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Ufficio sindacale Fiom Piemonte : cos’è il Tmc-2

Publie le lunedì 26 aprile 2004 par Open-Publishing

di Cesare Cosi

Spiegare in poche parole il più recente attacco padronale
sull’intensità della prestazione di lavoro non è possibile senza
un minimo di conoscenza dei sistemi in uso nelle aziende per
stabilire i carichi di lavoro. La sigla Tmc-2 (Tempi dei
movimenti collegati-seconda versione) indica uno dei "modelli
cronotecnici" preposti alla quantificazione dei tempi
d’esecuzione delle mansioni operaie nella produzione di serie (si
parla, naturalmente, di lavoro a cottimo). Quando un lavoratore
industriale (metalmeccanico e non solo) varca la soglia di uno
stabilimento, il suo tempo di presenza in officina viene letto e
gestito dagli uffici tecnici (analisi lavoro) in un modo
particolare, così ripartito: • tempi attivi o effettivi; •
fattori di riposo; • fattore fisiologico; • pausa/e (dove
previste). Assegnando base 100 al tempo di presenza in officina,
detta ripartizione, a prescindere dall’entità di ogni valore, che
può variare da ciclo a ciclo, si può suddividere così: tempi
attivi, circa 84 per cento; fattori di riposo, 6-8 per cento;
fattore fisiologico, 4-6 per cento; pausa, 4 per cento.

Gli ultimi tre punti possono essere contrattati, perché i
riferimenti nazionali e internazionali sono diversi e l’entità
delle pause per nocività e vincolo sono frutto delle condizioni
oggettive, degli usi e delle consuetudini presenti in azienda e
dei rapporti di forza operanti. Il primo punto (tempo attivo),
che è l’elemento centrale per la determinazione del tempo
d’esecuzione, non è contrattabile, perché è scelto dal padrone
(l’articolo 11 del ccnl prevede la sola comunicazione del sistema
usato, mentre al sindacato è concessa unicamente la possibilità
di contestazione dell’eventuale divario tra previsione e realtà
applicativa). Ovviamente, la possibilità di contrattazione si
esercita sull’uso scorretto del modello stesso. Questo aspetto
dell’articolo 11 del ccnl non è mai stato modificato, perché
l’insieme dei modelli usati in Italia nell’ambito cronotecnico
(sistemi cronometrici o sistemi tabellari) portava (doveva
portare) a risultati simili; rendimento 133,33 come massimale,
che significa maggiorare di un terzo la normale velocità
d’esecuzione a 100, scelta che recupera il più tradizionale
rapporto del sistema Bedaux 60-80.

Le scelte della Fiat
Nel dopoguerra, sull’onda del piano Marshall, la Fiat si
attrezza, acquisendo l’ultima novità prodotta nell’ambito
cronotecnico: l’Mtm (Method time mesurement). Questo sistema è
una rivoluzione rispetto al sistema cronometrico basato sulla
rilevazione corretta dal giudizio di velocità soggettivo del
cronometrista, essendo basato su tabelle predefinite che in
funzione della microgestualità compiuta per lavorare
(raggiungere, afferrare, muovere, rilasciare, posizionare,
movimenti del corpo ecc.) assegna un tempo già incentivato che
non necessita di correzioni o interpretazioni di parte.
Naturalmente, per rendere operativo il sistema bisognava renderlo
compatibile con i vincoli operanti in Italia (60-80; 100-133) e
semplificarlo al fine di dotare gli uffici analisi lavoro di uno
strumento veloce, che mantenesse però i vantaggi insiti nell’Mtm.

Nasce il Tmc
Alla fine degli anni quaranta nasce così il Tmc (Tempi dei
movimenti collegati), che si diffonde rapidamente in ambito Fiat.
È importante sottolineare che il Tmc non modifica nulla come
risultato finale rispetto al sistema cronometrico (volumi
produttivi richiesti), dato che raffrontando una corretta analisi
con il Tmc e una corretta analisi cronometrica non si evidenziano
differenze. In estrema sintesi, l’insieme della microgestualità
presente nell’Mtm è stata raggruppata (per esempio: raggiungere,
afferrare, muovere, rilasciare diventa "spostare"). L’analiticità
dei pagati in relazione alle distanze (un centimetro nell’Mtm) è
consolidata in tre blocchi da un centimetro a 80 centimetri
(spostare vicino, normale, lungo).

