Home > La morte di Ilaria Alpi torna un mistero
«Inventai tutto» Il testimone che inchiodò Hashi smentisce tutto. Una intercettazione l’aveva scagionato già nel 1997
«Ho inventato tutto per andare in Europa». Jelle, l’unico testimone ancora in vita che accusa Omar Hashi Hassan di aver ucciso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ammette di aver costruito una testimonianza falsa pur di ottenere un lasciapassare con destinazione Occidente. Lo fa nel corso di una intervista telefonica registrata da un giornalista somalo della Bbc, Aden Sabrie, e mostrata ieri dallo speciale Primo piano realizzato da Roberto Scardova del Tg3 e Sigfrido Ranucci di Rainews24.
Con questa smentita crolla l’unico brandello di certezza fissato in sei anni di inchieste giudiziarie sulla morte dei due giornalisti inviati in Somalia e giustiziati il 20 marzo del 1994. Omar Hashi Hassan era stato condannato dalla Corte di assise di appello di Roma il 24 novembre del 2000 con una sentenza clamorosa che ribaltava l’assoluzione in primo grado e stabiliva che il giovane era uno dei sette uomini del commando che a bordo di una Land Rover tagliò la strada alla jeep su cui viaggiavano Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, per poi ucciderli entrambi.
Uniche prove contro di lui: la testimonianza di Ahmed Ali Rage detto «Jelle», appunto, resa alla procura di Roma nel 1997 e mai confermata in aula. E quella di Abdi Ali, l’autista del furgone su cui viaggiavano Ilaria e Miran, tornato in Somalia dopo una lunga permanenza in Italia e morto due anni fa in circostanze poco chiare.
Ma a scagionare Hashi ci sarebbe anche un altro elemento, anche questo mostrato nella trasmissione mandata in onda ieri sera. Una intercettazione telefonica in cui Giancarlo Marocchino, intoccabile uomo d’affari residente in Somalia, dice ad un’altra persona di sapere per certo che Hashi è innocente. L’intercettazione era stata realizzata nei giorni del delitto dalla procura di Asti.
E quando il giovane somalo fu arrestato i magistrati piemontesi inviarono una copia della registrazione ai colleghi romani. Prima ancora che la trasmissione Rai venisse messa in onda, in una testimonianza alla commissione parlamentare Alpi resa due settimane fa e immediatamente secretata il pm Luciano Tarditi aveva già spiegato tutto.
E ai margini della trasmissione chiarisce: «Noi tenevamo sotto controllo l’altra utenza, ma abbiamo notato la frase che riguardava l’omicidio dei giornalisti Rai e abbiamo deciso di isolarla e inviarla a Roma». Il magistrato piemontese - che ha da poco chiesto l’archiviazione della sua inchiesta sul traffico dei rifiuti con la Somalia vista l’impossibilità di fare rogatorie internazionali nel Corno d’Africa - spiega anche che in un’altra intercettazione Marocchino avrebbe detto di avere «per le mani» il documento che indicava chiaramente chi fossero i veri assassini di Ilaria Alpi.
Le intercettazioni sono di certo arrivate a Roma. Ma mai nell’aula dei due processi contro Hashi. E nessuno ha mai chiesto conto a Marocchino di quanto affermato nelle due telefonate: «Alcuni anni fa siamo riusciti a convocarlo davanti al gup di Asti - dice ancora Tarditi - ma lui ha minimizzato su quasi tutto e ovviamente sul caso Alpi non potevamo chiedergli nulla».
La storia dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si è incrociata più volte e in modi diversi con quella del traffico di rifiuti tossici e di armi che viaggiavano dall’Italia alla Somalia. Gli appunti rimasti nel suo cassetto, alcune videocassette e i racconti a colleghi e amici dimostrano per certo che Ilaria Alpi stava lavorando a una inchiesta su questo tema quando fu uccisa. Molti pensano che dietro a quella esecuzione ci sia la vendetta di chi pensava che avesse scoperto troppo e che qualcuno poi abbia deciso di nascondere la verità.
Per questo ieri Carlo Taormina, presidente della commissione di inchiesta nata un paio di mesi fa, ha promesso che l’obiettivo principale dei lavori parlamentari sarà chiarire «le anomalie nello svolgimento delle indagini e le responsabilità all’interno delle istituzioni, rispetto alle quali sarà necessario agire con grande fermezza». Da oggi sul caso lavora anche un Osservatorio pubblico a sostegno della commissione parlamentare.
L’osservatorio voluto dai genitori di Ilaria, Giorgio e Luciana, si riunirà ogni tre mesi nella sede della Federazione nazionale della stampa per fare il punto sulle ricerche in corso. Parteciperanno giornalisti di diverse testate e le associazioni Arci e Libera. «Da 10 anni lottiamo per avere la verità e soprattutto perché il lavoro di Ilaria non sia disperso - dicono i suoi genitori - Adesso l’isolamento si è rotto».
Il Manifesto