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Per salvare gli ostaggi, l’Italia fermi il bagno di sangue a Falluja

Publie le lunedì 26 aprile 2004 par Open-Publishing

INTERVISTA

Il portavoce del Consiglio degli Ulema, Al Dari: «Berlusconi sa della nostra disponibilità. Ma
l’offensiva Usa fa esplodere l’Iraq»

«La situazione a Falluja si fa di ora in ora più drammatica, il cerchio si stringe, il cibo
scarseggia, gli aiuti sono insufficienti e gli americani continuano ad attaccare la città e i paesi
vicini facendo decine di morti. Le trattative sono bloccate. Siamo pronti al peggio. Se ci sarà
l’attacco, come tutto lascia prevedere, sarà un massacro che incendierà tutto il paese. E’ in queste ore
che i governi presenti in Iraq con le loro truppe, come l’Italia, devono decidere se stare dalla
parte della pace, ritirandosi e facendo finire il bagno di sangue e il caos che hanno provocato, o
se scegliere la guerra assumendosene tutte le conseguenze. Berlusconi si vanta di essere amico di
Bush. Se è vero alzi il telefono, fermi il massacro e ritiri le truppe dall’Iraq prima che il
fuoco acceso dagli Usa a Falluja bruci anche Nassiriya». Mutanna al Dari, portavoce del Consiglio
degli ulema sunniti e figlio del suo presidente lo sheik Haref al Dari ( a sua volta figlio del capo
della rivolta anti-britannica del 1920), l’uomo con il quale l’ambasciata italiana a Baghdad e la
Croce rossa italiana hanno coordinato l’invio di due carichi di aiuti alla città assediata e,
sembra, al quale si sono rivolti anche per un sostegno diretto nella vicenda degli ostaggi italiani, ha
il tono perentorio di chi si rende conto che il baratro è sempre più vicino ma che nessuno sembra
accorgersene.

Ci riceve in una sala della grande moschea di Umm al Qora (già di «Umm el Marek», la madre di
tutte le battaglie) di marmo bianco con le cupole di maioliche blu e i minareti fatti a forma di Scud
e di Kalashnikov, costruita da Saddam Hussein sulla strada dell’aeroporto. Qui ha sede il
Consiglio degli Ulema, formato nel gennaio del 2004 per dare rappresentanza politico-religiosa alla
comunità sunnita emarginata dagli occupanti ed espressione politica di una parte della resistenza
all’occupazione. L’autorità morale del Consiglio è riconosciuta da tutti, anche perché al suo interno
sono presenti sia i settori più moderati sia quelli più radicali dell’islamismo iracheno. Nel
consiglio - il quale ha deciso di accogliere anche gli ex membri del Baath purché non si siano macchiati
di alcun crimine - sono rappresentate le tre correnti più forti dell’Islam sunnita in Iraq: i
fratelli musulmani, i puritani wahabiti del movimento salafita e le correnti mistiche sufi. Metà dei
seggi sono riservati agli arabi e l’altra metà ai kurdi e ai turcomanni. La moschea è il primo
punto di arrivo delle famiglie di sfollati da Falluja che vengono qui a prendere generi di conforto,
medicinali e tende, per poi essere smistati nei centri di accoglienza presso le moschee o le case
private. «Ma ci sono ancora speranze di un negoziato per evitare un nuovo massacro a Falluja con
quel che può significare per tutto l’Iraq?» chiediamo allo sheik Mutanna al Dari. «Noi come
Consiglio degli ulema ci stiamo provando ma sia il comportamento sul campo, dove ogni giorno attaccano la
nostra gente con elicotteri e carri armati, sia le dichiarazioni dei comandanti Usa non lasciano
spazi alla speranza. Il problema della consegna o meno delle armi pesanti sta nel fatto che la
popolazione di Falluja è disposta a consegnarle ma solo se gli Usa si impegnano publicamente e con
garanzie a non attaccare più la città e a ritirarsi al di fuori del centro abitato lasciandone il
controllo alle locali forze di sicurezza. Ma non mi sembra che i comandi Usa siano pronti ad
accettare queste condizioni».

