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MAGISTRATI IN RIVOLTA ,TOGHE IN LUTTO

Publie le sabato 15 gennaio 2005 par Open-Publishing

Dazibao


Magistrati in rivolta da Palermo a Milano, in toga «per lutto» a Roma

di Red

L’epicentro della protesta dei magistrati all’inaugurazione dell’anno giudiziario è Palermo. Protesta contro la riforma e il ministro Castelli che a Palermo trova ad accoglierlo le autorità militari e i politici del centrodestra. Ma non i magistrati. Loro si ritrovano in piazza, la piazza della Memoria, che alle nove di un freddo e luminoso mattino è già gremita di giudici, avvocati, personale giudiziario ed esponenti politici e della società civile. La manifestazione è organizzata dalla giunta distrettuale della Anm, di Palermo.

Ad accogliere il guardasigilli nell’aula magna del palazzo di giustizia oltre al discusso presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro e al presidente della Provincia di Palermo Francesco Musetto, restano gli ermellini della procura Generale e il procuratore di Palermo Pietro Grasso.

In piazza intanto un grosso applauso accoglie l’arrivo del presidente del tribunale di Palermo Giovanni Puglisi, che ha espresso solidarietà ai colleghi e si è poi allontanato per ascoltare la relazione di apertura dell’ anno giudiziario del procuratore generale Salvatore Celesti. Ci sono Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte, e Sergio Lari; il presidente della giunta distrettuale dell’Anm Massimo Russo, alcuni sostituti della direzione distrettuale antimafia. Il deputato Ds Peppe Lumia, il senatore Ds Costantino Garraffa, l’eurodeputato della Margherita Luigi Cocilovo, l’ex assessore della giunta Orlando, Alberto Mangano, l’eurodeputato di Rifondazione Comunista Giusto Catania, il procuratore di Sciacca Dino Petralia l’editrice Valeria Ajovalasit.

A Roma i magistrati per protesta indossano le toghe nere, stavolta «in segno di lutto» e mostrano in mano il Titolo IV della Costituzione contenente le disposizioni che riguardano la magistratura e il libro bianco dell’Anm sui disservizi sulla giustizia. Giudici e pm del distretto di Roma e Lazio stanno prendendo posto nella nuova aula magna della Corte d’Appello indossando la toga nera. A spiegarne il motivo è il presidente del tribunale Luigi Scotti: «La toga nera rappresenta un segno di lutto. Tutti noi siamo qui presenti alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario da un lato per rappresentare il nostro sforzo quotidiano e dall’altro per manifestare la profonda tristezza per come versa la giustizia».

Da un anno all’altro «non è cambiato nulla: la giustizia naviga ancora in violazione dell’art.111 della Costituzione (quello sul giusto processo)». È quanto afferma Salvatore Vecchione, procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma nella relazione sull’amministrazione della giustizia per l’apertura dell’Anno giudiziario.

«La produzione legislativa di quest’anno - spiega Secchione - non presenta nessuna connessione con il principio della ragionevole durata di processi. Rispetto a questa necessità essenziale tutta la più recente produzione è inerte: riguarda faccende diverse, è divergente dal dovere di intervento su un sistema di normazione processuale incoerente e incompatibile con una aspettativa di contrasto efficace della criminalità».

«Non posso fare a meno di offrire un giudizio critico globalmente negativo sul funzionamento della giustizia nel Paese e nel distretto», dice il procuratore della Repubblica di Milano Mario Blandini che nella sua relazione inaugurale dell’anno giudiziario a Milano sottolinea che «ben poco è stato fatto in ordine al problema di adeguamento della legislazione nazionale agli accordi di cooperazione comunitaria». Blandini sottolinea che «l’Italia è l’unico Paese dell’Ue che non ha ancora recepito le norme sul mandato d’arresto europeo, laddove, soprattutto in relazione al terrorismo di matrice islamica nonchè al riciclaggio, che in genere si manifestano in modo transnazionale, la ’ostruzione di uno spazio giuridico europeo e delle relative istituzioni, nonchè il rafforzamento di ogni forma di cooperazione tra coordinamenti, costituiscono, ormai, strumenti di base per migliorare la qualità dell’efficacia dell’azione di contrasto, a livello internazionale, di tali forme di reato».

Servizio giudiziario «inefficiente e incapace di produrre equaglianza», processi dai tempi «vergognosamente lunghi» e dai «costi elevatissimi». E ancora modello penale «mite» solo «per i rami alti della società» a cui si accompagnano, in tema di sicurezza, spesso «solo proclami elettorali o campagne mediatiche di vuota rassicurazione». Sono queste alcune delle ragioni che, secondo il procuratore generale di Torino, Giancarlo Caselli, determinano nei cittadini la sfiducia verso la giustizia che anzichè essere «un obiettivo possibile» diventa così «una grande illusione se non un inganno». Una sfiducia, che per il procuratore Caselli «preoccupa e inquieta, più degli insulti di alcuni vertici istituzionali», perchè se «l’impopolarità nelle stanze del potere, per una giurisdizione indipendente, è fisiologica e talora necessaria per chi voglia fare il suo dovere senza sconti, tenendo la schiena dritta, una società che perde la fiducia nella giustizia e nei suoi magistrati è una società a rischio. Inevitabilmente esposta al pericolo di derive patologiche, illiberali e disgreganti».

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