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Movimento dei Ricercatori Precari di Parigi

Publie le domenica 25 aprile 2004 par Open-Publishing

Nell’ambiente accademico della ricerca, siamo identificati come
"elettroni impazziti della ricerca", "giovani ricercatori" (anche se
oltrepassiamo la trentina, avviciniamo oppure abbiamo passato la
quarantina), e più comunemente "ricercatori senza statuto" o non
statutari, o "in attesa di titolarizzazione". Tutti questi aggettivi per
definire una specie selvatica di ricercatori in via di espansione,
sistematicamente situata ai margini della ricerca.

Siamo dei ricercatori che - oggi - tentano di sopravvivere dentro un
sistema che produce la precarietà e che ha in riserva un vivaio di
risorse umane e di forze vive della ricerca scientificamente
riconosciute ma non titolarizzate. Forze vive, attive e creative, noi
esistiamo e rivendichiamo il diritto di cittadinanza nella ricerca.

La precarietà non è una novità. Negli anni ’70 e ’80, un imponente
movimento di solidarietà ha permesso di integrare in blocco i
ricercatori non statutari che lavoravano nei laboratori. Ma queste
pratiche non hanno apportato alcuna modifica o trasformazione del
sistema di produzione e riproduzione della precarietà che, senza
interventi, prolifera e si rafforza.

La diversità dei percorsi crea allo stesso tempo una diversità di
aspettative che convergono tutte verso un’esigenza commune: ricercatori
siamo e, in quanto tali, vogliamo essere riconosciuti. Giovani o meno
giovani, debuttanti o sperimentati, di cosa è fatto il nostro quotidiano?
Insegnare all’università (a volte con un presta-nome, a volte a metà o
addirittura un quarto di tempo) senza indennità di disoccupazione, ne’
alcuna copertura sociale e sanitaria. Ricordiamo che, insegnare
all’università, con un posto vacante, ci impone l’obbligo di avere un
impiego principale nell’insegnamento (1000 ore), di conseguenza,
l’università offre lavoro solo a chi il lavoro già ce l’ha (almeno
ufficialmente). Accettare i rimborsi spese per gli incarichi o missioni
di ricerca al posto di un salario significa privarsi della protezione
sociale, del diritto alla disoccupazione e alla pensione e, allo stesso
tempo, non veniamo riconosciuti come lavoratori con dei diritti.
Destreggiarsi tra contratti di ricerca a renumerazione variabile,
iscrizioni nelle liste di disoccupazione o come semi-occupati con
reddito minimo d’inserzione o vivere di aiuti sociali... sommare al
tempo pieno della ricerca, a titolo benevolo, un lavoro che ci permetta
di sopravvivere.

Oggi, le misure prese dai successivi governi, di destra come di
sinistra, per pianificare la ricerca producono un’aberrazione
inaccettabile in nome di una supposta "eccellenza" di cui non si
conoscono le peculiarità. Mentre il numero di posti diminuisce,
assistiamo al costante abbassamento dei limiti di età per accedere ai
concorsi. Allora, come conciliare - specialmente nel campo delle scienze
umanistiche - il necessario cumulo di esperienza e competenza e
l’inquietante norma "giovanilista"? D’altra parte, le condizioni poste
rispetto ai limiti di età sono il principale strumento di selezione
sociale poiché vengono scartati i ricercatori che hanno dovuto o devono
lavorare per finanziare i propri studi senza poter ottenere un aiuto con
le borse di studio universitarie, che sono sempre meno e sempre più ridotte.
Ottenuto un diploma di laurea o un dottorato, dobbiamo fare i conti con
le restrizioni delle condizioni di accesso (per l’età) alle borse per la
ricerca, sia per quanto riguarda il numero di borse disponibili, sia
rispetto al numero di posti disponibili per gli eventuali candidati. Il
risultato è un ulteriore dilatarsi dei tempi di attesa, periodo durante
il quale il ricercatore diplomato, che ha intenzione di fare della
ricerca, è preso in ostaggio: implicarsi a tempo pieno nell’attività
come ricercatore (ricerca, pubblicazioni, colloqui, eccetera) senza
peraltro essere renumerato ne’ beneficiare delle indennità, e allo
stesso tempo far fronte alle esigenze della vita quotidiana. La maggior
parte di noi è diplomata in settori specifici ma si può dire che siamo
diventati degli esperti nel gestire una " doppia vita". Alcuni di noi
riescono, di volta in volta, a vivere decentemente grazie ai contratti
delle borse per la ricerca, in generale, ottenuti all’estero. In questo
caso, ci si ritrova fianco a fianco, candidati ricercatori titolarizzati
e non titolarizzati, a rispondere alle offerte e questo implica, da
parte nostra, una riduzione delle richieste di finanziamento. Ecco il
singolare e preoccupante profilo professionale del ricercatore precario.

Oggi, questa logica che noi denunciamo sta contaminando la cittadella
della ricerca scientifica pubblica e invade il settore cosiddetto delle
scienze fondamentali. Siamo consapevoli che questo problema non si
risolverà certo con l’ottenere i 550 posti richiesti, ne’ con
l’investimento delle somme preventivamente destinate alla ricerca ma
solo parzialmente versate. Non si risolverà il problema facendo finta di
non vederci oppure preparando per noi uno statuto di non -statutario
oppure proponendoci degli impieghi periferici. Invece è indispensabile
avere uno sguardo panoramico sul paesaggio della ricerca, e prendere
coscienza che la precarizzazione della ricerca non è una minacciosa
ipotesi ma una realtà di fatto.

Quali sono le prospettive per un ricercatore?

La ricerca deve adattarsi alle restrizioni di bilancio oppure deve
scegliere uno sviluppo "sostenibile" dell’insieme delle sue forze creative?

Sia che si scelga la ricerca pubblica o quella privata, noi chiediamo:

 un inventario della ricerca precaria in Francia

 l’integrazione negli organismi della ricerca per tutti i ricercatori
non-statutari che intendono accedere a tali strutture

Ed esigiamo: che la nostra identità professionale venga riconosciuta
attraverso la creazione di uno statuto unificato di ricercatore che
assicuri la garanzia perenne, per tutti, sulla continuità dei diritti
sociali e di reddito nonché di libero accesso agli strumenti di lavoro.
Un diritto al lavoro si, ma solo se si tratta di un lavoro nella ricerca.

Movimento dei Ricercatori Precari
di Parigi, 23 aprile 2004