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Leyla Zana, l’Europa condanna Ankara

Publie le sabato 24 aprile 2004 par Open-Publishing

Strasburgo restituisce lo schiaffo alla Turchia e chiede l’amnistia per tutti i politici
L’Europarlamento finalmente alza la voce contro il regime, protesta per la sentenza del tribunale
speciale e avverte: se non cambiate rotta, nientre ingresso nell’Ue

E’bastata una sentenza, indegna per un paese civile, a far saltare mesi e mesi di lobbying da
parte del regime turco per convincere uno per uno i deputati che Ankara ha cambiato strada, che il
paese si sta democratizzando, che d’ora in poi i diritti umani saranno rispettati anche sul Bosforo e
che quindi può essere finalmente aggiunto un posto alla tavola dell’Unione europea. La sentenza
che ha sbriciolato il castello di cartapesta è quella che ha ribadito la condanna a 15 anni di
carcere per Leyla Zana e gli altri tre ex-parlamentari turchi colpevoli di essere kurdi e rivendicare
la propria identità, non nazionale ma culturale e linguistica. Con quella sentenza pronunciata due
giorni fa dal tribunale speciale di Ankara, abbiamo scritto ieri, è stato impartito un sonoro
schiaffone agli imputati nonché all’Ue che aveva conferito a Leyla Zana il premio Sakharov per i
diritti umani.

La Corte di Strasburgo aveva annullato la sentenza del 94 e la Turchia era stata costretta a rifare il processo. La sentenza di due giorni da è la fotocopia di quella annullata da Strasburgo. Ieri l'assemblea del parlamento europeo ha votato una risoluzione sostenuta da tutti i gruppi politici, che condanna durissimamente la Turchia e «la decisione della Corte di Sicurezza dello Stato di Ankara di riconfermare la sentenza del94», in contrapposizione «alle indicazioni
fornite dalla Corte europea per i diritti dell’uomo». La condanna è «in totale contraddizione con la
riforma giuridica avviata dal governo turco, la cui attuazione sarà seguita strettamente dal
Parlamento, anche nel corso del periodo precedente il dicembre 2004», data entro cui l’Unione dovrà
decidere se avviare le pratiche per l’ingresso della Turchia nell’Ue.

Il parlamento europeo accusa «le
violazioni dei diritti della difesa», nonché un fatto abnorme che il manifesto ha denunciato fin
dalla prima udienza del processo a Leyla: «la presenza del procuratore in tutte le sedi in cui i
giudici sono stati chiamati a prendere decisioni sugli imputati», persino in camera di consiglio dove
è stata ribadita la condanna per reati (presunti) d’opinione. La risoluzione di ieri è un chi va
là al governo, ora in mano agli islamisti che non si differenziano dai kemalisti nella repressione
delle minoranze etniche e politiche: il processo «simboleggia il divario esistente tra
l’ordinamento giudiziario turco e quello dell’Ue».

In conclusione, l’Europarlamento chiede l’annullamento da parte della Cassazione della sentenza e
l’abolizione dei tribunali speciali. Per una volta meno timida, l’Europa si spinge più in là, e
«chiede alle autorità turche di applicare un’amnistia per tutti i condannati per reati d’opinione».
Dalla reazione del regime di Ankara, dalla sua volontà di avviare un processo di democratizzazione
non a parole, ma cambiando la legislazione e applicando la nuova, dipenderà il possibile futuro
europeo della Turchia. Che il 9 giugno potrebbe ricevere una schiaffo ancor più sonoro, quando la
Corte di Strasburgo deciderà sul ricorso degli avvocati di Abullah Ocalan contro la sentenza che ha
condannato «Apo» a morte, pena trasformata in ergastolo per dare un contentino all’Ue.

il manifesto