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Con i tragici avvenimenti dell’Iraq, compare ancora una volta il volto peggiore della parte moderata del centro-sinistra. Questo governo ci ha precipitato al fianco degli Usa in una sporca guerra, e i riformisti non sono in grado di dire "ritiro delle truppe, ora". E’ una vergogna, ma è anche la migliore rappresentazione dell’assoluta inadeguatezza di chi guida l’opposizione a un governo che sta smontando pezzo per pezzo la costituzione materiale e quella formale del nostro Paese. Con l’annuncio della controriforma fiscale, che segue quella della scuola, delle pensioni, la legge 30, con l’avanzamento della devolution, con tutti i continui strappi alla sostanza della democrazia, Berlusconi e la sua maggioranza precipitano nel consenso, ma accrescono a dismisura i danni verso noi tutti. La domanda di fondo è: possiamo permetterci che questo governo duri fino al 2006, con le sue sempre più disperate e persino balorde imprese? Quanto costeranno ai lavoratori, ai pensionati, a tutta l’Italia, altri due anni di questo tipo? No, non possiamo permettercelo, il governo dovrebbe essere travolto, come avvenne nel 1994.
Se si votasse oggi
Se si votasse oggi succederebbe da noi quello che è successo in Spagna o in Francia. Lo sciopero generale, per quanto costruito su una piattaforma molto debole e piena di compromessi su questioni centrali, ha avuto successo perché ha raccolto il disagio sociale e il rifiuto del governo, oggi largamente prevalenti nel paese. La manifestazione dei pensionati ha avuto una forza senza precedenti per queste stesse ragioni. La stagnazione economica sta affondando la destra liberista. Gli industriali si sono già attrezzati per il ricambio abbandonando la linea di Parma dell’alleanza preventiva con il centro-destra. Cirino Pomicino abbandona e Giuliano Ferrara dà del cialtrone allo schieramento del quale sinora ha fatto parte. Ma tutto questo non produce ancora quel risultato che oramai è sperato dalla maggioranza del Paese. Berlusconi resta lì, a far la guerra e a far disastri. Per buttarlo giù sarebbe necessaria ben altra determinazione, in primo luogo nell’opposizione politica. Invece, il centro-sinistra, che sente odore di traguardo e lo vede delinearsi proprio al centro del quadro politico, si prepara con largo anticipo per essere ben in ordine quando taglierà il filo alla fine della corsa. I poteri forti stanno a vedere e si fanno sempre più sentire. Anche se ben più deboli che nel passato per gli acciacchi finanziari e giudiziari, essi mandano un messaggio chiaro: il centro-sinistra deve mettersi in ordine in fretta, proprio perché il ricambio deve avvenire tra forze sostanzialmente omogenee sul piano dei programmi.
Blairismo all’italiana
Si tratta di eliminare le incapacità e il dilettantismo di fondo che ispirano la maggioranza. Ma non certo di abbandonare il liberismo che l’ha creata. Un berlusconismo senza Berlusconi, un centrismo senza gli aspetti insopportabili e ridicoli dell’attuale maggioranza, una maggiore spartizione del potere rispetto all’assoluto predominio della Fininvest e dei suoi amici, questo è ciò che si chiede. La pressione sul centro-sinistra diventa allora fortissima, ci deve essere una rottura a sinistra. I movimenti devono essere spaccati, magari attraverso la criminalizzazione di una loro parte e l’accostamento al terrorismo del conflitto sociale. Occorre, cioè, costruire una discriminante, con la quale si ridefinisca il nuovo ceto di governo. E’ l’ipotesi del blairismo all’italiana, per la quale lavorano tutti i principali poteri del paese e che sicuramente non viene rifiutata da una parte non piccola del centro-sinistra. La vittoria di Zapatero, paradossalmente, rende il blairismo più presentabile, lo rivernicia di nuovo, come si può intuire da quanto tempo fa ha scritto l’ideologo di Blair, Mendelson, su "La Repubblica". Così, mentre aumenta la critica e la disistima generale verso Berlusconi, il baricentro dello schieramento alternativo ad esso si sposta su posizioni sempre più moderate quanto confuse. Il balletto dei linguaggi opportunisti, sul ritiro, non ritiro, intervento Onu, lasciare, non lasciare l’Iraq, è la punta estrema di una cultura politica che si esprime in ogni evento importante.
