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Libia: spie, integralisti e intrighi di una sporchissima guerra

Publie le lunedì 28 marzo 2011 par Open-Publishing
9 commenti

Il presidente americano ha esultato per la missione libica, che a suo parere “sta avendo successo”. Le bombe ‘democratiche’, secondo il premio Nobel per la Pace, avrebbero salvato molte vite. Ma dietro gli ‘insorti’ potrebbe esserci ben altro.

Il capo della Casa Bianca ha sottolineato che gli americani “devono essere orgogliosi delle vite salvate in Libia” con un intervento “che è stato nel nostro interesse nazionale”. E la stampa internazionale esulta per i successi dei ‘ribelli’. Ma ad alcuni ‘inviati’, specialmente a quelli ‘di sinistra’ italiani sono stranamente sfuggiti alcuni particolari sulla ‘opposizione libica’.

Innanzi tutto i fatti. Sebbene del tutto ignorato dai media internazionali o addirittura definito ‘materiale di disinformazione’, il bilancio fornito dal Omar Khaled, funzionario del Ministero della Salute libico, riferisce di 114 morti e di 445 feriti a causa dei bombardamenti compiuti tra il 20 ed il 23 marzo da forze statunitensi, francesi e del Regno Unito. I dati forniti dal governo di Tripoli non distinguono tra vittime civili e militari, ma secondo informazioni riferite da Telesur e raccolte tra i media locali “la maggioranza delle vittime erano civili, dei quali 100 sono stati uccisi a Tripoli, mentre gli altri 10 sono morti a Sirte (nord), oltre 600 chilometri dalla capitale”.

Il ‘successo’ al quale si è riferito Obama è però il frutto di una complessa operazione di ‘guerra psicologica’ supportata da alcuni media, in particolare Al Jazeera, preparata con cura da Washington, Parigi e Londra e gestita, forse, con la stessa confusione con la quale si è ‘prederminato’ il superpasticcio afgano.

In Occidente ed in Italia i quotidiani di ogni orientamento (in particolare quelli di sinistra) hanno deformato la realtà da subito. Non si è spiegato ai cittadini-lettori come il conflitto libico sia stato originato in particolare da due fatti che nulla hanno a che vedere con una ‘rivoluzione per la democrazia’. Il primo è il cedimento dell’accordo tra i capi clan del Paese che garantiva l’equilibrio tra le diverse tribù e la dittatura del Colonnello. Il secondo, meno trasparente, coinvolge alcuni servizi segreti occidentali (Usa, Francia, Regno Unito) e forze non ancora identificate (secondo alcune testimonianze vicine all’integralismo islamico egiziano) che hanno preparato i primi moti di Bengasi e rifornito di armi e informazioni segrete i ‘ribelli’.

Prima di tutto fino ad oggi non è assolutamente chiaro da chi siano composte le cosiddette ‘forze ostili alla dittatura di Gheddafi’ e quali tribù abbiano aderito al cartello antigovernativo. Tuttavia è noto che Mustafa Mohamed Abud Al Jeleil, il segretario del ‘Consiglio nazionale ad interim di transizione’, era l’ex ministro della Giustizia del Colonnello ed stato oggetto in passato di duri attacchi da parte di Amnesty International ed Human Right Watch per le sue attività di repressione del dissenso. Inoltre, le autorità di Sofia lo ritengono tra i responsabili del sequestro e della tortura di alcune infermiere bulgare e di un medico palestinese a lungo detenuti a Tripoli e condannati a morte dopo un processo farsa che indignò il mondo intero e liberati dopo otto anni di galera grazie all’intervento (guarda caso) della ex moglie del presidente francese, Cecilia Sarkozy.

Ma i dubbi non si fermano all’ex collaboratore del dittatore libico. In un’analisi pubblicata il 26 marzo scorso dal quotidiano statunitense ‘The Washington Examiner’, il caporedattore politico Byron York, ha scritto: “Sta emergendo la prova che le forze degli Stati Uniti stanno conducendo la guerra in Libia a favore di ribelli tra i quali ci sono jihadisti che hanno combattuto contro gli Usa in Afghanistan, Pakistan e Iraq”.

