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Legambiente basta alla "sordina" del centrosinistra italiano, ritiro immediato

Publie le mercoledì 21 aprile 2004 par Open-Publishing

Lista unitaria perchè stai esitando?

L’ultimo mese ha portato cambiamenti radicali nella vicenda irachena: prima la vittoria elettorale in Spagna dei socialisti di Zapatero, che ha rotto il fronte della guerra preventiva e unilaterale; poi la drammatica escalation di violenze in Iraq, che per la prima volta dal 1945 ha coinvolto il nostro Paese in azioni di guerra con vittime civili; infine la tragica spirale dei sequestri di cittadini occidentali, con la cattura di quattro italiani e l’assassinio di Fabrizio Quattrocchi, e poche ore fa l’annuncio del nuovo premier spagnolo che la Spagna anticiperà ulteriormente i tempi del proprio ritiro.

A questo mutamento di scenario la politica italiana ha reagito a modo suo, facendo finta che tutto sia rimasto com’era. La maggioranza di centrodestra continua a ripetere che in Iraq gli "alleati" stanno costruendo la pace e la democrazia. Il centrosinistra continua a dividersi tra fautori di un ritiro immediato e incondizionato delle nostre truppe e chi, soprattutto la Lista unitaria, preferisce rimandare ogni valutazione definitiva (ritiro sì o ritiro no) alla mitica data del 30 giugno, coltivando ancora la speranza - anch’essa vagamente mitologica - che in poche settimane gli Usa si convincano a cedere all’Onu la gestione del cosiddetto dopoguerra iracheno.

Molte cose non comprendiamo di questo atteggiamento di suprema cautela. Quando gli eventi rendono tanto più evidente, anche in termini meramente pragmatici, il fallimento della visione che ha portato all’invasione dell’Iraq, a quella scelta disgraziata che il centrosinistra italiano ha contrastato senza tentennamenti; quando si dimostra che la democrazia non si può esportare e che la politica di Bush e Blair non fa che dare crescente alimento al terrorismo islamico, ci si aspetterebbe che quanti hanno militato fin dall’inizio dalla parte giusta (giusta secondo noi, per carità...) rafforzino il proprio impegno per porre fine a questa avventura insensata. E invece nelle dichiarazioni anche più recenti di Francesco Rutelli e di Piero Fassino si legge una sorta di pudore nel rivendicare con forza le proprie ragioni. Nel dire al nostro governo: "Vi avevamo avvertito che vi stavate cacciando in un tunnel, ora metteteci una pezza ritirando immediatamente le truppe e unitevi all’Europa che chiede, ormai quasi unitariamente, di voltare pagina rapidamente e radicalmente in Iraq". Di dire insomma le stesse cose che hanno ripetuto più volte non degli estremisti, ma politici indiscutibilmente moderati come il presidente francese Chirac, il ministro degli esteri tedesco Fisher, il presidente della Commissione europea Romano Prodi.

Va respinto il ricatto di chi sostiene che ritirarsi oggi dall’Iraq equivarrebbe ad abbandonare il Paese a una terribile guerra civile: è questa occupazione che rischia di "vietnamizzare" l’Iraq, e solo se i partner della coalizione anglo-americana decideranno di ritirarsi, Bush e Blair si vedranno costretti a scendere a patti con la comunità internazionale e potrà aprirsi davvero per Baghdad un cammino di pacificazione e democratizzazione. Nemmeno è questione, ci preme sottolinearlo, di pacifismo integrale, di no alla guerra senza se e senza ma: siamo convinti che la guerra sia sempre un male, ma anche che ci sono casi in cui ribellarsi con le armi contro un’oppressione o intervenire con le armi per fermare uno sterminio sia non solo legittimo ma profondamente "morale". Sono state morali la guerra e la Resistenza contro il nazifascismo, è stato immorale non intervenire in Bosnia o in Ruanda. Il punto è molto più specifico: il no senza se e senza ma è a questa guerra illegale e controproducente ai fini stessi della lotta al terrorismo, un no che il centrosinistra italiano ha urlato quando è stata decisa e al quale oggi non può, non deve mettere la sordina.

Invece quelle due parole semplici e chiare, ritiro immediato, non vengono pronunciate. Difficile capire il perché, ma qualche ipotesi si può tentare. Certo il sequestro dei quattro "vigilantes" italiani, e poi la barbara uccisione di Quattrocchi, hanno suscitato grande impressione nell’opinione pubblica, suggerendo che questa sia l’ora della solidarietà di tutti con i nostri connazionali prigionieri. Anche in questo caso, però, sarebbe bene imparare dalla Spagna. Il giorno dopo l’attentato del 12 marzo, milioni di spagnoli di tutte le idee politiche si sono ritrovati uniti nelle piazze per manifestare il loro rifiuto del terrorismo assassino: ma l’unità nazionale si è fermata qui, e le forze contrarie alla guerra non hanno fatto sconti al governo Aznar che aveva schierato il Paese a fianco di Bush. Lo stesso sarebbe bene che avvenisse in Italia. Legambiente ha aderito alla manifestazione del 18 marzo contro il terrorismo, e non siamo affatto pentiti di quella scelta, ma l’esigenza sacrosanta di una condanna unanime, e "prepolitica", della follia terrorista, nulla toglie alla necessità di battersi per una rapida uscita dell’Italia dal pantano iracheno, che oltretutto dopo la dissociazione spagnola renderebbe non più camuffabile il carattere unilaterale e neoimperiale della guerra all’Iraq e perciò avvicinerebbe la possibilità effettiva di un "ritorno" dell’Onu. Così per la vicenda dei quattro italiani sequestrati: tutta la solidarietà umana verso il povero Quattrocchi, verso i suoi tre colleghi, verso le famiglie, doveroso ogni sforzo per riportare gli ostaggi a casa sani e salvi, ma trasformare questo dramma in un inno all’italianità coraggiosa o addirittura eroica è di pessimo gusto ed è un insulto alla verità. Intanto si cominci a pretendere dal nostro governo un minimo atto di chiarezza e di decenza: dicano chiaro e tondo che chi si trova in Iraq non in quanto militare né perché impegnato in compiti umanitari, è lì a proprio rischio e pericolo. L’Iraq è un Paese in guerra, non ci si va in cerca di lavoro. In questi giorni commentatori anche molto autorevoli hanno tessuto le lodi della "bella morte" di Quattrocchi. Tra gli ultimi Gianni Riotta sul Corriere della Sera di sabato scorso, che ha epicizzato la fine di questo giovane uomo solitario e vero che muore invocando la patria, contraltare all’immagine abusata dell’italiano sentimentale e un po’ vigliacco. Ma di cosa parla, Riotta? Personalmente proviamo rispetto e anche ammirazione per il coraggio, la spavalderia mostrati da Quattrocchi davanti ai suoi aguzzini. Però Fabrizio Quattrocchi non è un eroe: come ha sintetizzato mirabilmente in un’intervista il vecchio Mario Monicelli, eroi sono coloro che sacrificano la vita per un ideale o per il prossimo.

Noi ci auguriamo che nelle prossime ore i leader della Lista unitaria le dicano le due parole "ritiro immediato". Che alla domanda su cosa intendano per "apertura di una fase nuova che veda l’Onu protagonista in Iraq", rispondano senza fumisterie che una presenza militare straniera in Iraq è ammissibile solo se il comando, e la scelta dei Paesi da coinvolgere, diventano delle Nazioni Unite. Che cioè si dimostrino riformisti nel senso migliore del termine: rigorosi nell’analisi, costruttivi nella proposta.

roberto della seta

francesco ferrante