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Dazibao Cinema-video - foto Enrico Campofreda
di Enrico Campofreda
“Le tournage d’un film, c’est un voyage en diligence à travers le Far West: au
début, on espére faire un beau voyage, mais très vite on se demande seulement
si on va arriver à destination’’
Immaginate una piazza, una di quelle in cui la gente passa e corre. Donne, uomini,
auto e la normale frenesia. In quella piazza un giovane uscito dal metrò incontra
un uomo e lo schiaffeggia. Da un colpo di scena di vita comune si passa a un
altro colpo di scena: il campo visivo s’allarga e compaiono carrelli e camere:
si tratta d’una finzione, di un set. Per il suo omaggio al cinema, nel film che
gli è valso l’Oscar per la migliore pellicola straniera, Truffaut sceglie un
mélo, una storia naturalmente d’amore e d’amore contrastato. Ma accanto alla
fiction corrono in parallelo i veri colpi che l’amore e la vita infliggono ai
protagonisti, immortalati in un magnifico affresco sulla magìa del cinema.
Perché il cinema è come la vita, denso d’imprevisti. E al tempo stesso è vita come Truffaut (Ferrand sul set) dice al suo attore Alphonse in crisi di vocazione a seguito di delusioni amorose “Sai bene che persone come te e me non possono essere felici se non lavorando e lavorando per il cinema”. E come Fellini il regista francese riesce a fare di quest’arte pur frenetica e folle pura poesia. Cos’è un regista? Molte cose. Un artista senz’altro, ma un conoscitore del mondo, e anche uno psicologo, un amico, un seduttore, un organizzatore, stakanovista. Un film in sette settimane si trova a programmare Ferrand-Truffaut per le pressioni d’un ferreo e simpatico produttore. Gira, scrive e riscrive soggetti e battute, orienta i fotografi, risponde ai tecnici, sceglie un’auto per la scena d’un incidente, un tipo di pistola per il finale drammatico e, se vede casualmente un vaso che starebbe bene come arredo in una scena d’interno, si preoccupa anche di quello. Un deus ex machina.
I giochi sportivi hanno mutuato dal cinema l’aggettivo regista. In effetti il termine s’adatta perfettamente agli sport collettivi, regista è colui che trascina la squadra, ha l’occhio su tutto e sa fare tutto. Ed è un riferimento per tutti. La nuit américaine mostra proprio questo, l’immane fatica che c’è dietro l’impresa d’un film che collettivamente coinvolge una squadra a volte più numerosa d’un paese: dai prim’attori al personale (operatori, carrellisti, segretarie, aiuto registi, parrucchieri, tuttofare, operai). Perciò un film, insegna Truffaut, è un’opera altamente democratica, per realizzarla serve il contributo di tutti poiché un direttore d’orchestra è nulla senza i musicanti e portatori di strumenti.
Negli studios alle porte di Nizza la troupe di Ferrand sta girando Je vous présent Pamela. Si narra la storia del giovane Alphonse (Jean-Pierre Léaud) che dopo aver presentato la sua affascinante fidanzata (Jaqueline Blisset) ai propri genitori la vede fuggire col suo avvenente padre. Durante la lavorazione accadono molte cose. Nel mostrarle Truffaut usa il solito tocco leggero e coinvolgente, con un’intensità e un ritmo (accattivante il refrain musicale) che mostrano allo spettatore la tensione psico-fisica alla quale la gente del cinema è sottoposta sul set e fuori, e comunque lo ammalia a tal punto che sguardo e attenzione non si muovono da lì neppure per un attimo.
E ci si commuove agli sforzi d’una prim’attrice un po’ in disarmo e dedita all’alcol (Valentina Cortese) che deve ripetere decine di volte una scena perché nel finale apre la porta sbagliata. Si sorride delle schermaglie amorose dell’attore Alphonse, geloso della sua ragazza tanto da portarla con sé sul set, e poi vederla sparire con lo stunt man. Ai colpi di testa individuali di Alphonse o di Julie, che hanno momenti di crisi e non vogliono più recitare, l’équipe cerca di porre rimedio con amore e buon senso. L’armonia non deve mai cedere il passo agli inconvenienti che possono sopraggiungere, da quelli semplici d’una comparsa che ha nascosto la gravidanza e può nelle immagini svelare il suo nuovo stato, a quelle tragiche della morte di uno dei protagonisti: il padre di Alphonse con cui Julie deve fuggire.
Non ci si perde d’animo. Il copione viene modificato in corso d’opera: il padre, sostituito da una controfigura, verrà colpito dal figlio alle spalle con un colpo di pistola. E il regista, nonostante le notti agitate, tiene saldo il timone conducendo in porto l’impresa addirittura con un ulteriore taglio dei tempi di lavorazione. Nel suo splendido film nel film Truffaut in certi momenti trascina, in altri conduce per mano, rendendoci partecipi in quanto pubblico di quel meraviglioso e vitalistico atto d’amore che è un film. Un atto d’amore costellato di gioie e tristezze e capricci. Tradimenti e tormenti, trucchi, mascheramenti ed effetti speciali. Come la “nuit américaine” un effetto che per l’uso di filtri particolari conferisce a scene girate di giorno l’apparenza dell’oscurità . Ma al di là degli strumenti sono la mente umana e i meandri dell’animo a sorprendere e affascinare più d’ogni altra cosa. Ed è sempre l’amore il mistero cui occorre inchinarsi senza molto capire.
L’unico amore lucido e comprensibile Ferrand-Truffaut lo prova per il cinema. Amore antico per il quale si cita, quando - intervallando un bianco e nero - mostra se stesso bambino intento a rubare le foto di scene madri dalla Cinémathèque Langlois.
Regia: François Truffaut
Soggetto e sceneggiatura: Jean-Luis Richard, Suzanne Shiffman, François Truffaut
Direttore della fotografia: Pierre-William Glenn
Montaggio: Martine Barraqué
Interpreti principali: Jacqueline Bisset, Valentina Cortese, Dani, Alexandra Steward, Jean-Pierre Léaud, Jean-Pierre Aumont, Jean Champion, François Truffaut, Nike Arrighi, Nathalie Baye, Bernard Menez
Musica originale: Georges Delerue, Yann Dedet
Produzione: Marcel Berbert
Origine: Francia-Italia, 1973
Durata: 115’