Il reporter americano, citando il britannico ‘The Telegraph’, ha sostenuto che “Abdel-Hakim al-Hasidi (nella foto, ndr), uno dei leader delle forze ribelli appoggiate dagli Usa nei combattimenti intorno a Adjabiya, è andato in Afghanistan nel 2002 per lottare contro la “invasione straniera”, cioè le truppe americane che avevano invaso quel Paese dopo l’11 settembre.

Praveen Swami, un giornalista del quotidiano inglese, ha scritto poi che “in una intervista rilasciata al giornale italiano ‘Il Sole 24 Ore’, Mr al-Hasidi ha ammesso di aver reclutato ‘circa 25′ uomini nell’area di Derna, una zona della Libia orientale, per combattere contro le truppe della coalizione in Iraq. Alcuni di loro, ha detto, sono ‘oggi sono in prima linea ad Adjabiya’”.

Per York “la storia di Al-Hasidi è coerente con le prove presentate in un rapporto del 2007 pubblicato dal Centro contro lotta al terrorismo dell’Accademia Militare degli Stati Uniti di West Point” (leggi).

Il rapporto, redatto dai docenti Joseph Felter e Brian Fishman, aveva preso in esame alcuni documenti di organizzazioni integraliste affiliate ad al Qaeda trovati nell’ottobre 2007 vicino a Sinjar, in Iraq. Il materiale comprendeva informazioni biografiche su circa 700 terroristi stranieri arrivati in Iraq per combattere contro gli Stati Uniti tra agosto 2006 e agosto 2007.

I due studiosi avevano scoperto che la maggior parte dei combattenti stranieri, circa il 41 per cento, provenivano dall’Arabia Saudita. Il secondo Paese numericamente rilevante per reclutamento, col 19 per cento di presenze, era la Libia.

Dal momento che studi precedenti avevano indicato un numero molto minore di combattenti libici in Iraq, gli autori avevano dedotto che ci fosse stato un aumento di libici in Iraq nella primavera e nell’estate del 2007 grazie al lavoro del ‘Libyan Islamic Fighting Group’s’ (Lifg) e ‘The Telegraph’, citando fonti governative statunitensi e britanniche, ha affermato che Abdel-Hakim al-Hasidi è un membro del Lifg.

Daya Gamage di “Asia Tribune” in un recente articolo sullo studio del Centro di West Point, ha aggiunto “… cosa allarmante per i politici occidentali, molti combattenti provenivano dalla Libia orientale, il centro delle attuali rivolte contro Muammar Gheddafi. La città orientale di Derna ha inviato più combattenti in Iraq rispetto a qualunque altra città o cittadina”.

Secondo il lavoro di indagine svolto dal ‘Centro’ i principali centri del Lifg erano le città di Bengasi e Derna. Questo è documentato in una dichiarazione di Abu Layth al-Libi, sedicente “Emiro” del gruppo, poi divenuto un funzionario di alto livello di al Qaida. L’uomo nel 2007 aveva sottolineato l’importanza di Bengasi e Derna per i jihadisti libici ed aveva affermato: “E’ con la grazia di Dio che stavamo issando la bandiera della jihad contro questo regime di apostati (quello di Gheddafi, ndr), sotto la leadership del Gruppo dei Combattenti Islamici Libici, che ha sacrificato l’elite dei suoi migliori figli e comandanti nella lotta contro questo regime, il cui sangue è stato versato sui monti di Derna, nelle strade di Bengasi, nei sobborghi di Tripoli, nel deserto di Sabha e sulle sabbie dei litorali”.

Felter e Fishman, già nel 2007, avevano proposto che la Casa Bianca iniziasse una cooperazione con i governi arabi esistenti contro i terroristi. Avevano scritto i due analisti: “I governi siriano e libico condividono le stesse preoccupazioni degli Stati Uniti riguardo alla violenta ideologia salafita-jihadista e riguardo alla violenza perpetrata dai suoi aderenti. Questi governi, come altri in Medioriente, temono la violenza dentro i loro confini e preferirebbero che quegli elementi integralisti andassero in Iraq piuttosto che causare destabilizzazioni nel Paese. Gli sforzi degli Stati Uniti e della Coalizione per bloccare il flusso di combattenti in Iraq saranno più efficaci se si rivolgeranno all’intera catena logistica che supporta gli spostamenti di questi individui – a partire dai loro Paesi d’origine – piuttosto che rivolgersi ai soli punti d’accesso siriani. Gli Stati Uniti potrebbe riuscire a intensificare la cooperazione dei governi per bloccare il flusso di combattenti in Iraq rivolgendo le loro attenzioni alla violenza jihadista domestica”.