Fallimento del governo
Sul terreno della politica economica e sociale, si contrasta il fallimento del governo senza però costruire proposte più avanzate e davvero alternative alle politiche liberiste. Basti pensare che sulle pensioni gli emendamenti del listone riformista, se approvati, peggiorerebbero per alcuni versi persino la delega di Berlusconi. "Il Sole-24 ore" ha ricordato che sul contratto nazionale la maggioranza del centro-sinistra ha una posizione favorevole al decentramento della contrattazione, all’opposto di quanto pensano la Fiom e una parte non piccola della sinistra, ma all’unisono con quanto sostengono la Cisl, la Uil e il nuovo gruppo dirigente della Confindustria. La crisi industriale precipita in questi ultimi tre anni per colpa del governo e degli industriali, ma le sue cause vengono da ben prima. Esse derivano dalle dissennate politiche di privatizzazione e dal vuoto di politiche industriali di questo come di tutti i passati governi. I lavoratori dell’università sono in rivolta contro le misure della ministra Moratti, ma in questo modo si scontrano anche con la catastrofica controriforma universitaria del centro-sinistra che, non a caso, non riesce a costruire una sua posizione positiva su questi temi. Questo è vero anche per la controriforma Moratti dell’istruzione. Ciò che avviene nella scuola è la rivolta contro una legge iniqua, che diventa però catalizzatore del rifiuto di tutte le ingiustizie accumulate dalla scuola pubblica nel passato. Lo stesso avviene per la legge 30: mentre si lotta contro di essa, si combattono anche gli effetti del pacchetto Treu. Ovunque ci sia un conflitto, esso si muove contro la politica di destra del governo e, inevitabilmente coinvolge gli effetti del liberismo temperato dei governi precedenti. Oggi c’è una sacrosanta opposizione di tutto il centro-sinistra alla devolution, ma è difficile fermarsi sulla soglia di quella riforma del titolo V della Costituzione, fatta dal governo precedente, che alle scelte attuali ha aperto la strada. In tutti i punti nei quali si incontra la politica della destra e i suoi effetti disastrosi sul piano sociale, culturale, istituzionale, ci misuriamo anche con le debolezze, le connivenze, le mancanze di alternative serie di una parte rilevante del centro-sinistra. Il 20 marzo più di un milione di persone è sceso in piazza. Chi rappresenta quelle persone, chi rappresenta quel paese che vuole mandar via Berlusconi, ma vuole anche un programma politico molto più avanzato di quello che finora è disposto ad offrire Prodi? I balbettii del centro-sinistra sulla crisi del Patto di stabilità, il suo rigorismo confuso, aprono spazi alle manovre sconclusionate della destra. Possibile che l’alternativa in campo sia solo tra una difesa dell’Europa subalterna al monetarismo della Banca centrale, e un antieuropeismo della destra che serve a giustificare la riduzione delle tasse per i ricchi? Queste alternative sono semplicemente debilitanti. Qui c’è il costante potenziale di crisi dell’opposizione a Berlusconi.
