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Lo sfascio

Publie le giovedì 1 aprile 2004 par Open-Publishing

Non è stato «un temporale estivo», checché ne dica Silvio Berlusconi. Non è stato neppure uno dei tanti giochi goliardici a cui la Lega ci ha abituato nel corso del tempo, tra risibili minacce di imbracciare il mitra e imbarazzanti festini sulle rive del Po. L’occupazione della camera da parte delle camicie verdi, con l’onorevole Carolina Lussana a far da vivandiera e il vicepresidente del senato Calderoli nei panni del capomanipolo, è uno di quegli eventi fulminanti che riassumono nel giro di poche ore un’intera fase politica, forse storica. Le istituzioni della repubblica erano già state travolte dalla rissa permanente che impegna la maggioranza da un anno, e ancor più dal sordido mercanteggiamento col quale un premier disperato cerca di ricomprare il favore dei soci. Il bivacco di ieri ha solo messo plasticamente in scena una realtà che è data da mesi.

Pur di tenere buoni gli imprevedibili padani, mezzo centrodestra ha ingoiato una riforma dello stato che teme e detesta, quella destinata a dividere il paese in aree più o meno abbienti. Per ripagare il favore, l’altra metà dei governanti ha chiuso gli occhi su una revisione della Carta che assegna al premier poteri da caudillo. Fatta a brandelli, la Costituzione del `48 è stata usata come carta moneta per compensare le bande assoldate, divise e tra loro incompatibili.

La trattativa ha stracciato la Carta sotto gli occhi distratti del suo guardiano, senza neppure lasciare soddisfatti gli avidi contraenti. Il braccio di ferro permanente tra An e Lega, di cui la canea di Montecitorio è solo un sintomo particolarmente fragoroso, non si è trasferito ieri nel cuore delle istituzioni. Lo sta disintegrando da mesi.

Dopo la tempesta non tornerà la quiete, checché ne dica Silvio Berlusconi. Il terrore di essere battuti nelle urne, degenerato ormai in panico, è destinato a trasformare le tempeste in cicloni e uragani. Già spinge a scelte sempre più estreme un governo già oltremisura estremista. Già costringe i sedicenti alleati a sbranarsi senza ritegno, nonostante l’imminente prova elettorale.

La stessa logica disperata spinge Silvio Berlusconi a tentare l’azzardo assurdo del taglio miracoloso e istantaneo delle tasse, Gianfranco Fini a rialzare la posta minacciando (per una volta sul serio) la crisi di governo, i colonnelli leghisti a rispolverare il linguaggio e i metodi dei tempi andati. «Mai molé», come recitava lo striscione esposto ieri a Montecitorio. Boia chi molla. E’ la logica di chi si trova con le spalle al muro ed è disposto a ogni scempio. E’ la logica del tutti contro tutti, pur di salvarsi la pelle.

E’ possibile e probabile che gli inquilini della Casa delle libertà finiscano per pagare il prezzo della loro politica nelle urne. E’ certissimo che un prezzo anche più alto sarà pagato dall’intero paese, comunque finiscano le prossime elezioni europee e le seguenti politiche. La Costituzione in macerie non sarà rimessa in piedi da un eventuale futuro governo di centrosinistra. Le istituzioni repubblicane trasformate in chiassoso gazebo dalle squadre di Cé e Calderoli non recupereranno per intero la loro credibilità se Romano Prodi occuperà le stanze in cui alloggia oggi il cavalier Berlusconi. Riprendersi dalla mazzata economica e finanziaria che un governo a caccia di consensi si accinge a sferrare costerà lacrime e sangue e a moltissimi italiani, inclusi parecchi elettori di centrodestra.

Il danno già fatto, emerso in piena luce ieri alla camera, rischia di rivelarsi poca cosa a paragone di quello che un centrodestra braccato potrebbe fare nei prossimi mesi e anni, di qui alle elezioni politiche. Rendere quella fase il più breve possibile, evitare che si prolunghi sino al 2006, è il solo imperativo che debba preoccupare oggi l’opposizione. La sola lezione utile che si possa trarre dalla vicenda di ieri.

Il Manifesto