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Precari della scuola
UN DECRETO CHE DIVIDE I PRECARI
NON RISOLVE I PROBLEMI OCCCUPAZIONALI, DISCRIMINA I PRECARI STORICI E LE DONNE
di Luciano Muhlbauer (segr. naz. SinCobas)
Il decreto-legge approvato il 2 aprile scorso da Consiglio dei ministri ridefinisce - per la settima volta in tre anni - le regole per assegnare i punteggi nelle graduatorie permanenti delle diverse categorie di personale docente della scuola. Uno dei nodi principali che il decreto avrebbe dovuto sciogliere, e cioè riequilibrare le posizioni dei precari storici e dei cosiddetti sissini, viene “risolto” assegnando un bonus di 6 punti alle abilitazioni diverse da quelle ottenute con le scuole di specializzazione che si vedono invece riconfermati i 30 punti. Viene inoltre ridotto ad un terzo il punteggio da attribuire al voto di abilitazione.
E’ un decreto che non riconosce il diritto a stabilizzare la propria condizione lavorativa a chi da anni lavora nella scuola ed ha accumulato esperienze e professionalità nella più totale incertezza delle regole. Un atto dovuto oltre che una garanzia di continuità didattica.
Per fare l’insegnante, adesso conterà persino aver fatto il militare. La Ministra Moratti decreta infatti che “aver avuto tra le mani un fucile” conta quanto aver insegnato per anni nelle classi, a contatto con gli studenti. Una discriminazione nei confronti delle donne oltre che un maldestro tentativo di rendere più “appetibile” il servizio di leva volontario femminile.
Le attese dei precari dovranno fare i conti anche con l’ordinanza sugli organici e le tabelle che contraggono i posti oltre che con i meccanismi di riduzione e di tagli previsti dalla Riforma Moratti.
L’intento politico è evidente: dividere i precari e alimentare una disperata “guerra tra poveri” anziché risolvere i problemi occupazionali della scuola. Le immissioni in ruolo riguarderanno infatti solo circa 12.000 docenti e poco più di 3000 ATA su oltre 100 mila posti vacanti nella scuola. Senza contare che il futuro che aspetta migliaia di precari è la chiamata diretta (e aggiungiamo noi discrezionale) da parte delle scuole “dell’autonomia” così come previsto dalla famigerata Riforma Moratti.
Ma la crescente precarizzazione del lavoro non riguarda solo la scuola. E’ una condizione che attraversa tutto il mondo del lavoro, pubblico e privato. La flessibilità del lavoro, sostenuta dai vari governi che si sono succeduti negli scorsi anni in accordo con i sindacati confederali e autonomi, oggi si chiama legge 30. Una legge che, attraverso una serie di decreti attuativi, sta introducendo nuovi rapporti di lavoro sempre più precari, intermittenti, a chiamata, occasionali, a progetto che si sostituiscono anche al lavoro tradizionalmente più stabile.
Non possiamo permettere che questo accada senza cercare di impedirlo in ogni modo. Occorre lottare tutti insieme, pubblici e privati, precari e non, giovani e pensionati, per una piattaforma unificante che risponda alle aspettative di tutto il mondo del lavoro.
Stipendi e pensioni adeguati al costo della vita, un posto di lavoro stabile per tutti e tutte sono la condizione necessaria per una vita dignitosa, per poter programmare il proprio futuro.
Lo sciopero rituale non basta. Bisogna fermare la scuola e l’intero paese contro la precarietà del lavoro e della vita.
Ufficio Stampa Sincobas