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Richiesta di rinvio a giudizio per dirigenti, funzionari e agenti di
polizia accusati di violenze e abusi
«Processate Mortola e Perugini»
«Al G8 falsificarono i verbali e fecero arresti illegali»
Genova. Le accuse, anche questa
volta, sono durissime. Arresti illegali,
violenze e abusi. Ancora, verbali “aggiustati”
per giustificare le manette.
E poi calci e manganellate in faccia
a un ragazzino di quindici anni. Si
conclude l’ennesima tranche d’inchiesta
sui fatti del G8.
Dopo le immagini degli scontri e
delle scorribande dei manifestanti
violenti, proiettate nell’aula bunker
l’altro giorno nel processo ai presunti
black bloc italiani accusati di devastazione
e saccheggio, nel mirino della
procura della Repubblica torna adesso
la polizia.
Il pm Francesco Cardona Albini ha
depositato ieri mattina la richiesta di
rinvio a giudizio nei confronti di sette
dirigenti, funzionari e agenti. L’episodio,
stavolta, è circoscritto. Avviene
il 21 luglio 2001, il giorno successivo
alla tragedia di piazza
Alimonda e alla morte di Carlo Giuliani.
Il clima, in città, è tesissimo. Un
gruppo di giovani scavalca, o comunque
aggira, i container posti in via
Carlo Barabino a difesa della questura.
Su quanto accade da quel momento
in poi le versioni divergono.
In maniera radicale.
La polizia ha sempre sostenuto che
i manifestanti avanzavano con il volto
coperto e lanciando sassi contro
le forze dell’ordine. La procura ritiene
diversamente, come scrive il pm.
Gli agenti li affrontarono con rudezza
«senza che vi fosse stato alcun alcun
atto di violenza o minaccia dai manifestanti,
che si trovavano seduti al
centro della strada».
I nomi. Nella richiesta del sostituto
Albini Cardona compaiono quelli
del dirigente e del numero due, all’epoca,
della Digos. Spartaco Mortola
e Alessandro Perugini sono, oggi, rispettivamente
il dirigente della polizia
postale della Liguria e il responsabile
dell’ufficio tecnico-logistico della
questura. L’elenco continua con Antonio
Del Giaco, Sebastiano Pinzone,
Enzo Raschellà, Luca Mantovani e
Giuseppe De Rosa. A tutti viene contestato
l’abuso d’ufficio per gli arresti
illegali; il falso in atto pubblico per
aver sostenuto fatti mai avvenuti nei
verbali; la calunnia per aver incolpato
di resistenza aggravata e lesioni
persone innocenti.
A De Rosa, Perugini e Pinzone vengono
attribuiti anche singoli episodi
di violenza. Perugini per aver colpito
Marco M., quindicenne di Ostia, a
calci. De Rosa, poi, avrebbe infierito
«colpendolo con il manganello al volto
». Pinzone avrebbe poi puntato la
pistola al volto di alcuni arrestati la
pistola d’ordinanza urlando: «Zitti,
bombaroli di m... , vi sparo in faccia».
In questo caso specifico la vicenda si
ricollega, non solo idealmente, all’inchiesta
sulle violenze nella casermacarcere
di Bolzaneto, dove uno dei
giovani fermati fu colpito, lungo il
percorso, «da agenti della polizia penitenziaria
e della polizia di Stato che
lo percossero con calci e schiaffi in
testa».
Le reazioni. Gelida quella dell’avvocato
Maurizio Mascia, che difende
Spartaco Mortola in questa vicenda
e in quella dell’irruzione nella scuola
Diaz. Mascia è sintetico: «Parleremo
di queste accuse davanti al giudice».
Vittorio Pendini è il legale di Alessandro
Perugini: «Ho già argomentato
in una memoria difensiva. Non
scendo nei particolari della vicenda,
ma nel grosso, per l’accusa base di
arresto illegale, mi sembra insussistente.
Ricordiamo la situazione: un
gruppo di giovani ha superato le delimitazioni
poste a protezione della
questura e stava avanzando verso l’edificio.
In quel momento tutte le forze
operative erano sulle strade, per
fronteggiare le violenze. La questura
stessa, dove in quel momento stava
lavorando solo personale amministrativo,
era un obiettivo esposto e
da difendere». Piero Franzosa difende
gli altri poliziotti per i quali viene
chiesto, ora, il processo: «Il clima era
tesissimo e la questura era da difendere
a ogni costo dagli assalti dei manifestanti.
I poliziotti hanno agito in
questo senso, a mio parere correttamente.
Non ritengo assolutamente
che l’arresto di persone che avevano
superato le limitazioni e gli sbarramenti
e avanzavano verso la questura,
in quel frangente di generalizzata
violenza nelle starde della città, sia
da ritenere illegittimo. E, in ogni
caso, mi sembra che manchi completamente
l’elemento del dolo, se si
vuole ipotizzare che i poliziotti, deliberatamente
e d’accordo tra di loro,
abbiano costruito una situazione di
falso generalizzato per arrestare proprio
quei ragazzi e accusarli ingiustamente».
il secolo xix