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Quella benedizione è una bestemmia

Publie le venerdì 23 luglio 2004 par Open-Publishing

de Tonio Dell’Olio

Con in testa il presidente della Repubblica, e a seguire il ministro della Difesa e il capo di stato maggiore della marina, a Genova è stata inaugurata la nuova e più grande portaerei della marina militare italiana. La presenza del presidente della Repubblica dice da sola della solennità che si è voluta conferire al momento. Dice anche dell’importanza e del significato di questa scelta che farà spendere all’Italia un bel mucchio di soldi: 900 milioni di euro solo per il momento.

La portaerei infatti viene varata ma non ancora consegnata alla marina militare. La consegna avverrà nel 2007 allorquando la nave sarà attrezzata di tutto punto dei suoi temibili strumenti di morte e potrà solcare i mari per «essere impiegata in importanti missioni all’estero» dice laconicamente il dispaccio del ministero. D’ora in poi anche la marina italiana potrà vantarsi di «poter finalmente puntare a missioni internazionali a largo raggio». Aggiungendo poco dopo che la portaerei «sarà in grado di ospitare anche i velivoli a decollo orizzontale, come i nuovissimi Joint strike fighters (...) e un sottosistema missilistico Saam-It Aster 15, due cannoni 76/62 "Davide" per difesa a corto raggio, tre mitragliere da 25 millimetri Oto-Breda (...)».

Come si vede si tratta di armamenti che sono molto lontani persino dal normale impiego nelle cosiddette "missioni di pace" e che non potrebbero in nessun modo essere considerate armi di difesa del territorio, quanto di attacco. Il "pregio" di una portaerei infatti consiste proprio nella possibilità di avvicinarsi all’obiettivo permettendo l’operatività degli strumenti aeronautici giudicati insostituibili per le guerre moderne e quelle future.

Il capo di stato maggiore della marina, l’ammiraglio Sergio Braghi, dopo aver descritto le particolari tecnologie ultrasofisticate dell’imbarcazione (velocità, capacità di alloggio, adattabilità alle diverse condizioni...) ha esemplificato dicendo che «può raggiungere velocemente le coste del Golfo Persico senza bisogno di rifornimento lungo il tragitto e spendendo solo il 50% del carburante a sua disposizione».

Fin qui la retorica che speravamo definitivamente superata. Una grande bandiera tricolore da record avvolgerà lo scafo al momento del varo che vedrà come madrina di eccezione una nobildonna discendente di Cavour. Ma al di là della retorica il cerimoniale compassato ha previsto anche la presenza dell’arcivescovo di Genova, il cardinal Tarcisio Bertone, già presidente della commissione Cei giustizia e pace. Avrei sperato fosse lì costretto esclusivamente dal dovere istituzionale dell’ospitalità nei confronti del presidente della Repubblica e invece, ancora il rigido cerimoniale ha previsto la benedizione della portaerei.

Lasciate che per un attimo mi lasci andare al sogno. Lasciate che pensi che il presule possa avere uno scatto di fierezza evangelica e si rifiuti di compiere quel gesto perché non si benedicono mai gli strumenti di morte in nome del Dio vivente. Il varo di una portaerei che sarà armata di tutto punto non è un segno di fiducia e di speranza nel domani. E’ una minaccia verso i popoli del Mediterraneo e verso tutte le nazioni alle quali dovremmo piuttosto aprirci a fiducia e senso di amicizia. Non si benedice una portaerei perché è destinata a portare distruzione e morte esattamente come Sua Eminenza si rifiuterebbe certo di benedire la sala ospedaliera in cui si praticheranno le interruzioni di gravidanza. Il comandamento tu non uccidere non ammette deroghe o cedimenti perché sarebbe la negazione stessa della vita in cui splende la presenza di Dio. In questo caso quella benedizione suonerebbe come una bestemmia! Non si benedice uno strumento di morte che ha già ucciso tutti coloro che sarebbero stati salvati dalla morte per fame o malattia se quei 900 milioni di euro fossero stati investiti in programmi di sviluppo.

Per queste ragioni voglio continuare a sperare e a pregare affinché il cardinal Bertone scelga piuttosto di pronunciare un discorso e una preghiera a favore della pace, della comprensione tra i popoli, del rispetto dei diritti e della giustizia, della promozione e del riconoscimento della dignità di ciascuna donna e ciascun uomo che abbiamo questo pianeta. Questa vita, delle donne e degli uomini che lavorano, sperano, si affaticano, amano, sorridono, danzano e cadono il Signore si degna ancora di ricolmare di benedizioni.

http://www.liberazione.it/giornale/040723/LB12D6C9.asp