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Irapporti internazionali stanno arretrando a quattro secoli fa, a prima del Trattato di Westfalia
che segnava la fine dell’impero e metteva qualche regola ai rapporti tra gli stati. Le guerre
venivano dichiarate e concluse e implicavano un rischio fra tutti gli sfidanti, delle paci
rispondevano gli stati. Sparivano gli eserciti mercenari. Molto più tardi gli stati si sarebbero dati alcune
convenzioni sui limiti della reciproca ferocia, i civili, i prigionieri.
E dopo la seconda guerra
mondiale con le Nazioni Unite si dotavano di un foro che si prefiggeva di risolvere le
controversie internazionali senza guerre. Tutto questo oggi è andato in pezzi. Alla caduta dell’Urss doveva
seguire un ordine mondiale, ed invece seguita una crescente deregulation, con lo smisurato
allargarsi delle possibilità e velleità di intervento della sola superpotenza rimasta in campo, gli Stati
Uniti.
E l’inatteso risollevarsi contro di essa - in mancanza di quella idea civilizzatrice del
conflitto che era stata il socialismo - di resistenze arcaiche, nazionaliste, etniche, furenti e
disastrose. Questo è il risultato della decisione unilaterale degli Usa di ridefinire a loro guisa lo
scacchiere mediorientale, decisivo sotto il profilo delle risorse petrolifere e per il controllo
dell’Asia, dove cresce la sola potenza in grado di creargli in futuro delle difficoltà, la Cina.
L’avventura irachena non è stata la conseguenza dell’11 settembre, ha avuto in esso il sanguinoso
pretesto per marciare su Baghdad, quando l’Iraq non c’entrava per niente.
Siamo oggi di fronte a una
situazione inedita: quella degli eserciti americano e inglese impelagati in una guerriglia che per
arroganza non avevano previsto e che non sono in grado di sottomettere, perché è il solo punto sul
quale si unificano contro gli occupanti le diverse etnie e religioni del paese. Gli Stati Uniti
rischiano di dover moltiplicare come nel Vietnam il loro contingente, mettendo in conto molte
perdite o di doversene andare, subendo una sconfitta bruciante sul terreno militare e politico.
Credere di passare impunemente sopra a qualsiasi regola si è rivelato un boomerang. Sul piano
mondiale gli Stati Uniti sono assieme esposti e isolati. Sul piano della deterrenza, l’esibizione di
mezzi invincibili ha suscitato un terrorismo di dimensioni mai conosciute, relativamente facili da
mettere in atto e il solo che un esercito non può battere. La tesi dello scontro di civiltà ha
alimentato un fondamentalismo islamico mai forte come oggi. Sarà assai difficile che l’Onu si assuma
il compito di far fronte a questo disastro, e perdipiù sotto il comando di chi l’ha provocato.
Non
solo, ma siamo davanti, come già era successo nelle guerre africane, ad un’altra stupefacente
regressione: sono tornati gli eserciti privati, con la fornitura di mercenari alle istituzioni e alla
quantità di interessi diretti e indiretti che si sono precipitati a spartirsi l’Iraq da quando
Bush l’ha dichiarato vinto. Sono il simbolo, i venditori di professionalità nell’uccidere al miglior
offerente, della deregulation e della privatizzazione di tutto, guerra inclusa e sono loro che
vengono sequestrati dalle milizie irachene per premere sui paesi di provenienza. Mentre scriviamo
sembra che ci sia già una prima vittima.
La risposta della fermezza, che per gli Stati Uniti
significa aumentare l’intervento armato come a Falluja, uccidendo e perdendo uomini, appare in Italia una
ridicola gesticolazione, cui, quasi fossimo al sequestro di Moro nel 1978, si starebbero
orientando anche i Ds.
In queste ore non sappiamo che cosa potrà risultare dalla mediazione iraniana fra Al Sadr e
americani. In ogni caso essa non riguarderà che gli sciiti e appare ben lontana dal risolvere la crisi.
Bush e Blair ci hanno ficcati in una tagliola dalla quale i governi più seri si divincolano,
ritirando i cittadini e probabilmente, se ne hanno, le forze. Noi, italiani, no. Quanto all’Europa,
sembra incapace di esercitare una qualsiasi pressione perché l’occupazione cessi e avanzare una
proposta che, assieme alle forze regionali, avvii un tentativo di dialogo per sanare il sanabile. Non
viene da Bruxelles, non viene dall’Internazionale socialista. E non è l’ultima delle sconfitte cui
ci ha trascinato il codismo alla Casa Bianca.
Il Manifesto