E’ vero che ieri sono circolati nelle moschee alcuni volantini nei quali si criticava apertamente
la vostra azione a vantaggio degli ostaggi occidentali, in molte occasioni riuscita, con l’accusa
di preoccuparvi più di questi occidentali che dei 300.000 ostaggi iracheni a Falluja?

Si tratta di accuse ingiuste, dal momento che il Consiglio è compatto nel denunciare l’occupazione
e nel sostenere la resistenza alla presenza delle truppe straniere, non invitate, sul nostro
territorio. Inoltre gli aiuti alla popolazione locale, il tentativo di far cessare le ostilità, anche
se continuamente violato dagli Usa, hanno permesso a tanti di mettersi in salvo, di curare alcuni
feriti, di seppellire i morti. Molto utili anche gli aiuti inviati dall’Italia e l’aiuto
dell’ospedale italiano a Baghdad. D’altra parte è anche vero che il cessate il fuoco, dal punto di vista
militare ha avvantaggiato gli americani che hanno potuto far affluire nuove truppe, mezzi corazzati,
che stanno distruggendo in questo momento i villaggi attorno a Falluja per isolarla completamente
e che hanno bombardato alcuni quartieri dove hanno cercato di avanzare.

Quale può essere il modo per porre fine al bagno di sangue in Iraq?

Come ho detto, l’unica possibilità è di ridare l’Iraq agli iracheni e ritirare le truppe di
occupazione. Più queste staranno in Iraq più la pace si allontanerà, prima se ne vanno e prima arriverà.
Dovete decidere in fretta. Il popolo italiano e il movimento della pace devono esercitare
pressioni perché si ponga fine all’assedio di Falluja e si ritirino le truppe. Da questo punto di vista mi
ha colpito che le manifestazioni contro la guerra in Italia quest’ anno fossero meno affollate di
quelle alla vigilia della guerra. Le vittime di Falluja e quelle delle altre città irachene non
sono forse vittime di una guerra che i vostri governi alimentano? Per quanto riguarda le proposte
concrete, nell’incontro che abbiamo avuto con l’inviato di Kofi Annan, Brahimi, gli abbiamo posto
tre punti: fine dell’occupazione; una reale gestione Onu della transizione e non, come vorrebbero
gli Usa, un casco blu per i marines; un governo iracheno di fiducia nazionale; una eventuale
presenza sotto comando Onu di forze di paesi che non hanno fatto la guerra e non hanno occupato l’Iraq.

Secondo gli americani a Falluja ci sarebbero tra i combattenti molti ex militanti del partito
Baath...

Non sta a noi decidere chi partecipa alla resistenza e chi no. Ci sono molti partiti a Falluja,
molte tendenze politiche, ma sono gli abitanti della città, senza alcuna differenza, che stanno
combattendo per difendere le proprie case, la propria gente, le loro idee, e stanno combattendo per
tutto l’Iraq.

In questo quadro come sta evolvendo in questo momento la vicenda degli ostaggi italiani?

Evidentemente non c’è una relazione diretta ma questi eventi tragici in Falluja non possono che
influenzarla negativamente. Per quanto mi riguarda non ho notizie su di loro e ritengo che se ne sia
parlato anche troppo e a sproposito. Abbiamo cercato di fare il possibile ma ora per noi il caso è
chiuso. Non intendiamo parlarne più. Tutta questa pubblicità ci ha danneggiato molto e ha reso
tutto più difficile. Berlusconi sa come stanno le cose, chiedetelo a lui. D’ora in poi se ne occuperà
l’ambasciatore italiano, gli americani e chi mai avrà questi ostaggi. In ogni caso non ha senso
isolare questa questione dal conflitto più in generale che è in corso in Iraq, e occorrerebbe quindi
agire soprattutto a livello politico. Ma non mi sembra che ciò stia avvenendo. Per quanto mi
riguarda d’ora in poi parlerò solo di Falluja, di Sadr City, di Najaf, dell’occupazione e dell’eroica
resistenza del nostro popolo.

il manifesto