Lo studio di West Point, però, conteneva anche una seconda opzione, ipotizzando di utilizzare i membri del Lifg contro Gheddafi, creando un’alleanza fra gli Stati Uniti e un segmento dell’organizzazione terroristica. Secondo la ricerca a prescindere dalla strategia globale “è probabile che alcune fazioni del Lifg vogliano ancora rendere prioritaria la lotta contro il regime libico, piuttosto che combattere in Iraq. E’ possibile esacerbare le divisioni fra i capi del Lifg e la tradizionale base di potere egiziana e saudita di al Qaida”.

L’esperienza afgana, nella quale sono stati investiti milioni di dollari anche provenienti dal traffico di oppio, per sostenere i guerriglieri integralisti ai tempi dell’invasione sovietica sembra possa ripetersi in Libia. Salvo poi trovarsi sul campo non degli alleati, ma dei temibili nemici.

La guerra libica, insomma, potrebbe contenere scenari del tutto inconfessabili. Indulgere nello sport della dietrologia non è mai saggio. Ma lo strano conflitto libico e la presenza di immensi giacimenti di petrolio in quel Paese dovrebbero suggerire molta cautela. Perchè dalle ‘armi di distruzione di massa’ di Saddam (mai trovate) alla tragedia dell’Afghanistan, passando per non poche guerre africane, golpe ed omicidi mirati le manovre delle grandi potenze (in prima linea Usa, Cina, Francia, Gran Bretagna e Russia) hanno prodotto fino ad oggi immensi danni e decine di migliaia di vittime.

La sinistra italiana, prima di imbracciare i fucili e gridare alla ‘rivoluzione democratica’, forse dovrebbe osservare con cura la situazione. Per evitare errori irreparabili.

http://www.inviatospeciale.com/2011/03/libia-spie-integralisti-e-intrighi-di-una-sporchissima-guerra/

Al‐Qa’ida’s Foreign Fighters in Iraq: A First Look at the Sinjar Records

Messaggi

  • Cos’è, l’ Agenzia Jana" di Tripoli ?

    Cioè l’equivalente dell’ "Agenzia Stefani" ai tempi del fascismo ....

    Raf

    • Vabbè vi appigliate a tutto.

      In Libia non c’è nessuna rivolta ma c’è una guerra civile tra tribù. Alcune di qst non erano più contente di come era spartita la torta e si sono fatte sostenere da stati stranieri, a loro volta scontenti delle spartizioni.

      Inoltre le potenze occidentali avrebbero potuto fare come in Egitto o in Tunisia, dove tutto è identico (forse anche peggio) di come era prima delle rivolte. Si veda la nuova costituzione o la nuova legge anti manifestazioni in Egitto. Oppure potevano fare come stanno facendo in Giordania o Bahrein, dove è difficile sentir parlare delle rivolte e dei massacri che stanno avvenendo.

      No alla guerra.

    • Tutto questo giustifica la sopravvivenza al potere di un orrido buffone come Gheddafi ?

      K.

    • Sembra sempre piu’ ,purtroppo, che queste rivoluzioni siano state per.. soli uomini,
      da amnesty si vien a sapere che, il nuovo corso rivoluzionario egiziano (che tanto ha appassionato i nostri animi)ha arrestato 18 donne che manifestavano in piazza Tahrir perchè nei cambiamenti costituzionali recentemente approvati, non c’era niente che migliorasse la vergognosa condizione femminile.Portate in caserma sono state non solo picchiate ma è stato fatto loro il test della verginità ,per dimostrare che in un paese islamico, solo delle puttane potevano avere il loro ardire.I famosi scherzi da preti ,saranno il leitmotiv del futuro, la parte laica sarà esclusa se non perseguitata ,come del resto è successo in iran e dovunque i pretacci hanno preso il potere.Va bene che siamo come sveglie che suoniamo nel deserto e qualche filosofo potrebbe dire, visto anche la nostra possibilità di influire in questi avvenimenti,che non soniamo affatto.ma per favore arrendetevi all’evidenza, voi che ancora non avete ben messo a fuoco come stanno le cose!
      Alex

