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Lo scandaloso silenzio sulle banche

par Giuliano Garavini

Publie le venerdì 3 agosto 2012 par Giuliano Garavini - Open-Publishing
2 commenti

Ci sono delle cose dell’economia che non possono essere dette in pubblico. Una di queste, lo sottolineano acutamente sia Luciano Gallino che Paul Krugman in recenti contributi, è che la crisi che stiamo vivendo non è una crisi del debito pubblico ma una crisi della finanza. In altre parole: le banche e la loro regolazione sono il male, mentre il debito pubblico non è che una manifestazione di questo come di altri mali che andrebbero curati alla radice. (...)

L’ulteriore riprova dell’indicibile è il “decalogo” prodotto dal
Partito democratico in vista delle prossime elezioni politiche. Nella
carta in questione si cercheranno inutilmente i termini “banche” e
“finanza”. Il paradosso è che mentre si cercano soluzioni al delitto
della crisi economica, i maggiori indiziati - ricercati dai movimenti
sociali di tutto il mondo - non figurano neppure. Per inciso: anche
nella carta d’intenti di SEL, pur trovandosi un meritorio riferimento
alla necessità di rinegoziare i trattati europei e di introdurre una
tassa sulle transazioni finanziarie, le parole sulla riforma del
sistema bancario sono sostanzialmente assenti. Si è tranquillamente
passati dagli slogan contro Wall Street del 2008, dal “noi la crisi
non la paghiamo” dell’Onda, dal dito medio alzato di Cattelan davanti
alla Borsa di Milano, da Occupy Wall Street, al più assoluto silenzio
sulla finanza e sulle banche alle origini di questa crisi con il suo
portato di disoccupazione e smantellamento dello Stato sociale.

Eppure le responsabilità delle banche sono sotto gli occhi di tutti. I
miliardi di euro e di dollari spesi per i salvataggi bancari sono
proprio quelli che hanno fatto lievitare i debiti pubblici, reso
indispensabili i tagli allo Stato sociale e aperto la voragine della
disoccupazione. La quasi totalità degli “aiuti” a Spagna, Portogallo,
Grecia, Irlanda va direttamente o indirettamente a rifinanziare il
sistema bancario in crisi di quei Paesi e i creditori internazionali.
I padroni delle banche islandesi scappano in giro per il mondo
inseguiti dai magistrati del nuovo governo democratico come nazisti
braccati servizi segreti israeliani. Le speculazioni finanziarie sono
proprio quelle che stanno mettendo in crisi la moneta unica europea e
drenano risorse dall’economia reale. Eppure sia negli Stati Uniti che
in Europa la politica non prende di petto la questione delle banche,
la necessità di ribaltarne la “governance” come un pedalino, nonché di
introdurre limitazioni e regole alla libertà di movimento dei capitali.

La domanda a questo punto sorge spontanea. Perché? Perché le classi
dirigenti politiche, salvo poche e rare eccezioni come Syriza in
Grecia, non gridano ai quattro venti delle colpe del sistema bancario
e della necessità che questo subisca una buone dose di bastonate? La
risposta è purtroppo semplice: perché queste classi dirigenti sono
ricattate. Se un partito, specie di un paese periferico e sotto
attacco speculativo, si presentasse alle elezioni con un programma di
riforma della finanza e delle banche questa sarebbe una sicura ricetta
perché grandi banche ed investitori istituzionali (gente che ha nome e
cognome) si rifiutino di comprare titoli di Stato di quel Paese,
costringendo così il politico in questione ad una veloce retromarcia o
lo Stato a fronteggiare una disastrosa bancarotta.

Senza entrare troppo nel dettaglio su come ciò sia potuto succedere,
su come cioè la classe politica e il popolo tutto si siano ritrovati
privi della possibilità decidere in piena libertà democratica su
questioni cardinali, alcuni brevi cenni storici sono necessari.

Fino agli anni ’70 lavorare nel settore delle banche commerciali era
universalmente noto come “boring”: una noia mortale. Essenzialmente le
banche commerciali, la maggior parte delle quali in Europa erano
direttamente controllate dallo Stato, raccoglievano risparmio ed
erogavano crediti ai risparmiatori. La regola del buon banchiere
americano era detta del “3-6-3”: John, il direttore della filiale x,
raccoglieva risparmio al 3 per cento, prestava al 6 e alle 3 del
pomeriggio di nuovo a giocare a golf. Semplice, pulito, non
particolarmente eccitante e senza rischi per nessuno. D’altra parte,
le banche di investimento erano poche e relativamente piccole, a
conduzione familiare o “partnership” (Goldman Sachs, Lazard Frères,
Merrill Lynch) e prestavano soldi a clienti fidati e conosciuti, di
norma biondi con gli occhi azzurri e usciti dalle università americane
dall’Ivy League o provenienti dalle famiglie nobili europee. I
capitali tendenzialmente restavano all’interno dei confini nazionali.

Il punto di rottura avvenne negli anni Settanta quando, in seguito
alla crescita di quelli che si chiamavano allora gli
“euromercati” (dollari guadagnati dalle multinazionali americane
dell’Europa occidentale e che rimanevano in Europa) e poi dei
“petrodollari” (dollari arabi che hanno inondato i mercati a causa
dell’aumento esponenziale del prezzo del petrolio), le banche sia
americane che europee si ritrovarono a disposizione una crescente
massa di capitali e cominciarono ad esserci forti pressioni per
investire questi capitali in modo più redditizio e creativo che in
passato.

