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Torture in Iraq, nuove foto choc Sotto accusa i Navy Seal’s

Publie le lunedì 6 dicembre 2004 par Open-Publishing
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Dazibao Guerre-Conflitti


Gli abusi precedenti a quelli di Abu Ghraib. A Falluja usato il napalm

di Martino Mazzonis

La tortura e i maltrattamenti come strumento corrente di relazione nei confronti dei prigionieri. Questo è quanto sembra di evincere dall’ennesima prova che i soldati statunitensi di stanza in Iraq hanno sottoposto le persone finite nelle loro mani a diverse forme di violenza infischiandosene delle convenzioni internazionali sui diritti umani. Anche questa volta lo scandalo scoppia perché qualche bravo soldato ha pensato di ritrarre se stesso e i suoi compagni in atteggiamento da cacciatore britannico in Africa nell’800. Lo stesso soldato ha portato le foto alla sua signora e questa ha caricato l’album di ricordi su internet. Un giornalista della Associated press le ha trovate e le ha rese pubbliche.

Su alcune delle foto c’è la data, marzo 2003, prima dello scandalo di Abu Ghraib, Lynn England non ha il primato. Le foto che compaiono su questo album sono meno terribili di quelle provenienti dal carcere nei pressi di Baghdad, mostrano un uomo con la pistola puntata alla testa, persone legate e incappucciate con i soldati seduti sopra, altre con la faccia piena di sangue o sdraiate con un anfibio sulla schiena. Non sono solo immagini di luoghi di detenzione ma anche scatti durante il trasporto di prigionieri, ce n’è una dove tre prigionieri sono sdraiati nel retro di un pick-up. L’altra novità di questa scoperta è che in questo caso i responsabili delle torture sono i Navy Seal’s - dove Seal sta per Sea, air, land, mare, aria e terra, i reparti speciali della marina, tra i più prestigiosi e duri reparti dell’esercito statunitense. I loro ufficiali, al comando navale per operazioni militari speciali ha annunciato che aprirnno un’inchiesta. L’inchiesta, nelle parole del comandante Jeff Bender, non è solo relativa alla qualità dei comportamenti dei suoi soldati. Il problema, per gli ufficiali che comandano questi repati, è quello di capire come mai qualcuno abbia fatto quelle foto anche se è severamente proibito fotografare i prigionieri se non perché si debbano compiere indagini su di essi. I Seals hanno violato i loro regolamenti anche immortalando se stessi. Le loro missioni sono spesso segrete e mostrare le proprie facce significa bruciarsi.

Non è finita qui. Il Washington post di ieri ci parla di un rapporto interno dell’esercito mantenuto riservato sui metodi detentivi in Afghanistan. Il rapporto è stato redatto dal generale di brigata Charles H. Jacoby e spiega che nel primo Paese invaso dagli Stati Uniti negli ultimi anni non ci si è andati per il sottile. Solo metà delle ventiquattro prigioni gestite dagli Usa in Afghanistan hanno ordini e linee guida su come condurre gli interrogatori. Il generale non ha individuato casi specifici, ma nel suo rapporto spiega che la mancanza di controlli, la chiusura alle ispezioni della Croce rossa internazionale, la mancanza di regole relative ai tempi di detenzione, creano un ambiente nel quale è più facile che vengano perpetrati abusi. Occorre inoltre tenere presente che molti dei soldati incriminati per Abu Ghraib avevano prestato servizio in Afghanistan, ed è noto che molte delle tecniche di tortura provengono dall’esperienza afgana. Ad esempio l’uso dei cani. E’ di pochi giorni fa l’accusa della Croce rossa su Guantanamo, dove molte delle accuse contro i prigionieri sono basate su confessioni estorte attraverso la tortura.

