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"Terra promessa" : Amos Gitaï filma la tratta dei corpi in Israele
Publie le giovedì 13 gennaio 2005 par Open-Publishing
Nel nuovo lungometraggio di Amos Gitaï, delle giovani Estoni sono avviate da
mafiosi, vendute all’asta, trasferite in un bordello. La prostituzione é uno
dei problemi brucianti di questo paese.
Film franco-israeliano di Amos Gitaï con Anne Parillaud, Hanna Schygulla, Diana
Bespechni, Rosamund Pike. (1h 30.)
di Jean-Luc Douin
E’ notte nera, ma queste tenebre non sono immediatamente assimilabili ad una
delle sette piaghe d’Egitto. Questa carovana di cammelli che si profila all’orizzonte
del deserto del Sinai, sotto la luna, appare come un’immagine della sacra scrittura,
il percorso dei Re Magi. Miraggio. Terra promessa non annuncia la nascita di
colui che salverà il suo popolo dai suoi peccati. Piuttosto il contrario. Una
maledizione che evoca le settecento donne e le trecento concubine di Salomone,
il re dittatore che scateno’ l’ira di Yahvé e dovette affrontare lo scisma. O
il ritorno del tradimento che macchio’ il popolo di Giacobbe: Giuseppe venduto
dai suoi fratelli.
Il film ritraccia il percorso clandestino, ai nostri giorni, di un gruppo di giovani Estoni avviate dai mafiosi russi via il Cairo e Porto Said, la presa in carico da parte di Beduini, la vendita all’asta delle ragazza inebetite ed in lacrime, il rilancio in dollari dei compratori, l’abominevole adescamento della commissaria d’asta (Anne Parillaud), poi il loro avviamento in camion coperto verso Ramallah, la loro schiavizzazione in un locale notturno di Eilat ed il loro trasferimento in un bordello di Haifa.
Denudate, palpate come bestie, violate dai loro guardiani, vivono un calvario dipinto come una deportazione. Ua sequenza allucinante in cui vengono spogliate per forza prima di essere spinte sotto una doccia a getto che, per la sua violenza, pietrifica lo spettatore quanto le ragazzine disumanizzate, insiste sul parallelo iconoclasta fra lo sterminio col gas delle ebree ad Auschwitz operato dai nazisti e la riduzione di innocenti emigrate al rango di merci per dei cittadini di Israele.
Terra promessa é in effetti un film stupefacente sia per la sua audacia politica che per le sue scelte estetiche. Sul piano dell’immagine, Amos Gitaï (secondato magnificamente da Caroline Chametier, che bracca freneticamente l’irruzione del caos, cinepresa in spalla, sempre in movimento) da prova di respiro epico inaudito fin dalla prima parte, in cui la brutalità del rapporto sociale (donne sballottate, malmenate, assimilate ad una carne lussureggiante da uomini avidi, scorpioni col pungiglione e soldi) sembra scatenare le forze telluriche, un vento implacabile, ostile.
Il modo in cui Gitaï risolve il problema della rappresentazione del supplizio, della nudità, della discesa all’inferno di queste ragazze ("Una é vergine! Costa di più! Guardate che culo! Chi dice di più ? - Quindicimila!") é esemplare. Se ne sono viste opere dove, con la scusa della denuncia, il cineasta soccombeva al voyeurismo e condannava le sue comparse ad assumere il ruolo di oggetti del desiderio dello spettatore! Nulla del genere qui, dove l’abiezione non é suggerita gratuitamente, dove i corpi delle attrici non sono mai degradati dallo sguardo del cineasta, dove dello stupro non arrivano che delle riprese di selvaggio avvilimento e un lamento, un grido gutturale animale.
I CORPI DERRATE
Il progetto, accusato dal giornale Maariv di nuocere all’immagine del paese, é al diapason di cio’ che il cinema israeliano osa mostrare da poco tempo. Ieri interamente dedicati alla glorificazione del progetto sionista, i film proiettano in primo piano personaggi a lungo emarginati: gli ebrei della diaspora, i sefarditi, le donne. La prostituzione é diventata uno dei problemi brucianti in questo paese votato ai lavoratori della guerra ed al riposo del guerriero.
Amos Gitaï si interessa da tempo alle donne oppresse. Ricordiamoci di Bang Kok-Bahrein (1984), un documentario sulle ragazze vendute in Thailandia, e di Kadosh (1999), che condannava la legge ortodossa per cui una donna poteva essere sposata a forza, violata durante la notte di nozze, colpita a cinghiate e ripudiata se risultava incapace di procreare. Terra promessa, dove si interroga ancora sulla nozione di territorio (i trafficanti di carne fresca vi parlano tutte le lingue, arabo, francese, russo, ebraico, americano) viene dopo Alila, dove brulicavano "persone fuori posto", operai clandestini cinesi, colf filippine, prostitute slave.
Questa volta va più lontano. Terra promessa dipinge Israele come un grande bordello del capitalismo nell’epoca della mondializzazione. Questa raffigurazione dell’asservimento dei corpi trasformati in derrate e trasportati in spregio delle frontiere e dei check-points appare come una metafora della conquista del mondo da parte di un’economia senza scrupoli. Accompagna la disarmante constatazione che si compie in Israele cio’ che aveva predetto il profeta Daniele: "L’abominio del devastatore insediato nei Luoghi santi."
In una bellissima scena, flash di ricordi, un cane nella nebbia, un bosco di betulle, un coro di giovani Estoni angeliche che cantano i salmi della Gerusalemme celeste nella chiesa della loro infanzia, si alternano con riprese del castigo che viene loro inflitto, questa profanazione del loro corpo e del loro spirito da parte dei cittadini di un paese che si era creato una specie di "modello morale".
Si sente l’acqua sgocciolare nel corso di questa straziante litania, la si vede, sotto la passerella, quando le ragazze arrivavano nell’anticamera della loro prima macellazione. Il bordello, come indica l’etimologia della parola, é legato alla vicinanza del mare. E’ in luoghi di passaggio, di partenze, nei porti e nei covi simbolici del transito del denaro e delle merci. Il bordello é un affare di Stato, la casa chiusa un rifugio concepito per controllare il commercio delle ragazze perdute. Ne Il Piacere, il film che Max Ophüls aveva tratto da Guy de Maupassant, le ragazze cantavano un cantico: "Più vicino a te, mio Dio." Il messaggio era ambiguo, accostando la chiesa e la casa Tellier come luoghi di estasi.
In Terra promessa (che é il nome di un bordello di Haifa) le incatenate non possono più contare sulla patria dei perseguitati. Non hanno che due vie d’uscita: l’apocalisse, scatenata dall’esplosione di una macchina imbottita di esplosivi, che permette l’evasione di due di loro nella folla urbana, il balletto delle ambulanze e la sinfonia delle sirene. E la finzione, il passaggio dal realismo all’onirismo.
Irruzione di Hanna Schygulla, materna ruffiana dal turbante rosso ed il bocchino, regina di Saba sorta dall’immaginario dei bordelli kitsch, che asciuga le lacrime di una delle sue prede raccontandole che bisogna "aver cura dei pesci piccoli" soggetti ai pescicani umani. Visita di Rosa la straniera, prima spettatrice, a distanza, che dice di non poter far niente per aiutare le "deportate" a evadere, poi si ritrova afferrata dal ciclo claustrofobico e tira per la mano la sua complice verso la libertà. Rosa é il nostro riflesso.
Tradotto dal francese da Karl&Rosa di Bellaciao
http://www.lemonde.fr/web/article/0,1-0@2-3476,36-393840,0.html