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Isoldati italiani a Nassiriya hanno sparato su ordine del comando angloamericano per sgomberare un
ponte occupato da milizie irachene, hanno fatto almeno 15 morti e a loro volta hanno riportato 12
feriti. Il leader sciita Moqtada al Sadr sostiene che tutte le truppe di occupazione devono
lasciare i centri abitati perché è in pericolo la vita della gente comune. E’ una domanda persino
ragionevole. Non sappiamo come andrà a finire. Intanto è caduta la favola di una presenza italiana
pacifica e pacificante.
In un paese occupato qualsiasi contingente agli ordini della coalizione
occupante è in trincea, può essere attaccato e aver ordine di attaccare. I nostri governanti sarebbero
più onesti se lo dicessero, invece che sfilare davanti al video per mandare con aria compunta ai
nostri ragazzi una solidarietà che non gli servirà molto.
O essi sono là, come ha detto brutalmente
il premier, per aggredire ed essere aggrediti, e ben pagati per questo, o se mossi da più nobili
intenti si sono trovati nella tenaglia fra l’esercito degli Stati Uniti e un paese che non ne vuole
sapere. Né i sunniti già fedeli a Saddam né gli sciiti che, si diceva, sarebbero stati felici di
essere liberati; si gonfiano le milizie di uomini armati, come se in tutto l’Iraq covassero ed
esplodessero vulcani di collera. Ieri l’Italia ha avuto i suoi feriti, gli Stati Uniti il loro
quotidiano stillicidio di morti.
La guerra di Bush, che pareva rapidamente vinta, si è trasformata in una guerriglia dalla quale
non sa più come cavare i piedi. Corre di bocca in bocca una parola: Somalia. Anche questa impresa di
un Occidente militarmente invincibile ma ottuso e disinformato dovrà subire lo stesso destino,
ritirarsi lasciando ferite da tutte le parti, e portandone sul suo corpo? Difficile dirlo: per ora
Bush e i suoi fedeli Berlusconi e Fini clamano che non se ne andranno mai. Ma Bush ha manifestamente
voglia di farlo, passando la patata bollente all’Onu, che altrettanto manifestamente non ha voglia
di prenderla.
E difficilmente lo farà senza avere delle garanzie, prima di tutto l’allontanamento
di americani e inglesi dal comando - che sarebbe per loro uno scacco forte - e l’individuazione
degli interlocutori con i quali trattare, e non sono certo il governo fantoccio cui Bremer dice che
passerà i poteri il 30 giugno. Gli iracheni non hanno motivo di riconoscere l’Onu come parte
terza, e lo hanno provato attaccandone la delegazione a Baghdad.
La verità è che gli Usa non hanno fatto che accumulare sbagli con l’Iraq, quando lo hanno
lusingato e quando hanno creduto di metterlo facilmente a terra. Quel che di peggio aveva preveduto
chiunque avesse un poco di sale in zucca è avvenuto e superato. Non ci poteva essere manovra più rozza.
Il terrorismo che doveva esserne l’obiettivo è più forte di quando attaccava le due torri, nella
strage di Madrid non ha avuto neppur bisogno di tecniche sofisticate.
Perfino in campo repubblicano
crescono le critiche a George W. Bush, resiste impavido il nostro governo, il solo ormai con Blair
che non riesca a ragionare, a tirare la più semplice conclusione da causa ad effetto;
rispettosamente in coda alla Casa Bianca corre ad alimentare l’incendio dolendosi poi delle fiamme. Adesso non
è il momento di lasciare l’Iraq? Non era mai il momento di andarvi. Ritirare il contingente
italiano sarebbe solo prova di buon senso. E lavorare perché l’Europa si attivi per la fine
dell’occupazione prima di essere travolta anch’essa sarebbe una prova di intelligenza. Ma questo è chiedere
troppo.