Home > La grande Israele, fine di un mito

La grande Israele, fine di un mito

Publie le martedì 11 gennaio 2005 par Open-Publishing
1 commento

Dazibao


Solo una minoranza, imbevuta di nazionalismo religioso, preme per mantenere
il sogno.


di Marius SCHATTNER

La Grande Israele muore. Non tanto sul terreno quanto negli spiriti. Sfuma il
sogno di uno stato che inglobi Israele, la Cisgiordania e la striscia di Gaza, "Eretz
Israel Ha’Shlema", letteralmente la terra d’Israele completa.

Il concetto di Eretz Israel risale alla Bibbia e le sue frontiere sono state
oggetto di molteplici interpretazioni. Ma l’idea che questo territorio immaginario
torni integralmente al popolo ebreo oggi, in nome della Storia, di Dio o di necessità di sicurezza, é del tutto moderna.

Questo mito, il cui versante palestinese é la rivendicazione di uno stato su tutta la Palestina "min al bahar ila al-nahr", dal mare (Mediterraneo) al fiume (Giordano), é stato dimenticato fra il 1948 e il 1967, per risorgere all’indomani della guerra dei Sei Giorni, nell’ebbrezza di una vittoria lampo sugli eserciti arabi. La Grande Israele indica allora tutti i territori conquistati durante la guerra. Per molti Israeliani, di ritirarsi da questi territori "liberati" non se ne parla neppure.

Nel 1982, il ritiro dal Sinai egiziano ed un primo smantellamento di colonie sarà il primo colpo a questo mito, un colpo tanto più duro dato che é un governo di destra, con Sharon alla Difesa, che lo vibra, dopo aver concluso un accordo di pace con l’Egitto. Adesso il piano Sharon di ritiro dalla striscia di Gaza nel 2005 potrebbe essere il colpo di grazia. Ma la fine del miraggio non vuol dire la fine della colonizzazione. Lo stesso governo che intende evacuare 8 000 coloni da Gaza e 4 insediamenti dalla Cisgiordania, nel quadro del suo "piano di disimpegno", costruisce migliaia di case per i coloni in Cisgiordania.

A Gaza, l’obiettivo é quello di uscire da un pantano, dato che lo Stato ebraico non ha nulla da guadagnare dal mantenimento di un pugno di coloni in seno ad 1,3 milioni di Palestinesi, del cui esiguo territorio occupano un buon quinto. In Cisgiordania, lo scopo é quello di consolidare i blocchi di colonie esistenti, dove più di 200 000 Israeliani si sono insediati, attirati da un prezzo delle case che sfida qualunque concorrenza. Sharon non lo nasconde: il ritiro mira a preservare l’essenziale, mantenere fra il 40 e il 50% della Cisgiordania e destinare il resto alla costituzione di un bantustan palestinese.

Ironia della Storia: é Ariel Sharon, il campione della colonizzazione ebraica, che più di ogni altro ha rimodellato la geografia dei territori occupati tessendo la trama delle colonie, che disfa oggi, ancora una volta e parzialmente, la sua opera. "Ogni ritiro o separazione unilaterale provocherebbe una catastrofe per Israele", avvertiva Sharon, ancora nel dicembre 2002. Due anni dopo, il Primo minustro di destra fa, o almeno promette di fare, quel che denunciava allora.

Perdipiù, le giustificazioni che fornisce le pesca nell’arsenale ideologico laburista. E cosi’, proclama senza sosta che Israele non puo’ preservare il suo carattere "ebreo e democratico" tenendosi la striscia di Gaza o altre zone fortemente popolate da Palestinesi. Anzitutto per ragioni demografiche: fra cinque anni, o anche meno, gli Ebrei saranno una minoranza nella Grande Israele. I Palestinesi hanno molti figli, e gli immigrati ebrei sono sempre meno numerosi: appena 22 000 nel 2004. Che fare? I sostenitori della Grande Israele puntavano su una massiccia immigrazione: quella venuta dall’ex-URSS non ha cambiato niente e il flusso si é ormai esaurito. Contavano sulla partenza, volontaria, di milioni di Palestinesi: non si é verificata. I più estremisti continuano a raccomandare un "trasferimento" forzato dei Palestinesi verso i Paesi arabi. Ma per realizzare un tale progetto di epurazione etnica ci vorrebbe una guerra generalizzata in Medio Oriente, che fortunatamente nulla lascia intravedere.

Resta la separazione. E’ il ritorno alla concezione classica della divisione del territorio, quella che il creatore dello stato, Ben Gurion, aveva finito per imporre all’insieme del movimento sionista. Questa separazione, Sharon la concepisce come un atto unilaterale. Conta di tracciarne le frontiere, giovandosi dell’appoggio americano, della vittoria militare sull’Intifada, di fronte ai Palestinesi ormai senza fiato.

Il problema é che la logica che porta oggi a uscire da Gaza puo’ portare domani a lasciare la Cisgiordania. I Palestinesi ci sperano un po’, senza crederci troppo. I coloni ci credono e si disperano. Per loro, Sharon ha messo il dito in un ingranaggio che presto o tardi, che lo voglia o no, riporterà Israele alle sue frontiere del giugno 1967, con qualche rettifica.