    • e se si partisse dalla valorizzazine che tra gli insorti vi sono anche donne come queste che manifestano per la propria libertà... o queste anche ai nostri occhi devono essere viste come incidente di percorso o funzionali al capitalismo occidentale? E’ paradigmatico come non si voglia fare i conti con una fetta - non importa se piccola o grande - di popolazione che lotta (può perdere, non importa) per la libertà. L’impressione è che alcuni pur di evidenziare come nulla cambia... finiscono già col rimpiangere i vecchi regimi (un sacco ancticapitalisti, si intende)... Non sarebbe meglio allora supportare, con tutti i mezzi che abbiamo, chi si batte contro il vecchio regime ed allo stesso tempo è represso dal "nuovo ordine" ? Ormai ci ripetiamo le cose da troppo tempo. Evidentemetne siccome non credo che facciamo a non capirci, vi sono visioni del mondo e letture dell’esistente troppo diverse. hai voglia a paralre di unità della sinistra o anche solo dei "comunisti"

    • se sono state per soli uomini è anche perché sotto quei regimi tanto spazio per far crescere una cultura diversa non si è dato... e forse è anche inevitabile che decenni e decenni di tal fatta abbiano mantenuto una mentalità dura a morire. UNA RAGIONE IN PIU’ PER AUSPICARE RIBELLIONI SU RIBELLIONI. Ed invece c’è chi ancora frena quasi a rimpiangere la barbarie che ha imperato per decenni. Il nuovo lo si costruisce con la lotta; anche con la lotta di quelle donne che coraggiosamente hanno alzato la testa! Ross

    • Scusate ma penso di non aver mai affermato di stare dalla parte di Gheddafi o di Mubarak o di Ben Ali o del re di Giordania o di Assad ecc.

      Dico solamente che le rivolte non sono tutte uguali, per differenti situazioni socio-economiche e culturali di partenza. Dico inoltre che l’Occidente ha marciato e guadagnato come poteva da queste situazioni e che parte dei ribelli non sono poi così "ribelli civili". Vorrei ricordare il caso ad esempio dell’Uck in Kossovo.

      Nel nostro piccolo vorrei ricordare le rivolte contro la discarica di Pianura, quando per protestare contro una ingiusta decisione l’area Felegre fu messa a ferro e fuoco. Come tutti già sapevano la rivolta fu creata, sovvenzionata e sostenuta da camorristi e alcuni politici. La ribellione era giusta ma quelle persone andavano spazzate via.

      Sosteniamo le rivolte in favore della libertà ma non mettiamoci i paraocchi.

    • Ma che c’entra Pianura ?

      Casomai il caso dell’UcK somiglia ad una specie di Lega Nord, però armata.

      E la "ribellione" dell’UcK era comunque contro un governo democraticamente eletto come quello di Milosevic.

      Gheddafi non è stato democraticamente eletto da nessuno, da 41 anni esercita una feroce dittatura personal/familiare, non è nemmeno lontanamente "socialista" come comunque si definiva Milosevic ed è socio d’affari di molto capitalismo occidentale.

      Oltre a fare, da qualche anno, il cacciatore di migranti al soldo del governo italiano di Berlusconi.

      Quindi, di cosa stiamo parlando ?

      Raf

    • Ma io infatti non ho proprio parlato di Gheddafi. Mi sembra che portiate sempre la il discorso per evitare di parlare delle questioni sollevate.

      Il mio riferimento era ai rivoltosi. Il caso dell’Uck è emblematico. Anche loro combattevano contro un "dittatore" (era eletto ma a qst punto anche Mubarak era eletto). Dopo si è scoperta la verità. Ripeto viva chi combatte per la libertà. In Libia però si tratta di una guerra tribale scaturita da una rottura degli equilibri interni al regime.

      Scusate ma poi anche Saddam era un sanguinario dittatore, oltretutto con posizioni naziste e molto vicine alla estrema destra europea. Eppure tutti noi, giustamente, ci siamo schierati contro la guerra, pur essendo contrari a Saddam, al suo partito e allo sterminio di Kurdi, Sciiti e comunisti.