Da qualche giorno circola la notizia pubblicata da al Jazeera, dal britannico Daily Mirror e da confermare che le truppe statunitensi abbiano usato il napalm nella battaglia di Falluja. I pochi giornalisti che sono entrati nella città distrutta nei giorni successivi alla conclusione delle operazioni hanno raccontato di corpi sciolti e di feriti che hanno i segni tipici di questo gas bandito nel 1983 da una convenzione internazionale. Il Pentagono ha ammesso a mezza bocca, spiegando che in realtà si tratta di una nuova arma, le Mark 77 Firebombs. Stesso rincipio, aggirata la convenzione internazionale. La notizia ha avuto violente ripercussioni in Gran Bretagna, dove i deputati pacifisti hanno chiesto conto della notizia al premier Tony Blair.

http://www.liberazione.it/giornale/041205/LB12D6AB.asp

Messaggi

  • E’ la volta della Marina militare statunitense a vedere svelate le rivoltanti operazioni del propri uomini. Inequivocabilmente gli abusi, fin dalle primissime foto ricordo dei soldati inglesi, sono un fenomeno generalizzato, sollecitato e di fatto permesso dagli ufficiali superiori.

    Non si tratta di ragazzate o della logica del branco, ma di qualcosa di ancor più malato ed insito nella stessa società americana, che partorisce uomini e donne capaci di compiere tali atti. Porto ad esempio una foto, arrivatami via email e distribuita fra gli amici: un marine americano con il bambolotto soldato. Roba da analisi psichiatrica, che fa come minimo esclamare una persona normale di una indignazione affranta. Non parliamo dei pacifisti, quelli veri, da non confondere con quelli che fanno i movimentisti per mestiere o per soldi.

    E’ stata la moglie di un soldato a mettere in rete le fotografie e così a far prendere quota alla vicenda giudiziaria. Ancora non trovo il sito e non so molto di lei, salvo che forse avrà visto l’ultimo video di Eminem, quello che invita a votare il popolo dei bassifondi e tutti coloro, che si sentono presi in trappola da questo stato di cose. Le foto sono rappresentazione diretta delle incursioni nelle abitazioni irachene e ritraggono il trasporto dei prigionieri. Quale la sorte di quegli stessi prigionieri non lo sappiamo: forse proprio Abu Ghraib ove possono aver subito ancora altre torture.

    Tutti i media statunitensi ora si attiveranno per rilevare lo stato confusionale, i problemi familiari e/o psichiatrici, le ex tossicodipendenze di quegli uomini, che hanno compiuto gli atti di tortura ai danni di altri uomini prigionieri. Tristo lavoro di insabbiamento sulle prove reali costituite dalle fotografie, come per Abu Ghraib. Opinionisti migliori di me lo sostengono da sempre, ma il fenomeno è talmente diffuso da mostrarne l’ampiezza planetaria. Guantanamo, Abu Ghraib, Afghanistan: il fenomeno è tanto diffuso da essere un concetto direttamente attribuibile al Presidente degli Stati Uniti, come nel telefilm in prima serata, il sabato alle 21 su nota rete italiana, sia pur nella fantascientifica versione del presidente nero.
    Ma il lavoro a copertura degli eventi contro l’umanità è gestito come un gioco di squadra e non lascia mai il campo.

    Non è un caso, che l’ultimo numero de "Le Scienze" rechi una traduzione all’articolo e le opinioni di Susan Fiske e del suo staff, Università di Princeton. Gli scienziati hanno analizzato 25.000 studi su un campione di 8 milioni di partecipanti: "Chiunque può commettere atti efferati o di tortura", questo il ferale verdetto. Quindi quel qualcosa di profondamente marcio è nella radice stessa della società. Lo stesso marcio, che consente in Italia ad un esponente del movimento nonviolento, di spacciarsi per pacifista e contestualmente di compiere azioni di truffa e mobbing ai danni dei compagni.

    Perdono cristiano, si certo: ma solo dove ci sia un sincero atto di pentita contrizione. Poi la strada è quella giudiziaria, perchè là dove sia truffa, reato ideologico, trofeo ingiustificato, comportamento violento, egoismo o altra materialistica e sporca umanità non può esserci perdono dalla società civile.

    Loredana Morandi

    www.bloggersperlapace.org