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Neonato ucciso ad Abu Ghreb

Publie le lunedì 12 luglio 2004 par Open-Publishing

Alarabiya.net , sabato, 10 luglio 2004 - Un cittadino saudita rinchiuso nel carcere di Abu Ghreb, intervistato da un giornale del suo Paese, afferma di aver visto con i propri occhi l’uccisione di un neonato di fronte a sua madre e lo stupro di una giovane ventenne irachena. L’intervista è stata poi ripresa dal sito dell’emittente satellitare Alarabiya.

Un cittadino saudita rinchiuso nel carcere di Abu Ghreb afferma di aver visto con i propri occhi l’uccisione di un neonato di fronte a sua madre e lo stupro di una giovane ventenne irachena. La ragazza ha cominciato ad urlare e a sbattere la sua testa contro i muri della cella fin quando non ha perso i sensi in seguito ad una forte perdita di sangue.

Haydar al-Muzri’, un saudita che ha passato 11 mesi in quella prigione, ha affermato che fu proprio la sua cittadinanza la causa del suo arresto a Kerbela, in Iraq, nonostante fosse entrato legalmente nel paese attraverso il confine siriano. Haydar ha inoltre affermato di aver visto almeno una trentina di detenuti sauditi nel carcere di Abu Ghreb.

(...) Interrogato dai militari americani, Haydar ha sottolineato che "un terrorista non entra in un paese sfruttando i canali legali. Io sono entrato in questo territorio legalmente, con un passaporto saudita. Il terrorista porta inoltre con sé armi e esplosivi. Io portavo solo una valigia piena di vestiti". Dopo il primo interrogatorio, passò sette mesi in prigione prima di essere nuovamente interrogato con gli stessi metodi.

Haydar afferma inoltre che "la tortura psicologica in inverno fu la più dura, quando ci mettevano in una vasca d’acqua fredda e poi ci lasciavano con quasi niente addosso. Ci picchiavano spesso, alla faccia dei diritti dell’uomo e delle sue libertà tanto decantate da loro" (...). Il cibo, invece, dice Haydar, "era dei peggiori; non lo davano nemmeno ai cani che avevano. Nel mese di Ramadan rimanemmo tutti avvelenati dal cibo".

Al-Muzri’ ha affermato inoltre di aver visto i secondini americani buttare un neonato in un corridoio, strappandolo dalle mani di sua madre perché dava loro fastidio. Il neonato morì sul colpo. La madre invece ebbe uno shock e perse i sensi. L’ex-detenuto ha inoltre sottolineato che fra i prigionieri sauditi c’erano medici e una squadra di volontari arrivati in Iraq per dar sollievo alla popolazione irachena dopo la caduta del regime. I loro documenti non avevano nessun valore e non permisero il loro rilascio. Furono interrogati come sostenitori della resistenza irachena.

Il momento della speranza arrivò con lo scandalo delle torture svelato all’opinione pubblica mondiale. Haydar allora venne rilasciato assieme al gruppo 770 di cui faceva parte. Gli dettero una lettera che diceva che era un detenuto e che non poteva rimanere in Iraq per più di 72 ore, altrimenti sarebbe stato arrestato di nuovo. Le autorità kuwaitiane non gli permisero di entrare in Kuwait poiché non aveva con sé nient’altro che il foglio della detenzione. Fu l’ambasciata saudita a Damasco, dice Haydar, a risolvere tutti gli ostacoli e a permettergli di ritornare in patria in aereo e di incontrare la propria famiglia. Haydar ha inoltre affermato che non tornerà più in Iraq fin quando la situazione rimarrà così com’è ora.

Tradotto da Sherif El Sebaie

Tratto da Alarabiya.net, 10.07.2004

Ultimo aggiornamento ( domenica, 11 luglio 2004 )

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