Arrivarono poi gli anni Ottanta delle “deregulation” finanziaria
promossa, come ci insegna Rawi Abdelal in “Capital Rules”, sia dalle
classi dirigenti europee che da quelle americane, anche come modo per
compensare con la maggiore produttività del settore finanziario la
crescente perdita di competitività del settore industriale
tradizionale, vittima della competizione di nuovi aggressivi
concorrenti nel mondo in via di sviluppo. Ecco così: la creazione di
prodotti finanziari sempre più complessi, la totale privatizzazione
del sistemi bancario europeo innescata dal Mercato unico con la
conseguente dipendenza dei Governi dal benvolere di entità finanziarie
private, la trasformazione delle banche di investimento in gigantesche
“corporation” assetate di profitti a breve e governate da formule
matematiche e algoritmi piuttosto che dalla conoscenza diretta dei
propri clienti, l’ingordigia delle banche commerciali che si lanciano
in acquisizioni ed in operazioni finanziarie spericolate e, alla fine
di tutto questo processo, la creazione di una enorme massa di
liquidità finanziaria che, anche escludendo i prodotti finanziari
derivati, nel 2009 era pari a oltre 4 volta la ricchezza “reale”
mondiale prodotta.

Rispetto a questo processo epocale di finanziarizzazione dell’economia
e di governance delle banche talmente opaca da non darci modo di saper
niente rispetto alle loro effettive condizioni patrimoniali la
politica non dice assolutamente nulla. Nulla sulla necessità che le
banche commerciali tornino semplicemente a gestire depositi e ad
assistere i risparmiatori, nulla sull’abolizione dei bonus a breve
termine per i manager finanziari, nulla sul modo in cui la finanza è
tornata a gestire direttamente grandi e piccole aziende, fino a quegli
enti locali che hanno dato retta a consulenti finanziari senza
scrupoli. Nulla di nulla perché in caso contrario questa enorme massa
di liquidità minaccia di spostarsi da un paese all’altro, da una paese
meno virtuoso (che difende i suoi cittadini fornendo servizi pubblici)
ad un altro più virtuoso (che taglia servizi sociali e vende i suoi
gioielli di famiglia).

Staremo a vedere se nel futuro della campagna elettorale italiana
l’indicibile diventerà dicibile.

3 Agosto 2012

Giuliano Garavini

http://www.quipunet.it/rete28aprile/index.php?option=com_content&view=article&id=3095:382012-lo-scandaloso-silenzio-sulle-banche&catid=10:primo-piano&Itemid=29

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  • le banche sono uguali in tutto il mondo!!!Se certi paesi sono attaccati dalla speculazione ed altri no non è per il loro debito perchè alcuni paesi l’hanno anche superiore( si pensi al Giappone)ma perchè non danno fiducia sulla sua restituzione. è del tutto evidente che se presto 100 euro al mio amico d’infanzia che ha un buon lavoro e che ha sempre onorato la sua parola senza darmi mai una " buca" io mi sento sicuro e non glielo chiedo, quando me lo vorrà restituire lo farà. Se invece io dessi la stesa somma ad un giocatore d’azzardo o un senzatetto gli romperei le palle tutti i giorni dopo la scadenza perchè me lo restituisca. L’Italia, la Grecia, la Spagna non hanno dato alcun segno di volersi migliorare , di voler cambiare una classe politica parassita, di voler combattere seriamente la corruzione, di fare riforme serie e non di facciata e dotarsi di un impianto produttivo degno di questo nome al contrario di Germania ed altri paesi dll’area euro che hanno approfittato degli anni di vacche grasse per riformarsi e riformare un apparato produttivo vecchio con investimenti nella ricerca . Oggi la Germania ha più lavoratori nell’industria dei pannelli solari che in quella automobilistica( che pure sta andando a gonfie vele) mentre questa poteva essere uno sbocco naturale in Italia per la crescente disoccupazione ma, per colpa di miopia politica ed una politica di incentivi confusa ciò non è avvenuto e questo è forse l’esempio più eclatante delle riforme mancate.Per concludere quando hai un debito la parola d’ordine è FIDUCIA e nell’Italia non ce l’ha nessuno!!!!michele

    • Anche l’analisi del commento ignora il ruolo delle banche.

      A partire da quelle americane nell’esplodere della crisi nel 2008.

      Fino al dato attuale per cui ogni misura messa in piedi dalla Ue, anche se mascherata da "salva stati" è in realtà "salva banche".

      E’ il problema classico della smarritissima "sinistra" italiana, anche sedicente alternativa.

      Il considerare classe dirigente soprattutto "i politici" e non appunto considerare i poteri forti economico/finanziari di cui, marxisticamente parlando e senza nessuna indulgenza ai "complottismi" populistico/destroidi, i politici sono sempre più i semplici maggiordomi.

      Quanto alla "Germania virtuosa" è semplicemente un mito, certo "virtuosa" lo è più dell’ Italia, ma si tratta di un aspetto sovrastrutturale e dovuto anche al fatto che dalla situazione di merda del resto dell’ Europa la Germania ci guadagna ogni giorno, come uno strozzino dall’interesse applicato ai suoi debitori.

      Ma la crisi è di sistema, è crisi se non del capitalismo tout court quanto meno del modello neoliberista affermatosi con Reagan e la Tatcher e l’impresentabilità delle "caste politicanti" ne è in parte un effetto e non certo la causa.