come erano composte quelle sostanze nessuno di noi lo ha mai saputo. Certo è che gli americani erano dotati di tute di sicurezza e maschere adatte alle zone contaminate. Noi eravamo a mani nude».
Ma c’è dell’altro che Diana racconta a fatica e mostrando le dovute "pezze" d’appoggio: «Il fatto è che questo avviene tutti i giorni, lo sa chi va sul campo e non sta dietro una scrivania in caserma. Avviene perché nell’Esercito si è sempre sotto schiaffo, in balia dei superiori, se pretendi di far rispettare le leggi sulla sicurezza magari ti rovinano con le note caratteristiche. E allora ubbidisci, in silenzio. Tutto sulle spalle dei poveri soldati che magari dovevano lavorare in missione operativa in Africa sui carri armati vecchi, superati, senza nessuno schermo protettivo per le radiazioni elettromagnetiche, malgrado la presenza a pochi metri di ponti radio che arrivavano sino all’Italia e negli Usa. E tutti sanno gli effetti di certe esposizioni ai campi magnetici. Come tutti sanno ciò che accade al poligono di Capo Teulada, dove esplosero mini bombe nucleari e non solo».
Tutti sanno. Basta avere il coraggio di guardare le contorsioni per il dolore del maresciallo Diana per capire dove sta di casa la verità. Per capire che non è più possibile sostenere - come ha fatto la Commissione Mandelli - che non c’è alcuna connessione scientifica tra le malattie e l’uranio impoverito. Come non è più sostenibile un governo che - come ha ricordato ieri mattina Falco Accame,
presidente dell’associazione Anavavaf, che assiste le vittime arruolate nelle forze armate - il prossimo agosto avvia uno studio su un migliaio di militari in Iraq per valutare l’eventuale connessione tra l’esposizione all’uranio e i tumori. «Uno studio assolutamente inutile e falsificante, visto che lo screening - come ha osservato Accame - viene fatto su personale che adotta tutte le misure di protezione e non, invece, su chi negli ultimi anni è stato in missione di pace e non ha indossato maschere, guanti e tute speciali».
Semplicemente vergognoso. Per lo screening sono stati stanziati milioni di euro, dallo stesso governo, lo stesso Stato, che non vuole sborsare soldi al maresciallo Diana. A lui che ieri è arrivato a Roma dalla Sardegna, nonostante il divieto dei medici, che si è indebitato per curarsi perché la pensione che gli hanno riconosciuto a stento copre le spese mediche. Una situazione davvero difficile. Chi volesse aiutarlo può farlo con un versamento intestato a Diana Marco piazza Gramsci n°1 09010 Villamassargia (Cagliari) e il numero di conto corrente bancario presso il Credito italiano di Iglesias è 1150900 (Abi 2008 - Cab 43910).
Ieri ad ascoltare il maresciallo Diana c’erano anche i familiari degli altri ragazzi decimati dalle cosiddette missioni pace, vittime dell’uranio impoverito, come la mamma di Riccardo Grimaldi, scomparso cinque mesi fa. E Grimaldi, Sepe, lo stesso Diana - la lista è lunga - sono stati ingnorati dalla tristemente famosa Commissione Mandelli. Quella che ha negato il nesso tra morti e malati e uranio. Uno scandalo nello scandalo.
La settimana prossima, la commissione Difesa del Senato esaminerà il disegno di legge - primo firmatario il senatore Lorenzo Forcieri - con il quale viene chiesta l’istituzione di una commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito e su altri agenti nocivi per la salute dei militari italiani impegnati in missioni all’estero e per i civili. Un passo avanti?
Veramente c’è molto ancora da scavare intorno alle missioni di pace. Sempre ieri a Palazzo Madama, Antonio Savino, presidente dell’Unac (unione arma dei carabinieri) ha denunciato che dopo la strage di Nassiriya, crollato il numero delle richieste, andare in missione è diventato semplice: non serve più la raccomandazione; adesso i generali cercano personale convocandolo a scatola chiusa per telefono.
Sabrina Deligia
sabrina. deligia@liberazione. it