Home > La Terza guerra irachena
Dentro la moschea, si giustificano gli americani, si erano rifugiati dei guerriglieri armati. E così l’aviazione Usa non ha esitato a considerarla obiettivo militare. Alcuni proiettili hanno colpito l’edificio, o forse solo un muro perimetrale, secondo una versione fornita in serata dalle autorità militari statunitensi. Ci sono state decine di vittime: non meno di venticinque, forse più di quaranta. È stato l’episodio più sanguinoso della tremenda battaglia che da qualche giorno si combatte strada per strada a Falluja, roccaforte sunnita della resistenza irachena. Il tempio bersagliato è intitolato ad Abdel Aziz al-Samarrai.
Un portavoce statunitense, il tenento colonnello Brennan Byrne, ha detto che le truppe Usa hanno risposto ad un attacco proveniente dall’interno del luogo di culto, che in quel momento non era popolato di fedeli in preghiera ma di miliziani armati. Secondo Byrne, «una quarantina di ribelli» si erano asserragliati all’interno e da qui hanno sparato un razzo anti-carro contro un veicolo militare americano facendo cinque feriti.
Byrne ha aggiunto che a quel punto è stato deciso di intervenire: un aereo ha effettuato una picchiata sulla moschea sparando reaffiche di mitragliatrice, un elicottero Cobra ha lanciato un missile e un altro aereo ha poi sganciato una bomba a guida laser. «Abbiamo ucciso gente che combatteva contro di noi», ha spiegato Byrne, che comanda il Primo battaglione del Quinto reggimento dei marines.
Dopo l’attacco i militari hanno iniziato a frugare tra le macerie. Byrne non ha saputo fornire precisazioni sul numero delle vittime ma ha giudicato improbabile che vi fossero dei sopravvissuti. Il comandante della Prima divisione dei marines, generale James Mattis, ha difeso a sua volta l’attacco, affermando che le sue truppe non esiteranno a prendere nuovamente di mira i luoghi di culto se dovranno difendersi. «Se si barricano in una moschea, non saremo noi a farci scrupoli, dal momento che non se li sono fatti loro», ha detto.
«Sono state due bombe da 230 chilogrammi quelle lanciate dall’aviazione Usa sulla moschea di Falluja», ha aggiunto in serata il generale Mark Kimmitt, numero due delle operazioni militari Usa in Iraq. «Per quanto ne so, noi abbiamo reagito ad un gruppo di rivoltosi che si nascondevano dietro il muro esterno della moschea, non proprio nella moschea», ha detto Kimmitt. «Pare che ci sia stato un alto numero di vittime» ha aggiunto il generale, aggiungendo che in base alle foto non ci sono stati danni significativi al corpo centrale della moschea.
Violenze anche in altre parti dell’Iraq. A Karbala, città santa sciita come Najaf, è stato ucciso un collaboratore di Moqtada Sadr, il leader che guida la rivolta degli sciiti radicali. Si chiamava Murtada al Mussawi. È morto durante un assalto al palazzo del governatore, difeso dal contingente polacco. Sono stati i soldati polacchi a fare fuoco uccidendo lui e altri due miliziani. Nella regione di Kirkuk, otto iracheni sono rimasti uccisi negli scontri fra soldati americani e dimostranti che protestavano contro l’intervento a Falluja. A Baghdad in due distinti episodi sono stati uccisi due soldati americani e un terzo è rimasto ferito.
A Najaf, un portavoce del gruppo di Moqtada Sadr ha sostenuto che un numero imprecisato di soldati della coalizione guidata dagli Stati Uniti erano stati catturati da «alcuni membri di tribù» locali. Il portavoce, Qays al Khazali, non ha specificato la nazionalità degli ostaggi né il luogo esatto in cui sarebbe avvenuta la cattura. Lo stesso ha poi affermato che sono andati a vuoto i tentativi di mediazione da parte di alcuni leader politici sciiti che tentavano di indurre Moqtada Sadr a sospendere la rivolta. Ed anzi Moqtada ha lanciato il guanto di sfida all’America: «Diventeremo il vostro Vietnam».
Sadr ha esortato i cittadini americani ad aiutare «i fratelli iracheni» a fare in modo che il potere del paese sia trasferito «agli iracheni onesti», ed ha accusato i membri del Consiglio Governativo Iracheno (nominato dal proconsole di Bush a Baghdad, Paul Bremer) di essere dei «collaborazionisti» e di non «rappresentare il popolo iracheno». In un’altra dichiarazione Sadr ha esortato «i fratelli del Kuwait» a ribellarsi alla presenza militare americana, aiutando gli iracheni a liberarsi del «Grande Satana» Usa.
Mentre Moqtada persiste nella sfida, il grande ayatollah Ali Al-Sistani fa invece di tutto per placare gli animi. In un comunicato diffuso dal suo ufficio a Najaf si afferma: «Condanniamo il modo in cui le forze di occupazione stanno gestendo gli eventi in corso, così come condanniamo l’aggressione contro le proprietà pubbliche o private che porta alla rivolta e impedisce ai funzionari iracheni di svolgere il loro lavoro al servizio del popolo». «Chiediamo che la questione venga gestita con saggezza, pazienza e in modo pacifico, evitando ogni passo provocatorio che porti ulteriore caos e spargimento di sangue», esorta ancora l’ayatollah.
L’UNITA’