Hanno torto a fare le Cassandre? Il seguito lo dirà. Ma si puo’ capire che si sentano gabbati, abbandonati, perfino traditi. Risentimento tanto più vivo dato che non arrivano a mobilitare la popolazione. "Non sono pionieri, ma coloni che lo stato ha viziato da trentasette anni dando loro delle terre e aiuti finanziari, costruendo le infrastrutture delle colonie, schierando battaglioni e divisioni intere per proteggerli. I nostri figli migliori sono caduti per perseguire una politica che col tempo ci ha trasformato in occupanti crudeli, ai nostri occhi ed agli occhi del mondo intero", ha scritto Yoël Marcus il 24 dicembre sul quotidiano Haaretz.

C’é un contrasto stridente fra questa requisitoria e il tono ditirambico dei mass media nel riferire le prime azioni di colonizzazione dopo la guerra dei Sei Giorni. Cosi’ il giornale a grande tiratura Yediot Aharonot titolava il 27 settembre 1967: "I figli dei veterani del Goush Etzion sono tornati nella loro terra liberata", per la creazione della prima colonia di popolamento, sul sito di villaggi conquistati dalle forze arabe durante la guerra del 1948, nel sud della Cisgiordania. In quello stesso settembre 1967 i più grandi scrittori israeliani, fra cui Nathan Alterman, poeta emblematico del movimento laburista, e Shaï Agnon, premio Nobel della letteratura 1966, pubblicano un manifesto "Per la Grande Israele", proclamando che in seguito alla vittoria dell’esercito israeliano "nessun governo ha il diritto di rinunciare all’integralità di Eretz Israel". Il capo storico del Likud, Menachem Begin, chiama ad una colonizzazione massiccia in "Giudea-Samaria (Cisgiordania), nella striscia di Gaza, sulle alture del Golan e nel Sinai". Oggi il movimento per la Grande Israele scaturito dalla destra laburista é sparito e il Likud usa il linguaggio dei suoi rivali laburisti.

Resta uno solo dei tre pilastri della Grande Israele: il nazionalismo religioso. E non é omogeneo. A parte un nocciolo duro, ci sono tutti quelli che sono pronti ad accettare il piano Sharon, temendo di essere isolati da azioni estremiste. Gli altri fanno sentire la loro voce, molto forte. Costituiscono un potente gruppo di pressione, che dispone di appoggi fino al vertice del potere che per tanto tempo é stato dalla loro parte. Niente di strano se ministri nutriti dall’ideologia della Grande Israele fanno eco compiacente alla lotta dei coloni, non foss’altro che per provare che il ritiro da Gaza é uno "strappo" tale da non poter costituire un precedente. Malgrado cio’, quelli che vogliono andare fino in fondo sono una minoranza. Si mettono ai margini con le loro minacce di "guerra fratricida", con le loro provocazioni o il loro misticismo, cosi’ lontano dal vissuto degli Israeliani. La loro é una battaglia di retroguardia.

E cosi’ l’idea di separazione dai Palestinesi assume il rango di "pensiero unico" in Israele. In assoluto, anch’essa fa parte del mito, vista l’embricatura delle due popolazioni. Non ha niente di simpatico, riente di esaltante, dato che si tratta di un divorzio. Ma un divorzio si puo’ trattare, non una falsa coesistenza, sotto l’occupazione, nel Grande Israele.
Marius Schattner, giornalista.

Ultima opera pubblicata: Storia della destra israeliana (Editions Complexe)

Tradotto dal francese da Karl&Rosa di Bellaciao

http://www.liberation.fr/page.php?Article=266939

Messaggi

  • e vabbe non è che mi dispiace tanto
    se il grande Israele muore.
    Sarebbe ora che smettessero di massacrare il popolo palestinese
    e che Sharon venga procesato davanti al tribunale dell ÀIA.
    Se continuano cosi il problema palestinese si risolve da se
    in quanto presto non ci saranno piu palestinesi :(
    Li stanno masacrando ad uno ad uno davanti agli occhi chiusi del mondo occidentale.

    Cespuglio

    • E secondo voi bastano le minacce legali per fermare libera circolazione del diritto critica???
      Naziantifascisti, nerirossi, nazimaoisti hanno tutti una passione per l’ossimoro...
      ma se gratti appena sotto la pelle di serpente trovi quella dei ratti di fogna,
      giù la maschera siete stati sputtanati e non saranno i vostri nickname a celare le vostre vere finalità...
      Il fascio anche se si fa chiamare Trozky o Stalin lo riconosci sempre dalla puzza che emana ed è così che viene sempre identificato...

      "εἰ πάντα τὰ ὄντα καπνὸς γένοιτο, ῥῖνες ἂν διαγνοῖεν."
      "se tutte le cose diventassero fumo, sarebbero i nasi a distinguerle." ERACLITO