I diversi gradi d’interferenza, difficoltà, ecc., presenti
nell’Mtm sono ridotti a tre soli (f=facile, m=medio,
d=difficile). I pagati dell’Mtm espressi in Tmu (0,06 centesimi
di minuto) sono trasformati tramite un coefficiente di correzione
e operando anche medie varie, in millesimi di minuto e a
rendimento 133,33. Tutti questi passaggi sono ben spiegati nel
manuale edito dal servizio lavoro della Fiat e, dopo anni di
verifiche e di sperimentazioni da parte di decine di sindacalisti
e di delegati, non ci sono dubbi riguardo non all’equità del
modello, ma alla corretta derivazione dall’Mtm e alla coerente
rispondenza ai canoni operanti in Italia rispetto ai massimali di
rendimento e, quindi, agli accordi nazionali e aziendali. Questo
modello, sempre presente come momento formativo per gli analisti,
nel corso degli anni cinquanta e sessanta era sostanzialmente
inutilizzato in officina, perché sostituito dal deleterio
strapotere della gerarchia. Il Tmc riemerge dopo il 1971, per
gestire l’accordo di gruppo che ripristina regole volte a
consentire ai consigli di fabbrica di contrattare i carichi di
lavoro, l’organizzazione del lavoro, le saturazioni ridotte, le
pause per il disagio linea ecc.

Dal Tmc-1 al Tmc-2

Le regole stabilite nel corso degli anni settanta sono rimaste
sostanzialmente operanti in tutto il gruppo Fiat, fino
all’accordo per i nuovi stabilimenti della Sata di Melfi e
dell’Fma di Pratola Serra dell’11 giugno 1993. Detti stabilimenti
pur essendo Fiat a tutti gli effetti, formalmente sono società
autonome e quindi corso Marconi ha preteso che l’intero
patrimonio di contrattazione fosse azzerato, imponendo e
ottenendo, soprattutto sul tema della prestazione di lavoro, il
completo stravolgimento di razionali modelli di gestione e di
contrattazione operanti da più lustri nel gruppo. Non è questo il
momento di analizzare e comparare gli accordi Fiat con l’accordo
di Melfi, anche perché troppe sarebbero le assurdità e gli
arretramenti da mettere in evidenza. La cosa eclatante da
denunciare è che per la prima volta in ambito Fiat viene
sottoscritto il Tmc-2 in sostituzione del Tmc-1.

L’azienda afferma che le modifiche apportate non sono altro che
un più preciso adeguamento Tmc all’originario Mtm. Non è così.
Non bisogna certo essere dei cronotecnici per accorgersi che il
passaggio da 16-42 millesimi a 9-36 millesimi non è la stessa
cosa per il movimento degli spostare, che è identico nella
gestualità con il Tmc-1. E anche per l’azione del posizionare, i
tagli sono considerevoli, e anche in questo caso incomprensibili,
dato che il movimento non può subire reinterpretazione alcuna,
essendo nel dettato Mtm rigidissimo. Quanto poi ai movimenti del
corpo, pure in questo caso la logica dei pagati è rimasta la
medesima, ma i tempi sono stati tagliati del 20 per cento sul
facile (passi) e del 7 per cento sul difficile (flessioni del
tronco ecc.).

Durante la trattativa per Melfi abbiamo sfidato l’ingegnere che
guidava la delegazione Fiat a dimostrare che le due metriche
fossero equivalenti, fornendoci l’esempio di rilevazione accluso
al manuale del Tmc-1 (montaggio manuale contemporaneo di due
pompe alimentazione carburante) con il Tmc-2. Esempio non
contestabile da nessuno, scomposto e analizzato in tutte le sue
parti, paradigma sul quale intere generazioni di analisti si sono
formate. Il giorno successivo ci è stata fornita fotocopia del
nuovo rilievo (protocollata dalla Fiat e gelosamente custodita)
che con identica gestualità, prodotto e tecnologia usata
prevedeva il passaggio da 141,5 a 155,54 pezzi all’ora, con un
incremento di 14,04 pezzi, pari al 9,92 d’incremento percentuale.
Sottoponendo però a esame il rilievo Fiat, questo è risultato
gravato da due grossolani errori (evidentemente voluti, per
abbassare i volumi) e direttamente rilevabili raffrontando sia i
rilievi Tmc-1 e Tmc-2 che le logiche Mtm presenti sui loro
manuali.

Eliminando gli errori, il volume produttivo con il Tmc-2 passa,
con il loro rilievo, a 171,5 pezzi, con un incremento di 30 pezzi
all’ora, pari a un 21,2 d’incremento percentuale.

Da Melfi a Cassino

La vicenda di Cassino, nella sua drammaticità, illumina
ulteriormente il sinistro scenario aperto a Melfi. Essendo un
accordo di gruppo a tutti gli effetti, l’azzeramento di tutte le
intese precedenti era un compito arduo e la Fiat non ci ha
provato. Di tutte le assurdità imposte a Melfi sul tema della
prestazione di lavoro (diminuzione di 20 minuti della pausa
linea, recupero di tutte le fermate, erosione dei fattori di
riposo e fisiologici in presenza di disfunzioni
tecnico-impiantistiche) non c’è traccia. L’interesse dell’azienda
si è concentrata sui due aspetti primari: la metrica del lavoro
(Tmc-2) e le procedure per la contestazione dei carichi di
lavoro. Oltre agli evidenti vantaggi economici e politici, non
bisogna dimenticare che l’attacco è portato nel cuore del gruppo,
in Fiat Auto. Solo un cieco non vedrebbe il rischio gigantesco
per i lavoratori qualora l’accordo separato passasse e si
consolidasse.