Home > La strategia della "carica preventiva"
Ci stanno provando di nuovo. Da palazzo Chigi, anzi dal forum di Assago,
dove sta affondando il congresso elettorale di Forza Italia. Il governo
prova a caricare il movimento col "gas paralizzante". La carica è preventiva
(parola trendy in questo momento) e ad ordinarla è direttamente il ministro
Pisanu che dice: «Si profilano minacce molto gravi». L’obiettivo è lo stesso
di sempre: distruggere il movimento l’unico vero antagonista di questo
governo. Ad Assago sono disperati. Berlusconi interviene a più riprese nel
dibattito per provare a risollevare le sorti del suo partito e di un governo
in tuta mimetica che perde consensi anche nelle aree moderate del paese. Per
questo hanno affidato l’attacco più duro alla voce di colui che si vuole il
ministro "moderato" per eccellenza. Il target di Pisanu è chiaro: siamo
tutti noi. Quelli che stanno manifestando contro la guerra militare e
sociale. L’obiettivo è dividere, rompere la moltitudine di donne e uomini
che provano a ribellarsi ad un futuro incerto e alla guerra permanente.
Vorrei ricordare al ministro degli interni che gran parte dei sindacati,
associazioni, centri sociali che oggi manifestano contro la guerra in Iraq
scesero in piazza anche contro la guerra nella ex Jugoslavia. La maggioranza
globale pensa che non si muore di meno se una guerra è condotta dalla Nato,
con l’approvazione delle Nazioni Unite, ma è certo che nella storia è la
prima volta che viene adottata la linea minority report.
La dottrina della guerra preventiva ha stravolto qualsiasi legge
internazionale. La dottrina della paura globale è stata adottata per
garantire la "governance" dell’alternanza. La cancellazione di ogni
possibile alternativa è uno degli obiettivi non dichiarati di questa guerra.
Il governo fa intendere che è meglio stare a casa, chiudere le finestre e
sintonizzarsi su Rete 4 per la parata dei "signori della guerra". Ma ci sono
immagini che non si dimenticano, un uomo iracheno con le mani legate, seduto
nel deserto con in testa un cappuccio e tra le sue gambe un bambino, forse
il figlio, che piange disperato sotto lo sguardo di un militare. Noi non
dimentichiamo le immagini dei missili che finiscono su un matrimonio e fanno
quaranta morti, noi non dimentichiamo che tutto questo accade per
responsabilità di George Bush e della scuola "neocons".
Il 4 giugno saremo centinaia di migliaia in piazza, manifesteremo
pacificamente sin dalle prime ore del mattino l’indignazione per la sfilata
dei due presidenti. Il dispositivo disciplinare che la guerra interna impone
è costituito da logiche di comando, di divieti, di zone a limite
invalicabile che vengono imposti ad una intera città. Ma la città è un corpo
vivo, dotata di una intelligenza collettiva che si ribella alle imposizioni.
L’indignazione si manifesterà in mille modi, nel centro storico saranno
centinaia i balconi con le bandiere della pace esposte, e per chi non le
avesse ancora, le doneremo nei prossimi giorni, con una lettera che inviterà
a partecipare al corteo. Chi chiede di esporre solo le bandiere e ascolta le
"sinistre sirene" del ministero degli interni non coglie un elemento
fondamentale. La spirale guerra-terrorismo aggredisce nel profondo la
riappropiazione del proprio territorio, come luogo costituente di democrazia
diretta. La disciplina militare può essere vinta solo con l’insubordinazione
diffusa. La banalità del male, degli ordini da eseguire e di una popolazione
ridotta a maggioranza silenziosa può essere infranta solo con la
moltiplicazione di azioni comunicative e creative che si sottraggano alla
"leva obbligatoria" che uno stato di guerra non più eccezionale propone. Il
governo torna rievocare le giornate del luglio genovese per attaccare in
maniera preventiva il movimento. Come hanno dimostrato filmati e inchieste
giornalistiche, la responsabilità di quello è accaduto è di chi ha
preordinato l’attacco. In quelle strade gli otto potenti della terra
provarono a distruggere la formazione di un altro potere, quello
dell’umanità. Non ci sono riusciti: le giovani e i giovani comunisti saranno
ancora disobbedienti, sfuggiremo ad ogni tentativo di fronteggiamento,
saremo come a le operaie e gli operai di Melfi che hanno sconfitto il
governo: quando la polizia provava a disperdere il blocco hanno alzato le
mani in aria e hanno gridato: «pace, pace, dignità, dignità». Saremo in
strada anche il 2 giugno per contestare la sfilata di muscoli d’acciaio che
puzzano di polvere da sparo, proveremo a dire che non solo la costituzione
ma anche la maggioranza di questo paese ripudia la guerra. Il 4 con tutte le
reti del movimento proveremo a fermare Bush. Dobbiamo rappresentare nelle
strade, nelle metropolitane, nelle stazioni, l’indignazione contro la guerra
e comunicare le atrocità delle torture. Il 4 giugno dobbiamo provare a
costruire un nuovo immaginario. Abbiamo già un consenso straordinario,
dobbiamo trasformare quel consenso in condivisione, partecipazione e
pratiche pubbliche che si confrontano con una guerra che purtroppo non
finirà domani.
Michele De Palma
Coordinatore nazionale Giovani comunisti