Riformismo: parola malata
E’ il riformismo - parola malata, addirittura respinta dai socialisti francesi nel loro ultimo vocabolario elettorale - con i suoi compromessi e le sue subalternità al liberismo, con le sue ambizioni centriste e bipartisan, che oscura il bisogno profondo e diffuso di cambiamento. Il riformismo punta a vincere le elezioni sulla base del puro rifiuto della destra, raccogliendo una spinta popolare profonda e sacrosanta. Ma le forze riformiste usano oggi questo sentimento diffuso per far passare in secondo piano qualsiasi scelta programmatica. E’ la politica dei due tempi di antica e sempre solida memoria. Prima si manda via il governo, si affronta l’emergenza, e poi si discute di cosa si deve fare in concreto per far uscire il paese dalla crisi. Questa scelta, mascherata naturalmente con la veste del pragmatismo e della moderazione, è la causa principale del continuo sorgere di rotture e dell’inefficacia dell’opposizione. Perché l’emergenza democratica, che pure abbiamo sotto gli occhi con tutto il potenziale autoritario di cui è portatore questo governo, non è separabile dall’emergenza sociale. Se si considerano settari e nemici dell’unità tutti coloro che chiedono chiarezza sulle scelte, dalla pace alle pensioni, si fa un’operazione politica che ha potenziali distruttivi enormi. Se il movimento di lotta non fa andare a casa ora il governo, ci saranno ancora due anni prima delle elezioni politiche. La maggioranza tutto farà fuorché rinunciare a ogni minuto a sua disposizione per cercare di non essere travolta. Un centro-sinistra che si sposta progressivamente a destra provoca, per reazione, un’ulteriore radicalizzazione della maggioranza, la spinge a giocare su tutte le contraddizioni, a costruire scelte irreversibili sul piano istituzionale, a giocare sempre di più sul doppio terreno del moderatismo e del populismo. Di fronte ai rischi che la guida riformista e moderata comporta per tutta l’opposizione, bisogna reagire. Prima di tutto va affermata ed organizzata puntigliosamente l’autonomia dei movimenti. La campagna contro i "cattivi" è in realtà un tentativo evidente di colpire l’autonomia del movimento per la pace.
La forza dei movimenti
Lo stesso processo può avvenire nei confronti del movimento sindacale, che è ad un passaggio delicatissimo nelle sue scelte di fondo. I lavoratori ricordano ancora la debolezza del sindacato confederale negli ultimi anni del centro-sinistra e ce la rimproverano ad ogni occasione. Guai a tornare a quel punto. Eppure lì si vuole che il sindacato torni. C’è un gran desiderio di politiche di unità nazionale, che, sotto le bandiere del ritorno alla concertazione, facciano accettare al sindacato confederale i fatti compiuti di questi anni. Massimo D’Alema ha affermato che il centro-destra può essere interessato alla rottura sindacale, mentre il centro-sinistra, per governare, ha bisogno dell’unità. Ma questi non sono affari né del governo attuale, né di quello futuro. Che, invece, dovrebbe preoccuparsi fin d’ora sulle politiche da fare per rispondere alla profonda richiesta di cambiamento. In tutta Europa il cambio dei governi, infatti, avviene sulla base del rifiuto delle politiche liberiste di chi è al potere. Così in Grecia vince la destra, in Spagna e in Francia la sinistra, in Germania il cancelliere Schroeder perde un’elezione dopo l’altra. C’è una corsa ad handicap, una corsa del gambero, tra centro-destra e centro-sinistra in tutto il Continente.
Confrontarsi a sinistra
In Italia, chi ha lottato in tutti questi anni, non lo ha fatto solo per cambiare il governo, ma per cambiare politiche sul fisco, sulla sanità, sulle pensioni, sulla pace e sulla guerra. Per questo è necessaria una più forte dialettica nell’opposizione. Il processo di aggregazione delle forze riformiste deve essere accompagnato dall’aggregazione delle forze radicali. Non si tratta di prefigurare traguardi organizzativi, ciò che serve qui ed ora è la capacità di trasferire le domande sociali e culturali del paese a livello del confronto politico. Occorre che cresca una sana conflittualità programmatica nel centro-sinistra. Una conflittualità a cui non possa essere opposta la retorica dell’unità a tutti i costi, che, lo abbiamo visto, prima o poi produce il risultato opposto. Occorre che le forze che dichiarano di non riconoscersi nel progetto riformista si coalizzino, costruiscano battaglie comuni, aprano punti di crisi con il moderatismo. Il moderatismo nei contenuti e l’attendismo nei comportamenti sono due facce della stessa debolezza che oggi prevale nell’opposizione a Berlusconi. Questa debolezza è l’unica risorsa che ancora resta davvero al Presidente del Consiglio. Se vogliamo sconfiggere la politica delle destre, se vogliamo fermarla prima che essa ci porti ad un disastro completo, dobbiamo anche battere il cinismo di chi pensa che alla fine, qualsiasi cosa faccia e dica, godrà comunque del voto utile.
da Liberazione